Il CNF sbaglia e io pago

2.– Il CNF ha impugnato tale provvedimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con sentenza 1° luglio 2015, n. 8778, ha parzialmente accolto il ricorso e ha annullato l’atto impugnato nella sola parte in cui ha qualificato come illecita l’adozione della circolare n. 22-C/2006, con conseguente obbligo dell’AGCM di rideterminare la sanzione.

3.– La sentenza del Tribunale amministrativo è stato oggetto di impugnazione sia da parte del CNF sia da parte dell’AGC.

4.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 28 gennaio 2016.

5.– Gli appelli, stante la loro connessione soggettiva e, parzialmente, oggettiva, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica decisione.

6.– L’appello proposto dal CNF non è fondato.

6.1.– Con i primi tre motivi l’appellante deduce che il CNF è un ente pubblico non economico che, in base alla normativa che lo disciplina, svolgerebbe funzioni amministrative e, in alcuni casi, giurisdizionali. Non potrebbe, pertanto, essere qualificato come “associazione di imprese”. Ne conseguirebbe che l’AGCM avrebbe dovuto agire nel rispetto delle modalità procedimentali previste dall’art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).

I motivi non sono fondati.

La questione, posta con le suddette censure, impone di accertare se l’AGCM avrebbe dovuto agire in applicazione degli articoli 101, primo par., TFUE ovvero dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990.

La prima disposizione prevede che «sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno» (in senso analogo art. 2 della legge n. 287 del 1990).

Presupposti, soggettivo e oggettivo, per l’applicazione di tale norma sono che si sia in presenza di una «impresa» o di una «associazioni di imprese» e che vengano poste in essere attività economiche idonee a pregiudicare la libera concorrenza. In questi casi, l’AGCM adotta un provvedimento sanzionatorio impugnabile innanzi al giudice amministrativo.

La seconda disposizione prevede che l’Autorità: i) «è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» (primo comma); ii) «se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate», con la conseguenza che «se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni» (secondo comma).

Presupposti, soggettivo e oggettivo, per l’applicazione di tale norma sono che vi sia una «amministrazione pubblica» e che questa adotti un “atto amministrativo”. In questa casi, l’AGCM è titolare di una legittimazione straordinaria ad impugnare tale atto a tutela dell’interesse diffuso della concorrenza innanzi al giudice amministrativo, nel rispetto delle modalità prefigurate dalla norma stessa.

Nel caso in esame, occorre, pertanto, accertare se il Consiglio nazionale forense sia una “amministrazione pubblica” che ha adottato un “atto amministrativo” lesivo della concorrenza ovvero un’ “associazione di imprese” che ha adottato una “decisione” lesiva della concorrenza.

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