Sed Lex > Ma quell’IP di chi è?
Il giudice spagnolo, resosi conto della delicatezza della questione nonché dell’esistenza di norme sovranazionali incidenti sul caso concreto (diverse direttive su proprietà intellettuale, commercio elettronico e dati personali), ha demandato la questione alla Corte che, al termine dell’istruttoria, ha deciso con sentenza 29 gennaio 2008 (Grande Sezione). Il provvedimento è riportato sui siti istituzionali, ma è sempre consigliabile leggere anche le conclusioni dell’Avvocato Generale.
A mio modo di vedere, malgrado le più nette parole dell’Avvocato Generale (schieratosi per la legittimità, da parte dei singoli stati, di un divieto di comunicazione dei dati), la Corte non ha assunto una posizione decisiva. E penso che ciò emerga dalla dichiarazione finale contenuta in sentenza dove da un lato si afferma che l’ordinamento europeo non imponge la comunicazione dei dati, ma dall’altro si ricorda il principio di proporzionalità tra i diversi interessi contrapposti. Come dire, sempre secondo me, che la soluzione può dipendere dal singolo caso concreto.
E veniamo alla disavventure di Logistep AG in casa propria riferiteci anche da Guido Scorza. Va premesso che, malgrado la nota non appartenenza della Svizzera all’Unione Europea, la legislazione elvetica non si discosta troppo da quella unitaria.
La Svizzera si è data regole per la tutela della privacy sin dal 1992 (recentemente rinforzata) ed esiste anche un’apposita Autorità (Incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza – IFPDT) che dialoga costantemente e fattivamente con i Garanti UE (specie in virtù della sua appartenenza all’EFTA – European Free Trade Association). Ecco spiegato perché, come anticipato, le legislazioni sono sostanzialmente sovrapponibili.
Recentemente, si è appreso che Logistep ha cercato di ottenere i dati degli sharer attivando, senza grande successo, la giustizia penale (che, entro certi limiti e come da noi, consente di ottenere queste informazioni) per riutilizzarli, però, nel civile (sede nella quale non sono direttamente acquisibili). E’ evidente a tutti che tutto ciò sembra una manovra di discutibile aggiramento della legge svizzera.
In più, su istanza dell’Associazione Razorback, l’Autorità svizzera (fonte Razorback) avrebbe indirizzato una raccomandazione alla Logistep AG sostenendo l’illegalità della raccolta di dati effettuata coi noti metodi ed intimandone la cessazione del trattamento. Staremo a vedere, il termine concesso sta scadendo.
Intanto, come alcuni sanno, qualcosa del genere potrebbe accadere anche in Italia. Altronconsumo ha, infatti, già depositato due maxireclami al Garante di casa nostra (giugno e luglio 2007) lamentando, a nome dei suoi associati, un’analoga lesione della privacy.
A questo punto, non resta che attendere le determinazioni dell’Autorità che, visti i precedenti (e ci si riferisce anche ai più recenti provvedimenti del Tribunale di Roma che hanno negato l’esistenza di un obbligo di comunicazione dei dati) potrebbero conformarsi a quello che, oramai, sembra un trend sufficientemente definito a salvaguardia della privacy.
Avv. Daniele Minotti
www.minotti.net
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giovanni fino:
Febbraio 7th, 2008 at 13:14
Hai ragione Daniele, il problema è che come giustamente rilevavi la sentenza della CG europea di fatto lascia mano libera ai legislatori per l’eventuale modifica della privacy nazionale al fine di tutelare le esigenze dei copyright holders. Che è, purtroppo, un trend a cui la Commissione sembra particolarmente sensibile (anche per le note “aderenze” di alcuni suoi membri alle Majors). Speriamo in bene, ma non sono ottimista (anche in relazione ai precedenti nostrani, leggi Urbani, che salvo imprevedibili capovolgimenti siamo destinati a ritrovarci tra qualche mese, altro che abrogazione).
Gianni:
Febbraio 7th, 2008 at 13:30
Secondo me occorre valutare anche l’impatto sociale che una sentenza “favorevole alla raccolta IP” potrebbe avere in Italia.
Certo la Commissione non può ignorare il fatto che una raccolta indiscriminata di dati personali e abitudini di navigazione porterebbe l’utenza su due strade:
-Cessazione dell’attività in rete (poco probabile, secondo me…)
-Passaggio a sistemi di anonimato a pagamento (fa testo il servizio Relakks! ma in rete se ne trovano tanti altri: anonimato e traffico cifrato a basso costo).
Se la maggioranza della popolazione in rete adottasse sistemi di questo tipo le indagini investigative (non solo inerenti al P2P) subirebbero certamente un duro colpo:
intercettare una trasmissione cifrata, decrittarla e risalire poi alla fonte è una questione che richiede risorse notevoli.
Ora gli investigatori possono vedere cosa scambiano gli utenti su eMule, Torrent, etc… e “censire” i reati più gravi, associati ad esempio alla pedofilia o alla condivisione per scopo di “rivendita”.
Con la totalità degli utenti occultati dietro sistemi di anonimato la faccenda credo che si farebbe ingestibile, quindi sempre secondo me la Commissione dovrà valutare (per forza) anche questo aspetto.
giovanni fino:
Febbraio 7th, 2008 at 13:42
preciso quel che intendevo: lo scioglimento delle camere non consentirà, credo, di approvare il testo di modifica dell’ex decreto Urbani in materia di punibilità del download a scopo di profitto (e non di lucro). A questo dovrà provvedere il nuovo governo, che potrebbe prendere la palla al balzo per attuare quello che la Corte “non sconsiglia”. Ci sarebbe poi il testo a suo tempo coordinato dall’on. Zingaretti in sede europea che mi pare prendesse posizione sulla questione, ma non so che fine farà in sede di approvazione finale da parte del Consiglio (o Commissione, non sono molto ferrato in diritto comunitario) dopo la presa di posizione della Corte.
Ciao