Il CNF sbaglia e io pago
L’art. 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) prevede che «gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti», aggiungendosi che occorre, tra l’altro, assicurare che «la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni» sia libera e che le informazioni sia trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, né ingannevoli o denigratorie.
Nel caso in esame l’attività oggetto di contestazione da parte del CNF si risolve in una modalità di pubblicità protetta dalla norma riportata e non in contrasto con i limiti da essa posta. Il sistema «Amica Card», come correttamente rilevato dal primo giudice, è finalizzato a mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, un spazio on line nel quale questi può presentare l’attività professionale svolta e proporre uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi. La circostanza che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti ovvero, come ritenuto dall’appellante, solo agli affiliati al circuito, non è di per sé, in assenza della dimostrazione di elementi qualificanti incompatibili con la deontologia e con il decoro della professione, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiva in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazione dello sconto e dell’attività svolta. Né risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermediazione dai connotati diversi da quelli sopra esposti.
In definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza.
6.4.– Con un sesto motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha qualificato come intesa “per effetto” e non “per oggetto” quella in esame. In particolare, si assume che il comportamento contestato, proprio per le finalità perseguite dal CNF, non potesse essere qualificato come intesa “per oggetto”. Ne conseguirebbe l’illegittimità del provvedimento impugnato per difetto di istruttoria per non avere l’Autorità accertato la concreta lesione della concorrenza derivante dall’adozione del parere. L’appellante, inoltre, rileva che l’Autorità ha comunque svolto tale accertamento dimostrando essa stessa, con il suo comportamento, di qualificare l’intesa “per effetto”, con conseguente impossibilità di potere qualificare l’accordo “per oggetto”. Si contesta, infine, l’accertamento concreto che secondo l’Autorità avrebbe comportato una contrazione dei iscritti al circuito mentre secondo l’appellante gli iscritti sarebbero passati da 4.000 a 4.607.
Il motivo non è fondato.
L’art. 101, primo par., TFU, sopra riportato, dispone che le intese possono essere «per oggetto o per effetto».
La Corte di giustizia ha affermato che le intese “per oggetto” si caratterizzano per il fatto che «talune forme di coordinamento tra imprese possono essere considerate, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza». Si è, inoltre, chiarito che per accertare se si è in presenza di una intesa “per oggetto” occorre avere riguardo «al tenore delle disposizioni dell’intesa stessa, agli obiettivi che si intende raggiungere, al contesto economico e giuridico nel quale l’intesa stessa si colloca». Nella valutazione di tale contesto, «occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione» (sentenza 11 settembre 2014, in causa C-67/13 P).
Le intese “per effetto” ricorrono quando non sussistono i presupposti per configurare la sussistenza di una intesa per “oggetto”, con la conseguenza che occorre esaminare gli effetti e «dovranno sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto, o falsato in modo significativo».
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