Il CNF sbaglia e io pago

Nella fattispecie in esame, l’intesa contestata è “per oggetto”. Il CNF ha, infatti, ritenuto non consentita una modalità di pubblicità che è finalizzata a tutelare la concorrenza tra professionisti. L’ “oggetto” dell’intesa è stato, pertanto, quello di rendere più difficoltoso l’accesso al mercato delle professioni di avvocato. Non occorreva, conseguentemente, che l’Autorità svolgesse accertamenti concreti volti a stabilire se, in effetti, il parere avesse inciso sulla libera concorrenza. Né potrebbe ritenersi che, avendo l’AGCM svolto questa valutazione, ritenuta erronea, non si potrebbe più qualificare l’intesa come “per oggetto”. Il comportamento dell’Autorità non può, infatti, incidere su una qualificazione giuridica che spetta all’autorità giudiziaria.

La mancanza di dubbi in ordine alla portata dell’art. 101 TFUE rende non necessario disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea richiesto dall’appellante. Anche perché la questione posta ha richiesto una valutazione esclusivamente calibrata sulla specificità dei fatti oggetto della presente controversia.

6.5.– Con l’ultimo motivo, si è dedotta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto corretta la misura della sanzione inflitta. In particolare, si è affermato che: i) per tutte le ragioni esposte, la violazione non può ritenersi grave; ii) non possono essere considerati i contributi alla stessa stregua del fatturato, con la conseguenza l’Autorità avrebbe dovuto adottare una diffida o una sanzione “simbolica”; iii) la percentuale del 5% sarebbe eccessiva.

Il motivo non è fondato.

L’art. 15 della legge n. 287 del 1990 prevede che l’Autorità «nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, determinando i termini entro i quali l’impresa deve procedere al pagamento della sanzione».

Questa disposizione è stata rispettata.

L’illecito ha natura grave per le ragioni correttamente evidenziate nel provvedimento impugnato: estensione dell’illecito sull’intero territorio nazionale; promanazione dell’intesa dall’organo esponenziale dell’avvocatura italiana; contesto normativo di liberalizzazione delle professioni nel quale si colloca.

La parificazione dei contributi al fatturato è legittima. Una volta ritenuto che il Consiglio nazionale forense debba possa essere considerato anche come “associazione di imprese” non può che ritenersi che i contributi associativi siano il corrispondente del fatturato. Diversamente argomentando si verrebbe a configurare una “associazione di imprese” diversa dalle altre per la quale non potrebbe trovare applicazione il sistema delle sanzioni pecuniarie in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza europea che, a tutela della concorrenza commerciale, come già rilevato, include anche gli Ordini professionali, in presenza di determinate circostanze, nel campo di applicazione dell’art. 101 TFUE.

La percentuale indicata risponde a criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Si tenga conto che il calcolo effettuato aveva condotto l’Autorità a disporre una sanzione ancora più elevata che poi è stata ridotta in applicazione del limite del dieci per cento del fatturato previsto dal citato art. 15.

7.– L’appello dell’AGCM è fondato.

L’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che non costituisce intesa anticorrenziale l’avere ripubblicato la circolare n. 22-C/2006, nel 2008, sul sito del CNF e successivamente nella banca dati gestita dall’Ipsoa. In particolare, il primo giudice è pervenuto a tale conclusione per le seguenti ragioni: i) tale circolare è stata espressamente superata dalla circolare n. 23 del 2007; ii) tale ripubblicazione «non può avere avuto lo scopo che l’AGCM li attribuisce, atteso che in alcun caso esso avrebbe potuto essere raggiunto proprio per il comportamento tenuto, nel 2007, dal CFF». L’appellante, AGCM, ha messo in rilievo, alla luce della complessiva ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato, come non possa avere rilevanza: i) il profilo soggettivo; ii) la circostanza dell’avvenuta abrogazione in ragione della preminenza che deve essere assegnato al comportamento.

Le censure sono fondate.

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