Occorre una premessa.
Ho scritto il pezzo dopo aver letto diverse opinioni contrarie. Mentre rientravo da una trasferta, alla radio, ho ascoltato Rodotà. Unica opinione favorevole sentita sino a quel momento, prima di mettermi a scrivere.
Poi, con grande piacere, mi sono accorto che, tra i giuristi (e salvo qualche eccezione), non sono stato l’unico a plaudire, quanto meno nei principi enunciati, la sentenza della Corte europea.
Sarzana, tramite Facebook, segnala un pezzo di Alessandro Longo per Repubblica (che mi aveva chiamato per un’opinione sulla vicenda) e leggo che Fulvio la pensa come me, ricordando quante volte, come avvocati nel cercare di tutelare i nostri assistiti, abbiamo sbattuto la faccia contro Big G.
Leggo anche Gibbì Gallus e Kikko Micozzi, felice di pensarla alla stessa maniera, paradossalmente in modo non omologato, anzi…
No, non abbiamo paura della Rete e non la odiamo. Vogliamo soltanto equità. Vediamo troppe ingiustizie e prevaricazioni, anche qui in Internet.
Ed ora il mio pezzo per LSDI.
Per alcuni è l’ennesima occasione per dare contro al governo (meritevole o non meritevole delle nostre censure, non è questo il punto).
Per altri, il momento giusto per schierarsi a fianco di Google oppure contro. Il mondo è pieno di faziosi, lo sappiamo.
Per altri ancora, c’è l’opportunità per fare un po’ di (in-)sano populismo, per dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire. In un modo o nell’altro, sono sempre fazioni.
Però, mi sembra che pochi abbiano compreso a fondo l’origine della pronuncia della Corte Europea sulla responsabilità per i risultati dei motori di ricerca (e non solo su questo punto, per la verità).
A costo di tediare col legalese, vorrei affrontare il problema con un certo rigore, cominciando col linkare lapronuncia.
Si comprende, così, che la Corte non ha deciso alcunché nel merito. Di certo, ha detto cose molto importanti (e il significato da dare ad una direttiva è cosa fondamentale) e cogenti, ma la decisione sul caso concreto è ancora da venire.
Ad oggi, abbiamo risposte ad alcune domande su questioni pregiudiziali. La pregiudiziale si ha quanto un giudice nazionale, eventualmente su istanza delle parti, chiede la corretta interpretazione di una norma dell’Unione. Il responso, obbligatorio, è dato appunto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Nel caso concreto, alla Corte sono stati chiesti lumi sulla corretta interpretazione di alcune regole espresse dalla direttiva 95/46/CE in tema di dati personali.
Tema generale il “diritto all’oblio” che, si badi bene, non è l’ultimo capriccio del giurista tecnologico (o sedicente tale), ma argomento di cui si dibatte da decenni: Stefano Rodotà – e non solo – ne parlava ancora prima che esistesse il Web. Ne avevo scritto tempo fa proprio su queste pagine, riferendo di alcune decisioni italiane.
Il “diritto all’oblio” è il diritto ad essere dimenticati. E, considerata la straordinaria memoria della Rete (e che i motori di ricerca sono diventati vere e proprie interfacce utente rispetto Web – con tutti i vantaggi che ne traggono), la cosa si fa particolarmente delicata proprio riguardo le informazioni pubblicate in Rete.
Così, si pone naturalmente contro un eventuale diritto di cronaca anzi, per la precisione, al diritto ad essere informati. E’, inevitabilmente e come succede praticamente sempre, una questione di diritti contrapposti del cui equilibrio si deve discutere, ma nel caso concreto.
D’ altro canto, non vi è certo misoneismo in chi invoca il diritto all’ oblio contro il diritto ad essere informati mediante la Rete. Anzi, vi è grande consapevolezza del mezzo che non è come un giornale che finisce, in un archivio dimenticato e di fatto inaccessibile.
Si tratta di un diritto in divenire nelle varie legislazioni, non ancora precisamente delineato, anche in quella dell’Unione, ma in via di definitivo consolidamento specie attraverso il regolamento europeo di prossima (si dice) approvazione.
