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Category Archives: Privacy e dati personali
GPS traditor
Un bel caso di diritto del lavoro/privacy.
Il GPS fornito dal datore di lavoro permette il controllo a distanza del lavoratore. E si qui ci arrivano tutti.
In USA, pero’, succede che i dati del GPS possano entrare in una causa di licenziamento: il lavoratore non stava al suo posto, dunque va cacciato.
Temo proprio che, qui da noi, il datore di lavoro non avrebbe vita facile, almeno considerando la privacy-mania degli ultimi tempi.
(fonte Punto Informatico)
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Rfid? No, grazie
Lo Stato della California legifera contro la tecnologia Rfid (fonte Corriere). E mi sembra una cosa condivisibile, almeno se la vediamo nella prospettiva del lavoratore.
Intanto, mi e’ venuto in mente che Quinta aveva scoperto le braghe traccianti e che, comunque, anche da noi il Garante aveva detto la sua.
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Mestieri pericolosi
Spamhaus avra’ una bella riduzione della somma dovuta a titolo di risarcimento in favore di e360insight. L’aveva inserita, pare erroneamente, nella sua black list. Lo riporta PI che cita Ars.
Io sono contento perche’ non sono certo un nemico di Spamhaus. Pero’, qualche anno fa, insieme a Luca de Grazia ci battevamo per far capire che la compilazione di black list e’ un mestiere… pericoloso (e dai non banali risvolti giuridici in tema di dati personali). E ci siamo presi quasi degli insulti.
A distanza di anni, io provo soddisfazione per questo, per non aver sbagliato di tanto.
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Chi condivide?
Colpevolmente, non ne ho parlato prima. In un commento, mi e’ stato ricordato che sta per essere lanciato un nuovo software di monitoraggio del P2P. Si chiama WhoShare, ma non si sa molto di piu’ perche’ il sito e’ abbastanza anonimo. L’unica certezza e’ la lingua italiana… che non vuol dire che il prodotto sia italiano 😉
Whoshare viene definito come piu’ efficace e piu’ economico dei concorrenti. Ne viene, per giunta, garantita la sua conformita’ alla legislazione in tema di privacy. Addirittura, il sito dichiara di fornire una consulenza legale "tranquillizzante" in tal senso.
Contrariamente a quello che ho scritto in risposta ad un commento, il software registra gli IP. E non poteva essere altrimenti.
Dunque, questi software di monitoraggio stanno diventando un business molto appetibile con tre punti fissi dello slogan: efficacia, economia e… legalita’. Penso che proprio quest’ultimo sia il punto piu’ delicato, specie dopo l’ultima ordinanza romana sul caso Peppermint frutto anche dell’intevento del Garante.
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Wikipedia ritoccata
E parliamo di qualcosa di più serio, anche se la questioni linguistiche sono sempre interessanti.
Ieri è rimbalzata la notizia di alcuni gravi abusi commessi su Wikipedia (ecco perché e’ venuto fuori il post di Mantellini). Molti giornali, nei titoli, hanno parlato di interventi “correttivi” da parte della CIA e del Vaticano. Il Corriere, Repubblica, ANSA, giusto per fare qualche esempio italiano.
La stessa Wikipedia ha, in corso, notizie sul punto.
Mi sembra, però, che, al di là del voler pensar male a tutti i costi (anche se, spesso, non si sbaglia), la vicenda meriti qualche chiarimento.[[SPEZZA]]
Secondo la stampa letta oltre i titoli chiassosi, i cattivi (almeno nominalmente tali), non sono soltanto CIA e Vaticano. Pare che l’editing di comodo sia diventato una sorta di sport planetario: BBC (su Bush e Blair), i Democratici americani (i cd. “DCCC”, per insultare un avversario Repubblicano), Scientology (in “autodifesa”), un senatore Repubblicano USA (sempre in “autodifesa”), nonché, addirittura, ONU (sulla Fallaci). E tanti altri, società commerciali comprese.
Ma i cattivi non sono necessariamente questi, vediamo perché.
