Author Archives: Daniele Minotti

Sequestro Moncler: i veri problemi

Da qualche tempo, collaboro con Giornalettismo. Oggi, è stato messo online questo articolo che riporto sotto.

La notizia si è propagata velocemente su Internet, già da tempo, ma vale la pena di riepilogarla velocemente. Il GIP del Tribunale di Padova, su richiesta della locale Procura , ha disposto il sequestro di quasi 500 siti i cui rispettivi domini richiamavano, in qualche modo, il marchio Moncler (la cui denuncia è all’origine di tutta la vicenda) assumendo un commercio illegale di capi di abbigliamento. Il maxi-sequestro – mediante inibizione all’accesso – dei siti “simil-Moncler” è stato, però, successivamente azzerato dal Tribunale per il riesame della città veneta su istanza di Assoprovider e AIIP, le due principali associazioni di provider italiani.

Come ben sa l’avv. Fulvio Sarzana di S. Ippolito, patrono delle due, io non ci avrei scommesso un solo centesimo. Ne abbiamo parlato prima, in periodo non sospetto. Mi sono sbagliato e ne sono felicissimo. E non appartengo alla schiera di coloro che, dopo, saltano sul carro dei vincitori al grido “l’avevo detto”! I motivi della mia perplessità Fulvio li conosce perfettamente, sono stati l’oggetto centrale della nostra pur breve discussione. E – nessuno me ne voglia – queste perplessità rimangono.

Controcorrente, dico che censura e “provider-sceriffo” c’entrano ben poco. Sequestrare tutta quella messe di siti per il solo fatto che i rispetti nomi di dominio richiamavano il marchio Moncler senza ulteriori accertamenti (così conferma il Tribunale) credo non meriti commento, neppure a beneficio dei non giuristi. E’ aberrante per tutti, senza scendere in noiosi particolari da leguleio. Ma è quello, soltanto quello e lo possiamo definire in tanti modi, anche poco urbani. Di certo, nessuno ha voluto censurare come, del resto, ai provider è stato dato un ordine, non si è detto di vigilare.

Invece, il problema vero che rimane malgrado questa vittoria (al momento, temo un po’ troppo debole per essere festeggiata) è, in fondo, sempre lo stesso: l’inadeguatezza della legislazione rispetto a rivoluzioni tecnologiche come Internet. Per limitarci a ciò che regola i sequestri, cioè il codice di procedura penale (del 1989), il legislatore “tecnologico” vi ha messo mano soltanto due volte: nel 1993 per introdurre e regolare le intercettazioni telematiche e nel 2008 per fissare qualche norma di tutela in caso di ispezioni, perquisizioni e sequestri informatici (la cui violazione, però, non comporta il venire meno di provvedimenti tanto invasivi). Il resto è stato di fatto delegato ad una Magistratura spesso impreparata sotto il profilo tecnico. Come visto qualche anno fa in relazione al sequestro del sito di The Pirate Bay dove la Cassazione ha “santificato” una specie di sequestro sconosciuta al codice fuori dei casi di pedopornografia e gambling online: quello, applicato anche questa volta, per “inibizione all’accesso” dei siti allocati su server all’estero al fine di renderli irraggiungibili agli utenti italiani.

Questi sono i veri problemi cui dare al più presto una soluzione legislativa. Altrimenti, ci ritroveremo a dover combattere sequestro per sequestro scommettendo sulla singola impugnazione, senza alcun paletto giuridico in sede applicativa, senza la minima certezza del diritto.

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Il giudice per Internet

Questione di diritto civile (risarcimento danni da diffamazione), ma certamente molto interessante.
Subito al punto

L’art. 5, punto 3, del regolamento deve essere interpretato nel senso che, in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha la facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro d’interessi. In luogo di un’azione di risarcimento per la totalità del danno cagionato, tale persona può altresì esperire un’azione dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata. Questi ultimi sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul territorio dello Stato membro del giudice adito.

E’ un dictum della sentenza 25 novembre 2011 pronunciata dalla Grande Sezione della Corte Europea delle Comunità Europee nei procedimenti riuniti C‑509/09 e C‑161/10,

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Accesso abusivo: competenza per territorio

Guida al Diritto ha scovato un’interessante sentenza in tema di luogo del commesso reato, con l’ovvia ricaduta sulla competenza per territorio.

