Equo compenso e P2P (download)
Cercavo delle cose su Technorati e mi sono imbattuto su questo post di Alessio Canova.
Si parla di una tesi di Andrea Monti (per la verita’, con tutto il rispetto per Andrea, ne avevano parlati altri prima) circa la presunta "legalizzazione" del P2P (soltanto per il download) a seguito dell’introduzione dell’equo compenso su supporti e dispositivi.
E’ interessante anche il veloce botta e risposta nei commenti.
Merita una riflessione, magari un reload da qualche parte.
marco:
Maggio 22nd, 2007 at 21:05
Da qualche parte sbaglierò, ma sarei curioso di sapere esattamente dove.
Se io compro un disco, acquisto il diritto di fruire del brano dove, quanto e quando mi pare, a meno che non ci siano evidentissime limitazioni espresse sul disco stesso.
Cioé, posso tranquillamente codificarmi da solo l’mp3 di un originale per passarmelo sul lettore portatile, ad esempio.
L’eventuale limitazione di licenza al solo supporto fornito dal discografico meriterebbe un apporfondimento a sé stante… Potrebbe sostenersene l’invalidità ain base a principi generali, ma per ora supponiamo che si tratti di brani lecitamente “convertibili” (e quindi anche copiabili) per uso privato.
Se io posso convertirmelo, posso anche farmelo convertire da un terzo, ove io non abbia le capacità, o i mezzi o la voglia o il tempo.
Se qualcuno vuole convertire un CD e mettere a disposizione l’attività di conversione (la propria attività “manuale”) gratis, a favore dei terzi titolari della licenza di fruizione del brano perché a loro volta il disco lo hanno comprato, secondo me può farlo.
Spetta a chi scarica dal p2p di limitarsi a scaricare soltanto i brani di cui possiede la licenza. Non spetta a chi eventualmente condivide un file di trasformarsi in poliziotto e verificare che chi accede al file ne abbia il diritto.
Che facciamo, la prossima volta che salgo sul treno se qualcuno mi chiede se un certo posto è libero gli devo chiedere il biglietto sennò le ferrovie lo addebitano a me perché io ho spostato il cappello e ho detto “si”, senza verificare se il passeggero aveva il diritto di sedersi?
La metafora è ardita e inconferente, ma rende l’idea.