Eluana: la decisione della Consulta
che, pertanto, l’interruzione del trattamento può venire disposta soltanto: «a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona»;
che la Camera ricorrente ritiene pacificamente ammissibile il conflitto, in quanto esso non avrebbe ad oggetto un mero error in iudicando da parte dell’Autorità giudiziaria: quest’ultima, viceversa, avrebbe colmato il vuoto normativo assunto a presupposto delle proprie pronunce «mediante un’attività che assume sostanzialmente i connotati di vera e propria attività di produzione normativa»;
che sarebbe perciò interesse della Camera «ripristinare l’ordine costituzionale delle attribuzioni», giacché per tale via si sarebbe realizzato «il radicale sovvertimento del principio della divisione dei poteri», in violazione degli artt. 70, 101, secondo comma e 102, primo comma, della Costituzione;
che il presupposto da cui muove la ricorrente risiede nel difetto di un’espressa disciplina legislativa atta a regolamentare la fattispecie, come avrebbe affermato la stessa Corte di cassazione;
che mentre quest’ultima ha ugualmente ritenuto di poter accogliere la domanda, la Camera sostiene che ciò sarebbe precluso al giudice, attesa la «appartenenza della materia alla sfera tipica della discrezionalità legislativa»: l’autorità giudiziaria avrebbe invece «proceduto all’auto produzione della disposizione normativa»;
che tale circostanza troverebbe conferma in numerosi indici segnalati dalla ricorrente;
che, anzitutto, la Cassazione, traendo spunti da «una congerie di richiami a soluzioni che al riguardo sarebbero state adottate in ordinamenti e sentenze straniere» e spingendosi persino oltre i limiti ivi tracciati, avrebbe essa stessa confermato «l’impossibilità di reperire nel nostro ordinamento vigente una apposita disciplina legislativa»; inoltre, «le numerose proposte di legge avanzate in materia, peraltro pendenti al momento dell’adozione dei provvedimenti giudiziari impugnati» sarebbero «probanti» del vuoto normativo che fino ad ora ha accompagnato il cd. “testamento di vita”: «d’altro canto, è ben comprensibile», aggiunge la Camera, «che nell’ambito dei campi dell’esperienza umana in cui, come nel caso di cui si tratta, l’evoluzione medico scientifica sollevi controverse questioni etico/giuridiche fondamentali, la risposta del legislatore – quale che ne possa essere il verso – non sia pressoché immediata, ma necessiti di adeguati tempi di riflessione, ferma restando nelle more l’obbligatoria applicazione della normativa esistente»;
che in presenza di tali condizioni, per giustificare l’intervento del giudice non «sarebbe conferente appellarsi alla impossibilità del “non liquet“, considerato che la sua ratio non è certamente quella di consentire la trasformazione del giudice in legislatore, ma anzi è volta, come si sa, a rendere ancor più ineludibile il vincolo al rispetto del sistema legislativo vigente»;
che, infatti, alla luce degli artt. 70, 101 e 102 della Costituzione, «nessuno potrebbe disconoscere che nella Costituzione, conformemente alla nostra tradizione giuridica, opera una istanza di ripartizione dei compiti tra il potere legislativo ed il potere giudiziario il cui nucleo essenziale non può subire alterazioni o attenuazioni di sorta. Tale istanza trova appunto la sua puntuale espressione nelle disposizioni costituzionali sopra richiamate, le quali respingono recisamente l’idea, che emerge obiettivamente dalle sentenze qui impugnate, che tra funzione legislativa e funzione giurisdizionale vi sia niente di più che una frontiera mobile che ciascun potere potrebbe liberamente varcare all’occorrenza»;
che, a maggior ragione, tale conclusione dovrebbe venire ribadita con riferimento alla disciplina dei diritti costituzionali soggetti a riserva di legge, giacché in tal caso «la legge è il mezzo “privilegiato” destinato alla conformazione» di tali diritti;
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