Ancora sul caso Peppermint
In un commento al post precedente, mi e’ stato chiesto di approfondire il mio pensiero gia’ esposto su P2P Forum Italia. Onorato.
L’ho fatto sempre nei commenti, ma lo ripropongo come post, un po’ piu’ elaborato, anche se il tempo e’ sempre tiranno, specie il venerdi’…[[SPEZZA]]
Francamente, non ho molto da aggiungere.
Sono, chiaramente, meno "convinto" di altri colleghi che ho letto su P2P forum. Mi sento decisamente meno sicuro su presunte violazioni della privacy, presunte violazioni deontologiche dei Colleghi bolzanini (anche se non mi piace la "disponibilita’ del procedimento penale), sulla decisivita’ di certe incongruenze nella citazione dei provvedimenti romani, ecc.
Sicuramente, ho qualche perplessita’ sulla traduzione italiana di IPRED1. Leggevo uno scritto di Andrea Monti proprio stamattina e ricordo anche questa pagina.
Dubito, pero’, che la cosa possa essere sollevata dal singolo utente in un’eventuale causa civile o penale intentata da Peppermint.
Parimenti, non vedo fondata la questione del (presunto) trattamento di dati all’estero. A parte il fatto che non sappiamo se veramente i dati siano stati acquisiti in Svizzera (da Logistep), trasmessi in Germania (verso Peppermint) e/o in Italia (a Bolzano, dai Colleghi), la circolazione di dati personali e’ anche per l’estero (UE e non) regolata dagli artt. 42 e ss. TU dati personali.
Penso che l’esercizio di un diritto in sede giudiziaria legittimi questo trattamento (anche se, per adesso, c’e’ stato soltanto un procedimento cautelare per acquisirli).
Abbiamo, ancora, le questioni dell’univocita’ dell’hashset (che qualcuno mette in dubbio), le ombre sul funzionamento di un software che potrebbero essere spazzate via soltanto con l’apertura del codice (con tutto il rispetto, mi sembra eccessiva la conclusione del giudice romano sulla scorta di dichiarazioni unilaterali di Pepeprmint-Logistep), sulla certezza dell’immissione in Rete di un’opera protetta (completa o parzialmente fruibile), sull’identita’ di chi ha immesso (che non necessariamente corrisponde al titolare della connessione), ecc.
Ma, senza visionare tutto quello che c’e’ dietro le decisioni di Roma, vedo un po’ arduo dare certezze agli utenti.
Poi, se vogliamo fare una questione di principio denunciando il presunto carattere ricattatorio della diffida, possiamo, appunto, pensare ai principi.
Io non posso che assumere un atteggiamento pratico. Difendersi – e’ chiaro a tutti – costa (non soltanto di avvocati) e, a parte le questioni di principio, l’unica soluzione ragionevole e sostenibile mi sembra quella di affidarsi ad Associazioni di consumatori (anche se occorre verificare la preparazione in materia) oppure, in piu’ persone, a uno o piu’ avvocati, ovviamente competenti.
330 euro, a prescindere dal rapporto con la violazione, sono una posta oggettivamente bassa. Somma studiata a tavolino? Non lo so, ma il rapporto oggettivo rimane.
Anche se nessuno, giova ribadirlo, puo’ dare certezze sul blocco di un eventuale procedimento penale per il reato di cui all’art. 171, comma 1, lett. a-bis) l.d.a.