Tutto nasce da WikiScanner. Che non e’ un sito o un’organizzazione come si legge in giro. E’, molto piu’ correttamente, un tool online ideato e realizzato da Virgil Griffith. Esso consente, tra le altre cose, di associare gli IP di editing agli Enti che, nel proprio range, hanno quegli stessi IP. Si, perché si puo’ editare anche in via sostanzialmente anonima e, allora, bisogna guadare ai dati telematici. Piu’ precisamente, Wikipedia memorizza i dati di connessione, il tool li incrocia col database degli IP. Incrociando, ulteriormente, con la cronologia delle singole voci (feature normalmente resa disponibile da Wikipedia) si puo’ giungere ad un’analisi molto particolareggiata. Guardate questo esempio su Pfizer Inc. (mi sembra piu’ politically correct, rispetto alle altre query 😉
Il tool, allora, funziona un po’ come il software Logistep che ha incastrato migliaia di presunti sharer. Il paragone non e’ sensazionalistico. Secondo me ci sta parecchio soprattutto perche’ il sistema che ruota intorno a Wikipedia fa molto di piu. E, allora, quanto meno sorgono i medesimi problemi di privacy. Perché, non soltanto in Italia, dato personale non e’ esclusivamente quello che conduce ad una persona fisica, anzi, nella definizione vi rientrano anche i dati riconducibili ad una persona giuridica. Ma – e’ altrettanto noto – la visibilita’ degli IP e connaturale al protocollo usato per il funzionamento della Rete (pare che per TOR ci sia un’inibizione da parte di Wikipedia, ecco perche’ vengono fuori IP “buoni”).
In piu’, contrariamente a quello che i media lasciano intendere, il fatto che un’operazione di editing avvenga da un certo IP non significa che sia la “voce” (con relativa responsabilita’) del titolare dell’IP. Lo dice chiaramente Padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, oltre alla scontata difesa: “È assurdo – spiega Lombardi – anche solo immaginare che una simile iniziativa possa essere stata presa in considerazione: in Vaticano ci sono più di mille persone che hanno accesso ai computer e sono ancora di più i visitatori dei Musei, della Biblioteca e dell’Archivio Apostolico che possono ugualmente navigare su Internet da una postazione. È ovviamente possibile che qualcuno – conclude infine padre Lombardi -, come persona privata, possa aver avuto accesso a Wikipedia da un pc del Vaticano, ma la Santa Sede non c’entra nulla” (fonte: Il Corriere della Sera).
La capisce un prelato che, per quanto religiosamente illuminato, dubito abbia grande esperienza di informatica. Molto raramente lo capisce la nostra giustizia quando indaga (e condanna) l’intestatario della linea ADSL.
QUI, invece, le precisazioni dello stesso Griffith. Ma per i commentatori informarsi e’ sempre troppo faticoso…
Sta di fatto che, per toccare un altro punto pur meno importante per me, WikiScanner piace a Wikipedia (per voce di Jimmy Wales). Ed e’ comprensibilissimo perche’, con questo sistema, si scoraggiano i furbetti e, soprattutto, si rende il tutto piu’ affidabile.
A mio avviso, pero’, il problema e’ un altro. Fare il contributor di Wikipedia non e’ difficile e non occorrono “titoli”. Per quello che vedo (eventualmente correggetemi) basta anche un ID qualsiasi e una password. Indirizzo email meramente facoltativo.
Esistono delle regole, ma, al di la’ di quelle, non si va. E’ perfettamente in sintonia con la filosofia del progetto, ma non sono certo che il sistema possa garantire la qualita’ dell’informazione. Ecco, pur conoscendo il valore di alcuni contributor per le voci giuridiche, io sono un “wiki-scettico”.
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Ancora sulla riservatezza delle email
Mi era sfuggito questo provvedimento del Garante, del maggio scorso.