In maniera direi pienamente condivisibile, il Collegio ha optato per il luogo ove “fisicamente” si trova il server violato e non per quello del terminale con cui si è posta in essere la violazione (soluzione precedentemente adottata da pm e gup).

In margine, non si può non rimarcare quanto certi attacchi, peraltro a sistemi dal contenuto delicatissimo (nel caso concreto, il Sistema D’Informazione Investigativa del Ministero dell’Interno), siano posti in essere da persone con la divisa e non dai temutissimi “hacker” a proposito dei quali i media non perdono occasione per parlare a sproposito.

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Rigoristi

L’art. 660 c.p., che punisce le “molestie”, fa così:

Molestia o disturbo alle persone.

Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516.

Ci si è spesso chiesti, allora, se mediante i servizi telematici, in particolare quello di posta elettronica, si possa commettere questo reato. Perché, a ben vedere, Internet non è un “luogo” e neppure un “telefono”.

L’anno scorso, la Cassazione si era già pronunciata sul punto, optando per la soluzione negativa, in sostanza osservando che il telefono è comunicazione “sincrona”, mentre l’email è “asincrona” (ma la posta push?). Sicché, soltanto il primo può realmente “disturbare” e non la seconda.

Quest’anno, la Suprema Corte si è ripetuta in questa scelta, con argomenti simili, affondando, però, il colpo con un passaggio che ha sconvolto non soltanto me (il grassetto è mio)

In definitiva il principio rigoroso della tipicità, espressione delle ragioni di stretta legalità che devono presiedere all’interpretazione della legge penale, nella specie l’art. 660 c.p., impone che al termine telefono, espressivo dell’instrumentum della contravvenzione de qua, venga equiparato qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lui di sottrarsi alla immediata interazione con il mittente.

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Massimatio precox

Se non si attendono le motivazioni, possono sorgere grossi equivoci nella cronaca giudiziaria.
E’ accaduto in queste ultime ore su una delicatissima questione di diritto penale dell’informatica.
In tema di accesso abusivo a sistema informatico o telematico, ci si domandava se il legittimo possessore di credenziali di accesso potesse commettere il reato in argomento se fosse entrato nel sistema “per scopi o finalità estranei a quelli per i quali la facoltà di accesso gli è stata attribuita”.
Citando il servizio novità della Cassazione, Diritto Penale Contemporaneo ha risposto in senso negativo

ma diverse fonti online e di “corridoio” sostengono il contrario.
Chi avrà ragione?

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UCPI: astensione udienze dal 14 al 18 novembre 2011

Cosiddetto “sciopero degli avvocati, il prossimo mese, su delibera delle Camere Penali. QUI la notizia.

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La vera storia dell’emendamento Cassinelli

Dopo la notizia dell’approvazione, in Commissione, dell’emendamento Cassinelli volto a “salvare” i blog dal paventato obbligo di rettifica, pare che tutti si siano finalmente calmati.

Io, però, vedo ancora un po’ di confusione in giro, per esempio proprio sul testo dell’emendamento Cassinelli. Ne sta girando una vecchia versione (sostanzialmente, quella di due anni fa), più complessa e gravosa.

L’emendamento, però, è quello che riporto sotto, ricevuto direttamente dal “padre”, vale a dire dallo stesso on. Roberto Cassinelli il quale mi ha confermato che quello precedente (il n. 1.950 rintracciabile QUI) pur formalmente sopravvissuto sarà “sovrascritto” da questo più recente

#Al comma 29, lettera a), capoverso, secondo periodo, sostituire le parole: i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: i siti internet che recano giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e registrati ai sensi dell’articolo 5.

#Conseguentemente, al medesimo comma:

##lettera d), sostituire, ovunque ricorrano, le parole: i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: i siti internet che recano giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e registrati ai sensi dell’articolo 5.

##lettera e), capoverso, sostituire le parole: delle trasmissioni informatiche o telematiche, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: dei siti internet che recano giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e registrati ai sensi dell’articolo 5,

Ora, non c’è più spazio per dubbi: il testo è chiaro e chirurgico nell’escludere le realtà non professionali.

