Sed Lex > Software, certi usi non sono punibili – UPDATED

Premessina

Io titolo e sunto (quest’ultimo riportato soltanto su PI) li avrei scritto diversamente. Perché se un dato comportamento non ha rilevanza penale (così come sostengo io), non è detto che, automaticamente, non possa portare a conseguenze civili e/o amministrative. Ma fa lo stesso. Non biasimo PI e penso che, comunque, il testo chiarisca il mio pensiero. Detto ciò, do qualche spiegazione ulteriore.

La sentenza commentata nel mio contributo che riporto in calce era nota da tempo. Non da tantissimo, ovviamente, ma diciamo che il contenuto, per sintesi, è iniziato a trapelare con la pubblicazione della motivazione, dunque con l’ultima decade di giugno. Pochi giorni dopo è stata integralmente pubblicata sul sito della Cassazione e, da quel momento, diversi altri siti hanno fatto lo stesso.

L’ho letto, ma non ho dato alcun seguito alla cosa. A causa delle motivazione un po’ stringata relativa, inoltre, al ricorso avverso un patteggiamento, ho pensato non vi fosse molto da commentare.  Ora capisco di aver sottovalutato le possibili (e puntualmente verificatesi) strumentalizzazioni su un testo, in effetti, un po’ ambiguo.

Le strumentalizzazioni ci sono state, eccome. Ora, è necessario combatterle mettendo in prima linea quel principio secondo il quale, semplificando per i non giuristi, se una legge è, eventualmente, sbagliata non si può piegarne il testo sino a ricreare una presunta giustizia sostanziale.

Sono convinto di quello che ho scritto e, d’altro canto, sin dal 2000 mi sono trovato, sul punto, in buona compagnia.

(da Punto Informatico n. 3029 del 4 luglio 2008)

Roma – Ho appena letto, su Punto Informatico, di una sentenza di Cassazione plaudita dalla BSA. Atteggiamento non imprevedibile, festeggiamenti a mio parere ingiustificati. Perché le conseguenze di questa “novità giurisprudenziale” non sono in linea con quanto dichiarato dall’associazione delle software house.

La pronuncia, in realtà, era già nota, ma proprio perché non realmente “innovativa”, non ha incontrato, almeno per il momento, l’interesse dei giuristi.

Purtroppo, le strumentalizzazioni di parte impongono un approfondimento che, francamente, ai più sembrava del tutto inutile.

Cominciamo col linkare la sentenza che BSA cita soltanto per estremi. Malgrado anche la massima sia un po’ fuorviante, è facile capire che l'”utilizzo” in ambito professionale non costituisce reato. Vediamo perché.

Leggendo la sentenza si capisce immediatamente che riguarda un caso di duplicazione e non, appunto, di detenzione e utilizzo. La differenza che passa tra le due ipotesi è grande, anche sotto l’aspetto giuridico.

L’art. 171-bis l.d.a., pur in una formulazione contorta, sanziona, infatti, tre distinti gruppi di condotte:

1) l’abusiva duplicazione a scopo di profitto;

2) l’importazione, la distribuzione, la vendita e la locazione a scopo di profitto e su supporti non contrassegnati SIAE;

3)la detenzione, sempre su supporti non contrassegnati, per fini commerciali e imprenditoriali.

Accantoniamo le questioni generali sul bollino. Tutti, d’altro canto, conosciamo la sua inopponibilità (sino a conforme valutazione della Commissione) e, comunque, l’irragionevolezza di una legge ruotante su quel tipo di vidimazione meramente formale. Parimenti, tralasciamo le ipotesi del secondo gruppo, palesemente non rilevanti.

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