Giornalettismo > Il copyright e i poteri forti della Rete

(da Giornalettismo del 23 marzo 2012)

Un amico mi ha detto che questo editoriale è equilibrato. In realtà, a me sembra un po’ dai toni accesi, quelli di una volta. Un po’ “sopra le righe”, come una volta ho detto di un altro che se l’è pure presa, il permalosone.

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L’anno scorso, d’improvviso, l’AgCom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha affermato di voler redigere un regolamento per la risoluzione delle diatribe sul diritto d’autore online.

L’idea non era piaciuta per il timore che tra i poteri che l’Autorità sembrava volersi attribuire vi fosse anche quello di ordinare l’oscuramento dei siti sospettati di violazioni della proprietà intellettuale. Col sospetto, peraltro, che ciò potesse costituire una scusa per un intervento in realtà meramente censorio.

Insomma, secondo alcuni il solito tentativo di imbavagliare la Rete con uno strumento dall’apparenza legale e, fatto altrettanto grave, bypassando la magistratura.

Personalmente, non ho mai avallato questa tesi un po’ paranoica, ma qualche rischio ci poteva essere. Il perché lo capiremo alla fine dell’articolo.

Fatto sta che, malgrado il sorprendente parere favorevole del costituzionalista (ed ex giudice costituzionale) Valerio Onida, e dopo una “proposta” molto soft di regolamento, il presidente AgCom, Corrado Calabrò, è andato in commissione parlamentare a riferire che non hanno potere regolamentare. Che ci pensi, allora, il legislatore.

Come mai questo clamoroso “revirement”?

Prova a spiegarlo Edoardo Segantini in un editoriale che è il vero bersaglio di queste mie riflessioni: “Poi però Calabrò deve aver avuto paura di mettersi contro la parte del «popolo della rete» più insofferente a qualsiasi limitazione, che trova nei big dell’economia digitale potenti alleati e in Parlamento ascoltatori sensibili”.

Queste e altre amenità qualunquiste contenute nel pezzo in commento, dimostrano, in realtà, sia un interesse di parte (comprensibile, rispettabile, ma non lo eleviamo ad interesse universale), sia un marcato misoneismo che, peraltro, si svela nella vacua locuzione “popolo della rete” (comunque, con le mie fortissime perplessità sull’uso del minuscolo, forse voluto).

Non è la prima volta che Segantini si occupa di temi tecnologici. Ha trattato di social network, banda larga, neutralità della Rete, spesso con curiosità, competenza ed equidistanza, va detto.

Che succede, ora? Credo che dietro ci sia il misoneismo di cui dicevo, forse il voler essere rassicurante come una Rete 4, magari anche una giornata storta: succede.

E c’è soprattutto la partigianeria di chi non vuole adattarsi al mondo che cambia sopra ogni singolo. Sì, perché i “poteri forti” non sono certo le “potenti organizzazioni offshore” – quasi un complottismo occulto – ma, piuttosto, certe note concentrazioni capitaliste – e “tradizionali”, nel senso weberiano – che si arrogano il diritto di pilotare il sapere.

Fermo restando che una semplice authority – peraltro costituita nei modi che anche Segantini dimostra di conoscere perfettamente – non può certo assurgere ad arbitro di un medium – la Rete – che è senza dubbio il veicolo più libero che si conosca: salvo l’intervento dell’autorità, appunto.

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