Oramai, tutti sanno del provvedimento del Garante (peraltro, ampiamente “annunciato” sin dal 30 aprile) che ha ritenuto illegittima la pubblicazione telematica dei redditi.
In sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, quelle modalità non erano previste (da leggi tributarie o dal CAD). Dunque, chiudiamo tutto.
Eventualmente se ne potrà parlare per le riforme future. La legge, al momento, è questa. Il resto è scelta futura: di opportunità, di riservatezza, di trasparenza, di politica. Non mischiamo le due cose. Sono piani molto diversi. Sulla legge vigente, c’è poco da dire, in un senso o nell’altro. Su quella che, eventualmente, verrà, si discuta pure. E tutte le opinioni sono rispettabili (anche se mi sembra di poter dire – pur sulla base dei sondaggi dei vari quotidiani – che l’Italia è un po’ spaccata). In linea di principio, non posso che concordare con Manlio circa l’inesistenza di una “cultura della privacy”. Io, però, mi auguro anche che non si scada all’opposto.
Comunque, dal provvedimento del Garante alla certa rilevanza penale o civile dei fatti, ce ne passa parecchio. Ancora una volta, parlare in termini di “Via ai risarcimenti” è cosa profondamente sbagliata. E non soltanto per le certezze che si comunicano con la notizia.
L’automatismo non c’è, in primis e soprattutto, per Visco in capo al quale ipotizzare (parlando del penale) il dolo (specifico) richiesto dalla legge è letteralmente ridicolo. In civile, poi, occorre dimostrare molto, ma veramente molto.
Quanto agli utenti eMule o, comunque, agli altri che hanno diffuso, il discorso non è tanto diverso. Piaccia o no.
Non dico che quanto accaduto sia una bella cosa. Il punto è che certe conseguenze non sono automatiche e non si possono garantire se la legge è questa.
E, allora, potrei anche essere d’accordo con Andrea il quale afferma che i fatti recenti hanno svelato i limiti punitivi della disciplina vigente. No, io non penso che ci siano grossi buchi nella disciplina della privacy e, sicuramente, non invoco la galera.
Per il penale, contrariamente a quanto affermato da Andrea, il caso concreto non è carente sotto il profilo di un dolo generico (coscienza e volontà, da parte di Visco & Co. della condotta “scellerata”), ma sotto quello, diverso e più particolare, del dolo specifico (di profitto o di danno). Impossibile ricondurlo ai predetti accusati. E profitto e danno non sono elementi della fattispecie, sono soltanto “scopi” prospettati dall’agente che non necessariamente si devono realizzare. Deve, invece, concretizzarsi il nocumento che, secondo la Cassazione (criticabile) coincide con quello patrimoniale.
Tanto meno il buco sussiste in civile dove – caso piuttosto raro per fatti non costituenti reato – si concede, in alcuni casi, anche la risarcibilità del danno non patrimoniale (art. 15). Mi sembra che, acclarate violazioni a parte, della prova del danno non si possa fare a meno. Perché ciò succede in tutti i casi di responsabilità civile. Così, condivisibilmente esclusivamente sul punto, Giancarlo Ferrero in una lettera a Repubblica riprodotta da Luca Sofri, pur con un titolo non corretto (di Sofri o di Repubblica).
Il diritto è una cosa seria.
Agenzia delle Uscite
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