Il CNF sbaglia e io pago

L’art. 2, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale) ha disposto che: «In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (…) sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali», tra l’altro, «l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti». Il successivo comma 3 ha disposto che: «Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007».

La successiva evoluzione legislativa ha confermato e generalizzato anche per altre professioni le tariffe professionali: art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; art. 13 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento forense).

La circolare n. 22 del 2006 contiene «osservazioni sulla interpretazione e applicazione» del predetto decreto n. 223 del 2006 e, in una sua parte, dispone che «il fatto che le tariffe minime non sia più “obbligatorie” non esclude che (…) le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe». Subito dopo si aggiunge che «tuttavia nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essere il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli articoli 5 e 43, comma 2, del codice deontologico, in quanto il compenso irrisorio, non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.».

Questa circolare integra gli estremi di una intesa “per oggetto” avendo un chiarito contenuto anticoncorrenziale.

Chiarito ciò, occorre analizzare il comportamento successivo tenuto dal CNF per valutare se sussistono gli estremi dell’illecito contestato.

Si riportano i fatti rilevanti posti in essere:

– a seguito di accertamenti dell’AGCM che hanno messo in rilievo la contrarietà della circolare alle nuove disposizione, il CNF ha adottato una nuova circolare n. 23 del 2007 che ha “superato” la precedente;

– da accertamenti svolti nel giugno del 2012 dall’Autorità è risultata la presenza sul sito istituzionale del CNF di un documento denominato «Nuovo tariffario forense» (d.m. n. 127 del 2004) unitamente alla circolare n. 22 del 2006;

– a seguito di questa ultima segnalazione il CNF ha comunicato all’Autorità di avere provveduto allo spostamento della circolare 2006 nella sezione dedicata alla «Storia dell’Avvocatura» ;

– a seguito di accertamenti disposti in data 20 maggio e 15 luglio 2013, la circolare e il d.m. n. 127 del 2004 (unitamente al successivo decreto n. 140 del 2012) risultavano ancora presenti nella banca dati del CNF, essendo inserita nella sezione denominata «Tariffa/Tariffe professionali»;

– a seguito delle ultime rilevazioni effettuate in data 4 novembre 2013 e 7 luglio 2014 la circolare. non risultava più presente.

Da quanto esposto risulta che il CNF, nonostante la palese contrarietà della circolare alle nuove regole di tutela della concorrenza, ha continuato ad inserire detta circolare sul proprio sito e poi nella banca dati.

La valutazione complessiva del comportamento tenuto dall’appellante induce, pertanto, a ritenere che esso integri gli estremi di una intesa “per oggetto”.

In questo contesto, non assume rilevanza:

– l’intervenuta abrogazione della circolare, in quanto ciò che rileva, ai fini della configurazione dell’illecito antitrust, è il comportamento tenuto dal soggetto, che, al di là della formale vigenza dell’atto, non decisiva ai fini comunitari, ha consentito alla circolare solo apparentemente ritirata di risultare sostanzialmente vigente in modo da indirizzare in chiave potenzialmente anticoncorrenziale la condotta degli operatori;

– l’asserita mancanza dell’elemento soggettivo, in quanto «l’intenzione delle parti non costituisce un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo tra imprese (…)» (sentenza n. 67 del 2014 della Corte di Giustizia, cit.);

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