E veniamo al nostro caso. Un cittadino spagnolo chiede di essere dimenticato e vuole che ciò avvenga mediante la cancellazione di determinati contenuti all’origine e anche dei relativi risultati da Google.
Il Garante spagnolo gli dà parzialmente ragione, lasciando le fonti all’ origine (in quanto la pubblicazione era stata ordinata da un giudice per motivi di pubblicità legale), ma imponendo a Google di omettere i relativi risultati di ricerca.
Big G non ci sta e impugna davanti all’ Autorità giudiziaria iberica la quale decide di vederci chiaro interrogando la Corte europea che fornisce quattro precise risposte.
Secondo la direttiva richiamata:
– un motore di ricerca come Google effettua un “trattamento di dati personali”, mentre il gestore deve essere inteso come “responsabile” secondo la legislazione europea (nella legislazione italiana si parla di “titolare”, figura per certi versi coincidente);
– se un soggetto extracomunitario stabilisce una propria succursale in uno Stato UE e
con essa effettui un trattamento, allora deve sottostare alle leggi dell’Unione, ad esempio la direttiva;
– l’interessato gode di tutta una serie di diritti tra cui anche quello all’aggiornamento e alla cancellazione, ovviamente a determinate condizioni fissate per legge, anche nei confronti del gestore di un motore di ricerca e pur in presenta di un’originaria pubblicazione legittima;
– i diritti del singolo posso prevalere su quelli (tipicamente economici) del gestore del motore e addirittura su quelli del pubblico (il diritto ad essere informati); ciò ai sensi di quanto sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Francamente, mi sembra tutto ineccepibile nei principi (perché ricordo che la Corte non ha deciso sul caso concreto).
E proprio il riferimento alla Carta UE dovrebbe fare parecchio riflettere perché nessuno nega che vi sia un diritto alla conoscenza di certe informazioni, ma occorre sempre ricordare che esso deve essere contemperato con gli altri principi espressi dalle Carte nazionali o sovranazionali.
E invece no, si preferisce bollare, in vario modo, la decisione di Lussemburgo con tanti argomenti spesso più di pancia che di testa.
Almeno un abbozzo di diritto all’oblio esiste, non possiamo negarlo, e discende dagli artt. 12 e 14 della direttiva approvata vent’ anni fa e recepita in tutta l’Unione. Occorre valutarne estensione e forza, se comporti la cancellazione o, come visto qui da noi, soltanto una rettifica (cosa difficilmente applicabile ad un motore), ma l’esistenza dei diritti espressi dalle disposizioni appena citate dovrebbe costituire un punto fermo, a meno che non si voglia cambiare la legge.
Ad ogni modo. il diritto all’oblio, nella forma appena vista, non è inapplicabile alla Rete. Anzi, la straordinaria memoria che quest’ultima possiede ne rende urgente una sua più precisa definizione: nell’nteresse dei singoli che non necessariamente devono sempre soccombere di fronte ad un irresistibile diritto pubblico o, peggio, di quello subdolo di un privato contrapposto.
perché una rettifica non può essere applicabile a un motore di ricerca? Basta che il risultato della rettifica appaia prima di quello della notizia vera e propria, il che non mi pare così difficile da implementare.
(però questo non è “diritto all’oblio” strictu sensuu, ma semplicemente diritto alla correttezza dell’informazione)
@.mau.
Per me rimane una cosa difficile (non impossibile) perche’, per esempio, dovrebbe essere un unico risultato. In pratica, ti ci vedo a chiedere a Google la rettifica e quelli che si lagnano sempre 😉
Poi, per sua natura, credo che la rettifica vada posta alla fonte anche se – e forse questa e’ una provocazione – il motore potrebbe fornire un titolo e un digest fuorvianti (che comrpendono soltanto la notizia e non la rettifica). Questo conforta la mia idea che un motore e’ cosa diversa dalla fonte, non e’ mera indicizzazione.
Sulla seconda questione, ho parlato di *abbozzo* secondo quei due articoli proprio perché oblio vero e’ dimenticare.
Pingback: :.:.: (il blog di) Daniele Minotti » Troppo bello per essere vero?
Pingback: :.:.: (il blog di) Daniele Minotti » Questi fanno sul serio
Pingback: :.:.: (il blog di) Daniele Minotti » Meglio le calunnie in rete della censura di Google?