Molto brevemente: Tizia invia un’email a Caio, gia’ suo marito da cui era stata ripudiata (previo matrimonio islamico). Tizia invia per CC anche ad altre quattro persone e una di queste la inoltra ad un giornalista che si occupa di Islam. A breve, un quotidiano pubblica stralci di detta "corrispondenza" commentati dal giornalista.
Caio chiede informazioni al giornale e poi, non soddisfatto, si rivolge al Garante per chiedere l’inibizione della pubblicazione.
Il Garante, dichiarando che in quel caso la riservatezza prevale sul diritto di cronaca, ha dato ragione a Caio ribadendo la tutela della "corrispondenza" (ancorche’ telematica) anche con riferimento all’art. 93 l.d.a. (senza con cio’ dire che un’email e’ un’opera dell’ingegno).
Da leggere.
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Peppermint: e’ tutto cosi’ lineare?
Non ho l’abitudine di saltare, magari anche fuori tempo massimo, sul carro dei vincitori. Vedo che lo stanno facendo anche coloro che, pur sostenendo l’irregolarita’ dell’acquisizione di certi dati di P2P, arrancavano, sovente, con tesi bislacche, soltanto suggestive e sobillatrici di masse. Ma non e’ il mio stile.
La sconfitta di Peppermint & C. e’ stata salutata come una vittoria dei diritti fondamentali, dei consumatori (ma quali consumatori?). Ma ci sono voci dissenzienti; e non mi riferisco ai discografici, alle solite federazioni o associazioni delle lobby, ma a giuristi che, liberamente, esprimono il proprio convincimento scientifico senza essere partigiani. Sulla ml del Circolo dei Giuristi Telematici c’e’ stata un’interessantissima discussione. Purtroppo, le ferie estive hanno smorzato tutto.
Io rimango con le mie perplessita’ e la cosa che mi fa piu’ strano e’ il ruolo del Garante: dei precedenti procedimenti si era bellamente disinteressato (malgrado la comunicazione da parte della magistratura), ma, dopo il sollevamento popolare, si e’ costituito e, anche leggendo l’ultimo provvedimento romano, sembra proprio aver fatto la differenza. Non ne comprendo il motivo.
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La tutela delle mailing list
Mi segnalano questa interessante sentenza (civile) che fa il punto sulla tutela delle comunicazioni che avvengono nelle mailing list. I fatti storici dovrebbero essere questi.
In estrema sintesi, malgrado la posta venga smistata ad un certo numero di persone, il numero, appunto, e’ chiuso e, pertanto, sono rilevanti le regole che tutelano la corrispondenza, a partire dalla Costituzione.
C’e’, in verita’, una sorta di precedente (conforme). Una "bega" scoppiata in una mailing list di magistrati (ma non soltanto). So che la cosa e’ finita al CSM (non in tribunale) come procedimento disciplinare. Una volta c’erano anche dei materiali ufficiali che, oggi, non trovo piu’. Segnalo, comunque, questa interrogazione alla Camera che riguarda proprio quei fatti.
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Caso Peppermint: l’ordinanza di rigetto
Sul blog di Guido Scorza, l’ordinanza capitolina di rigetto del ricorso Peppermint-Techland.
P.S.: La versione su Adiconsum non sembra "ufficiale" come quella di cui sopra.
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Peppermint: il Garante dice no
Ok, il titolo, cosi’, faceva piu’ effetto, ma capirete perche’ l’ho messo.
Una brutta notizia: la casa discografica non e’ Peppermint.
La classica buona notizia: che in un provvedimento che sembra gemello un giudice, verosimilmente sulle osservazioni del Garante portate dall’Avvocatura dello Stato, avrebbe respinto il ricorso volto all’acquisizione delle utenze associate agli IP.
Di piu’ non so: ne hanno parlato Guido Scorza e Quinta, citando Cortiana.
Francamente, non ci avrei creduto molto, ma presto conosceremo le motivazioni.
Aggiornamento del 18 luglio 2007: C’e’ anche Peppermint, lo dice PI. Pero’, come al solito, vedo che tutti parlano e nessuno tira fuori la motivazione (anche perche’ non so se sia gia’ disponibile).
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