Eluana: la decisione della Consulta

che, prosegue la ricorrente, l’Autorità giudiziaria non avrebbe potuto pronunciare ai sensi dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, poiché, al contrario, gli artt. 357 e 414 cod. civ., in tema di poteri del tutore, già allo stato avrebbero precluso l’accoglimento della domanda, non potendosi attribuire al primo, a parere della Camera, la prerogativa di «disporre della vita del soggetto tutelato»;

che, parimenti, l’art. 5 cod. civ., in tema di atti dispositivi del proprio corpo, e gli artt. 575, 576, 577, 579, 580 cod. pen., in tema di omicidio, avrebbero imposto all’Autorità giudiziaria di concludere che nel nostro ordinamento vige «un principio ispiratore di fondo che è quello della indisponibilità del bene della vita», tutelato dall’art. 2 della Costituzione, secondo quanto già apprezzato, in fattispecie che la Camera reputa analoga, dal Tribunale di Roma, sezione I civile, con sentenza del 15 dicembre 2006;

che, per contro, gli elementi normativi richiamati dall’Autorità giudiziaria a sostegno delle pronunce appaiono alla ricorrente «palesemente inidonei»: infatti, sia il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico), sia l’art. 13 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), sia il codice deontologico dei medici, sia l’art. 2 della CEDU, sia infine la Convenzione di Oviedo sancirebbero l’opposto principio di tutela del diritto alla vita e alla salute del paziente;

che, infine, neppure gli artt. 13 e 32 della Costituzione varrebbero, secondo la Camera dei deputati, a sorreggere le conclusioni cui è giunta l’Autorità giudiziaria, posto che «anche a considerare l’ipotesi che i principi costituzionali siano suscettibili di applicazione diretta in sede giudiziaria, detta eventualità non può che risultare circoscritta al caso in cui il loro contenuto precettivo sia univoco ed auto sufficiente, come tale in grado di assolvere ex se alla funzione di criterio esauriente di qualificazione della fattispecie»;

che, invece, le precitate disposizioni costituzionali non varrebbero, di per sé, a somministrare al giudice la regola del giudizio, anche in ragione delle «differenti letture di cui appare suscettibile l’art. 32 della Costituzione»;

che l’Autorità giudiziaria, per conseguire il risultato cui è giunta, avrebbe dovuto, secondo la Camera, prospettare piuttosto una questione di legittimità costituzionale dell’art. 357 cod. civ.: omettendo tale condotta, essa avrebbe invece proceduto alla «disapplicazione delle norme di legge che avrebbero precluso la soluzione adottata», sostituendole con «una disciplina elaborata ex novo»;

che per tali ragioni, la Camera dei deputati chiede alla Corte, previa declaratoria di ammissibilità del conflitto, di dichiarare che non spettava all’Autorità giudiziaria adottare gli atti impugnati, con conseguente annullamento degli stessi;

che con ricorso depositato il 17 settembre 2008 (reg. confl. poteri amm. n. 17 del 2008) il Senato della Repubblica ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Corte di Cassazione e della Corte di appello di Milano, avente ad oggetto i medesimi atti impugnati dalla Camera dei deputati, chiedendo a questa Corte di dichiarare che «non spettava al Potere giudiziario, e in particolare alla Suprema Corte di Cassazione: a) stabilire il diritto del malato in stato vegetativo permanente di conseguire l’interruzione di trattamenti sanitari invasivi che si risolvono in un inutile accanimento terapeutico cui consegua con certezza il suo decesso; b) disporre la esercitabilità di tale diritto personalissimo da parte del tutore alla stregua e nel presupposto di presunte opinioni espresse in precedenza dall’infermo», con conseguente annullamento della sentenza n. 21748 del 2007 della Corte di cassazione e del decreto del 25 giugno del 2008 della Corte di appello di Milano;

che i presupposti in fatto del ricorso sono i medesimi già enunciati dalla Camera dei deputati: i provvedimenti dell’Autorità giudiziaria avrebbero determinato una «interferenza nell’area della attribuzione della funzione legislativa», fondata su una «cosciente intenzione supplettiva diretta ad ovviare ad una supposta situazione di vuoto normativo»; anzi, le proposte di legge vertenti in argomento attribuirebbero a tale interferenza i caratteri di un intervento indebito «in un puntuale procedimento di legislazione che il Parlamento ha in corso»;

Page 3 of 6 | Previous page | Next page