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(da ZeusNews del 30 marzo 2011)

Che cos’è il furto di identità. Io, come giurista, non amo questa locuzione (l’identità altrui si usa, non si ruba), ma penso che tutti siamo in grado di dare una risposta perché l’argomento è sotto i riflettori da tempo, specie associato a fatti di phishing.

Comunque, ad esempio, si può fare una ricerca in Rete oppure andare direttamente su Wikipedia: “Il furto d’identità è una condotta criminale volta a ottenere indebitamente denaro o vantaggi, fingendosi un’altra persona“.

A breve, però, potremmo avere una definizione giuridica. Infatti, nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto legislativo (non ancora in vigore) che, intervenendo nel corpus del Codice del Credito al Consumo (decreto legislativo 141/2010), dà una definizione di “furto d’identità” imperniata su due distinte ipotesi.

La prima è l’impersonificazione totale: tale condotta consiste nell’occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto. Tale condotta può riguardare l’utilizzo indebito di dati, riferibili sia a un soggetto in vita, sia a un soggetto deceduto.

La seconda è l’impersonificazione parziale: tale condotta consiste nell’occultamento parziale della propria identità attraverso l’impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi a un altro soggetto.

Si badi bene, però, che con ciò non nasce un nuovo reato. Condotte del genere rientrano, infatti, in fattispecie già note e vigenti come il reato di sostituzione di persona (articolo 494 codice penale), quello di trattamento illecito di dati personali (articolo 167 decreto legislativo 196/2003) o quelli di frode (articoli 640 e 640-ter codice penale).

Quale necessità, allora, per questa modifica? Molto semplice, con le parole usate sul sito del Governo: “Consentire alle società che erogano prestiti di poter verificare i dati sensibili [sic!] dei propri clienti per combattere e prevenire le frodi nel settore creditizio e in particolare i furti d’identità nel credito”.

A parte il fatto che, fortunatamente, nessun dato sensibile dovrebbe essere trattato (l’estensore della presentazione ignora la definizione di “dati sensibili” di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 196/2003), non si può negare come la creazione di questo enorme archivio dati rappresenterà una pesante invasione della privacy.

Se poi si considera che non sono approntate specifiche tutele per il singolo diverse da quelle generali (cioè del codice della privacy, peraltro soltanto timidamente menzionato) si comprende quanto la riservatezza debba cedere alle ragioni del credito.