Creative Commons e furboni

Molti avranno letto l’articolo di PI di oggi nel quale si fa la cronaca di quanto accaduto tra i Radicali e un blogger in ordine a pubblicazione/uso di materiali pubblicati sul sito dei primi. Non entro nel merito, non potrei farlo.

Tutto, per quello che riguarda il giuridico, ruota intorno alle Creative Commons che sono, al di là di quanto si può leggere al link indicato, licenze standard riguardanti il regime giuridico delle opere dell’ingegno.

Se ne parla da diversi anni, sono molto in voga, un po’ snob (malgrado il desiderio di chi se l’e’ pensate). Specie in Internet, se il tuo sito non riporta la pecetta "CC" sei un po’ out, poco cybertrendy.

Francamente, non penso che le CC costituiscano un "nuovo diritto d’autore". Semplicemente perché non dicono alcunché di nuovo (e, d’altro canto, poco potrebbero di fronte alle norme imperative). Sono soltanto una pecetta piu’ "immediata" rispetto alle piu’ o meno complesse note legali che compaiono su molti siti, uno standard valorizzato dall’evidenza grafica (la pecetta, appunto).

Per altro verso, CC non significa "fai quello che vuoi dei miei materiali". Non e’, necessariamente, pubblico dominio. Tanto meno, possono essere violati i diritti morali come quello della paternita’ dell’opera. In Italia si può cedere lo sfruttamente patrimoniale, ma l’autore, anche se non ci guadagna piu’, va sempre citato.

Eppure c’e’ sempre chi fa il furbo, specie i grossi media. Al di la’ del piccolo blog, mi sembra che l’articolo di PI confermi ampiamente la spocchia dei grandi: "’tanto, in Internet, si puo’ scopiazzare tutto". Specie quando fa comodo e non si concede reciprocita’…

Non servono CC (anche se possono essere utili). Basta rispettare il diritto d’autore. Molti non vogliono soldi, si accontentano del giusto riconoscimento della paternita’.

  1. k2:

    La fonte era stata inserita e tuttavia è stata ricevuta una diffida per mancata indicazione dell’URI. L’indicazione dell’URI, richiesta soltanto dalla licenza e non dal diritto d’autore, in questo caso non era necessaria (non era, in altre parole, necessario il rispetto della licenza) perché si era in presenza di un’opera parodica, che una consolidata giurisprudenza considera opera autonoma e svincolata dalla richiesta di autorizzazioni da parte del titolare dell’opera originale.