Detto ciò, vorrei fare una piccola precisazione. Io sono tra quelli (pochi, però aumentati di numero, ultimamente) che pensavano che ogni emendamento fosse superfluo. Ciò perché quell’estensione dell’obbligo di rettifica era posta pur sempre all’interno di una legge – la 47/48 – riguardante (esclusivamente) la stampa; sicché a questa e soltanto a questa si sarebbe potuta applicare e non ai siti amatoriali.

E’ quella che, nel nostro linguaggio, si chiama “interpretazione sistematica” ed è prevista dall’art. 12 delle Preleggi.

E’ stato detto che l’affannarsi di emendamenti costituisse, invece, prova dell’applicabilità a tutta la Rete con la conseguente necessità di rimediare, appunto, tramite emendatio.

Non credo che, in assenza di qualcosa di più, si tratti di un argomento sufficientemente solido: i politici si affannano sovente per ragioni politiche e non giuridiche, mentre molti tra i proponenti non sono giuristi, dunque non posso fare diritto..

Mi consola il fatto che un giurista – appunto, Cassinelli – dia un qualche valore alla mia tesi, osservando che l’emendamento rappresenta anche un mezzo per evitare interpretazioni giudiziarie non conformi.

Quello che ho sempre sostenuto anch’io.

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Il calcio è bello, ma…

…non è soggetto alla disciplina sul diritto d’autore.
I media, in questi ultimi giorni, non hanno focalizzato bene il nocciolo della questione, preferendo dire che con un decoder greco si può vedere quello che si vuole altrove, gratuitamente.
In realtà, nelle due sentenze (cause 403 e 429 del 2008) sul caso del calcio criptato, c’è un passaggio molto interessante

Orbene, gli incontri sportivi non possono essere considerati quali creazioni intellettuali qualificabili come opere ai sensi della direttiva sul diritto d’autore. Ciò vale, in particolare, per gli incontri di calcio, i quali sono disciplinati dalle regole del gioco, che non lasciano margine per la libertà creativa ai sensi del diritto d’autore.

Che era quello che era stato sostenuto, tra molte critiche, anni fa a proposito del fattaccio calciolibero – coolstreaming. E, dalla vigenze del d.lgs. 8/2009, con questa precisazione, credo troppo oscura per avere conseguenze penali solide

«Capo I-ter

DIRITTI AUDIOVISIVI SPORTIVI

Art. 78-quater.

Ai diritti audiovisivi sportivi di cui alla legge 19 luglio 2007, n. 106, e relativi decreti legislativi attuativi si applicano le disposizioni della presente legge, in quanto compatibili.».

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Cloud, privacy, compliance (autopromozione)

Il 25, a Milano, con Axioma.
Un evento formativo non gratuito, ma spero molto interessante su un argomento, quello del cloud computing, tanto attuale quanto delicato anche sotto il profilo legale.

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Nel nome del dominio

La mia, in termini generali, l’ho già detta a Giornalettismo, ma l’argomento merita qualche approfondimento.

L’anomalia (non trascurabile) del provvedimento di sequestro per “oscuramento” dei siti facenti riferimento ai prodotti e al marchio Moncler è che, come si può leggere nel provvedimento stesso, questa volta non si è intervenuto soltanto per impedire un traffico di falsi, ma per inibire l’uso di nomi di dominio che in diversi modi richiamano, appunto, il marchio Moncler.

Allora, non ci troviamo di fronte ad una semplice lotta al falso, ma si è andato ben oltre, sino a toccare il ben diverso ambito della tutela del marchio e dei segni distintivi come i nomi di dominio.

E, però, il decreto di sequestro, anche nella contestazione di specifici reati, fa pur sempre riferimento a condotte riguardanti i falsi.

Domanda molto semplice: ma gli inquirenti hanno realmente accertato che ogni singolo dominio tra i 493 indicati faceva commercio di prodotti contraffatti?

Io lo reputo altamente improbabile, perché ritengo sostanzialmente impossibile che si sia proceduto anche ad un solo acquisto “campione” per ogni sito.

Sicché, rimane il sospetto che per buona parte dei siti si sia ordinato il “sequestro” soltanto per la presenza, nel relativo dominio, della parola Moncler, senza, peraltro, alcuna specifica contestazione sull’abuso del marchio-dominio svincolato dal commercio dei falsi.

Il che, ovviamente, appare realmente censurabile e aberrante.

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