Ho scritto una cosa per ZeusNews sull’argomento dell’altro giorno, quello della competenza in caso di diffamazione telematica. In linguaggio meno legalese, ma penso un po’ più approfondito. Se avete due minuti…
(da ZeusNews del 2 maggio 2011)
Che le regole giuridiche “tradizionali” non fossero sempre facilmente applicabili alla Rete lo si sapeva praticamente da sempre. E una recente pronuncia della Cassazione ce lo conferma. Il fatto è che, pur allergica alle regole, la Rete meriterebbe qualche certezza in più, almeno da parte degli interpreti.
Il caso: una presunta diffamazione telematica per un contenuto pubblicato su un sito. Il problema: due uffici giudiziari “litigano” per procedere contro il responsabile. Si chiama conflitto positivo di competenza per territorio (se gli uffici giudiziari avessero ritenuto di non essere competenti il conflitto sarebbe stato negativo).
Qui da noi, non esiste una regola consolidata che ci indichi il giudice competente in queste vicende telematiche. Possiamo provare a partire da quella, generale e fondamentale, che ci dice che è competente il giudice del luogo dove il reato è stato consumato (art. 8 c.p.p.).
Parliamo della diffamazione che, giuridicamente, è l’offesa della reputazione altrui comunicando con due o più persone (art. 595 c.p.). Dunque, il reato si consuma se e quando si compromette questa reputazione. Luogo che, però, non è facile accertare se parliamo di Internet.
Per la stampa, quella cartacea, si è fatto ricorso al criterio del luogo di stampa, come punto di prima diffusione, ma per Internet?
Molti parlano ancora del mitico (quanto irrilevante) luogo del server (ipotesi, peraltro, presa in considerazione dalla sentenza in commento e bocciata senza appello).
Taluni preferiscono il luogo ove la reputazione è maggiormente compromessa, cioè il domicilio della persona offesa (ma si tratta di un criterio che ha senso nelle cause civili di risarcimento del danno).
Altri, più correttamente, ricordando che diffamazione è, penalisticamente, lesione della reputazione comunicando con due (non soltanto una) o più persone (anche non contemporaneamente), hanno pensato al luogo ove queste due persone (diverse dall’offeso, ovviamente) percepiscono l’offesa (e vi è giurisprudenza in tal senso). Si tratta della soluzione eletta dalla Cassazione, ma è chiaro che la prova del luogo di percezione da parte di due (almeno) persone non è agevole.
Un po’ sbrigativamente, secondo alcuni, la Suprema Corte ha così scelto la via più semplice.
Siccome i criteri ordinari (quelli che fanno riferimento a un luogo preciso della condotta o dell’evento) in Rete sono di difficilissima (se non impossibile) applicazione, allora è giocoforza fare appello a quelle che, sintomaticamente, la legge chiama “regole suppletive”, cioè quelle di cui all’art. 9, comma 2, c.p.p. che prescindono dall’individuazione del luogo fisico di commissione del reato: “giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato”.
Ecco perché il processo posto all’attenzione della Cassazione finirà “a casa dell’indagato”: il giudice competente sarà quello della sua residenza o domicilio. Senza ulteriori accertamenti come, ad esempio, quelli sui log del server (per svelare il luogo dei primi accessi).
D’altro canto, certi log non durano nel tempo e non sempre possono essere conservati, quindi gli accertamenti non sarebbero stati sempre agevoli.
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