Stefano fa il classico “mumble-mumble” sull’ordinanza (non sentenza, mi si permetta la precisazione) del riesame bergamasco, quella su The Pirate Bay. Provo a dire la mia, riprendendo i suoi punti.
- la sentenza non e’ chiara
Personalmente, invece, la trovo chiarissima. E’ sbagliata, ma è un altro discorso. Per punti, dice che il reato c’è (in capo a Suede & Co., in concorso con ignoti), che il giudice italiano può decidere (c’è giurisdizione) perché Alexa dice che ci sono tantissimi utenti italiani che hanno visitato la Baia dei Pirati (queste statistiche sono state fornite da FPM, giusto per dirlo, e a GdF, PM e GIP sono state benissimo). Che, soprattutto, c’è il reato.
Anche se, necessariamente, è tutto a livello indiziario, non mi sembra poco.
- il reato “mettere a disposizione”, ammesso che si configuri con i file in questione, e’ stato commesso all’estero dove non c’e’ competenza italiana, in piu’ basate su nessun concreto reato rilevato ma su statistiche
Il reato prevede la messa a disposizione con immissione nella rete, giusto per chiarezza. A parer mio non c’è, però, la minima prova che vi sia stato qualcosa di penalmente rilevante tale da rientrare in ipotesi come quelle di cui agli artt. 171, comma 1, lett. a-bis) o 171-ter, comma 2, lett. a-bis). Per le misure cautelari (reali nel nostro caso, ma anche per quelle personali) basta molto meno di una prova. Fumus, indizio, chiamiamolo un po’ come vogliamo. Ma quello è, per legge. Malgrado ciò, ragionare soltanto sulla base di accessi italiani (ammesso che il fatto sia rilevante), mi sembra sbagliato e, come tale, neppure rientrante nel fumus.
- secondo i giudici il fatto che TPB presenti una licenza di 5000eur+ costo banda per il download a scopo di profitto, fa perdere a TPB il ruolo di mero intermediario tecnico (*)
Una cosa simile la dice il GIP copiano e incollando la richiesta del PM. Ma, nell’ordinanza del riesame, non ve n’è menzione, forse perché scavalcata da altre questioni.
In realtà, quei 5.000 + costo banda rappresenterebbero, secondo TPB, una sanzione per uso non conforme dei propri servizi. Il GIP (e, prima, il PM) da ciò hanno dedotto il lucro che caratterizzerebbe l’iniziativa (oltre alle questioni di pubblicità).
- la GdF di bergamo ha inciampato disponendo un redirect verso un sito estero afferente i discografici, cosa non stabilita dai giudici
Più che inciampare, ha fatto qualcosa di illegale. Sfido chiunque. Se il mio capo mi dice di impedire l’accesso ad un luogo, io non sono autorizzato a deviare i visitatori verso un altro posto, per giunta senza possibilità di scelta (e, comunque, in modo non trasparente). Basta una metafora, non occorre essere Pisapia (padre). Sembra proprio una delle solite cose all’italiana. Tant’è…
Alcei, Altroconsumo e ADUC si sono rivolti al Garante. Il Partito Pirata ha fatto qualcosa di più depositando un esposto diretto alla Procura di Bergamo. Vedremo, ma non sono così ottimista.
Mazza, difendendo la posizione FPM, dice che non è colpa dei discografici che si sono limitati a mettersi a disposizione su richiesta della GdF. Sta di fatto che, come tutti sappiamo, sul decreto di sequestro non si parla minimamente di redirect che è cosa ben diversa dall’inibizione. Dunque, il problema sta in chi, malgrado un certo ordine, l’ha eseguito in modo essenzialmente diverso. Gli accertamenti del caso sveleranno chi ha deciso questa cosa, spero.
- il tribunale del riesame ha detto che “sequestro” non equivale a “filtraggio”, ma non ha valutato l’insussistenza della giurisdizione italiana; inoltre confermando la validita’ dell’impostazione del PM ha affermato la responsabilita’ dei motori di ricerca
Il riesame di Bergamo ha detto che il blocco non può rientrare nello schema di una misura cautelare “reale” (tale è il sequestro preventivo) che necessita dell’apprensione della res, ma, a mio modo di vedere, non ha generalizzato dichiarando la responsabilità dei motori.
Contrariamente, però, a quanto si legge in giro (e che ho scritto anch’io in un primo momento) il riesame ha dichiarato (pur senza particolari argomenti) la sussistenza della giurisdizione italiana. Alexa, come ricordato sopra, dice che ci sono visitatori italiani (da ISP italiani), dunque c’è giurisdizione. Peccato che visitare un sito non sia reato (neppure nel pedoporno, giusto per fare un esempio più scottante).
- un errore di interpretazione della legge configura per gli ISP l’obbligo di diventare “sceriffi della rete”.
No. O, meglio, non proprio così. Per i motivi appena visti e anche perché il riferimento all’art. 14 d.lgs. 70/2003 è stato oltremodo superficiale. Quel richiamo deriva dalla denuncia FPM, ma nessuno dei soggetti coinvolti (FPM, PM, GIP e Riesame) ha saputo andare al di là di un apodittico “applicabile”. Il fatto è che, come detto da altri saggi in altri ambiti, le leggi nostrane non possono essere lette senza dare un'”occhiatina” ai considerando delle direttive da cui derivano. E’ il solito problema della grande ignoranza del diritto comunitario (di cui non sono immune).
(*) come la mettera’ youtube a sostenere che e’ solo un intermediario se adesso cambia il business model ?
Credo che si debbe interpretare nel senso che allo stato delle indagini non risulta che i fornitori di accesso italiani (individuati come destinatari dell’ordine dell’AG) abbiano promosso il P2P a scopo di di lucro.
e poi nel testo della decisione c’e’ questa frase:
…che il decreto censurato ha il contenuto di un ordine imposto dall’Autorità Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito in questione da parte di terze persone;…
Mi scrive Paolo Nuti:
Credo che si debbe interpretare nel senso che allo stato delle indagini non risulta che i fornitori di accesso italiani (individuati come destinatari dell’ordine dell’AG) abbiano promosso il P2P a scopo di di lucro.
Credo che l’osservazione di Nuti sia teneramente ingenua, di una persona (buon per lui) che non frequenta i tribunali. Ognuno è sospetto. Questa è l’impostazione di ogni buon investigatore.
20 Responses to Rispondendo a Quinta