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Category Archives: Sentenze e sentenzine
Siti e responsabilità
C’è un (neppur tanto) velato pregiudizio nei confronti delle pubblicazioni telematiche, di Internet in genere. Non credo sia paranoia.
Ancora oggi, nella aule di giustizia (anche di un certo rango), si cade nell’inaccettabile affermazione di responsabilità di un titolare di sito Internet per contenuti (commenti) altrui.
Ci ha pensato, però, la Cassazione, con una sentenza di qualche giorno fa, a stabilire (per l’ennesima volta) che, sebbene sia ormai pacifico che il titolare non risponde di omesso controllo come il direttore di una testata giornalistica, lo stesso titolare non è necessariamente corresponsabile per il solo fatto di aver “animato” la discussione nel corso della quale sono intervenuti messaggi diffamatori.
Cassazione con rinvio, proprio per approfondire il ruolo del titolare.
Sentenza su Penale.it.
Posted in Articolo 21, Internet e stampa, Sentenze e sentenzine
Tagged diffamazione online, direttore testata
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La “Blue Whale Challenge” non esiste (l’ho già detto)
Accade, A.D. 2018, che, effettivamente, la “Blue Whale Challenge” arriva a piazza Cavour. La pessima figura de Le Iene credo sia nota a tutti, semmai rinfresco la memoria.
Bene, tornando alle aule di giustizia, tutto origina da Roma dove il Tribunale per il Riesame conferma il sequestro del cellulare di un tipo (preferirei non aggettivarlo) che inviava ad una ragazza messaggi ritenuti di istigazione al suicidio e di adescamento.
L’indagato impugna e la Suprema Corte risponde. Sebbene abbia escluso il primo reato, qui mi preme dire che, questioni giuridiche a parte (che non sono trascurabili, ma esulano del mio post) questa “Blue Whale Challange” è proprio diventata, anche qui da noi, una leggenda metropolitana, tanto da imbrogliare investigatori e giudici.
Mi è facile osservare che non c’è stato alcun tentativo di suicidio (fortunatamente), ma soltanto messaggi del tipo “manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni” (così riferisce la sentenza). Eppure…
Qui in calce la sentenza, così vi fate un’idea. Volevo pubblicarla su Penale.it, ma mi sembra decisamente fuorviante e il mio sito non fa sensazionalismo giudiziario.
PPT e piccole cose 3 > Notificazioni tra avvocati via PEC
E, intanto, forse abbiamo infranto un tabù oppure, quanto meno, si è fatto un primo passo importante in tal senso: che andrebbe comunque bene.
Mi riferisco alla validità della PEC per notificazioni da avvocato ad avvocato, in penale dichiarata valida da una recente sentenza di Cassazione (II sezione penale, n. 6320/2017).
Mentre nel civile il processo telematico è oramai la regola (ma patisce ancora delle eccezioni non da poco), nel penale la telematica fatica ancora parecchio ad imporsi, almeno a favore della difesa (in generale, delle parti private).
Sì, perché per i magistrati vigono norme molto permissive come quella secondo cui le notificazioni agli avvocati possono essere fatte anche con non meglio identificati “mezzi idonei”. E tali sono anche gli SMS, giusto per fare un esempio un po’ imbarazzante (vi è giurisprudenza sul punto).
La sentenza citata costituisce, dunque, un primo passo piccolo contro l’assurda (e di dubbia costituzionalità) “asimmetria” tra le parti (così la chiama Giuseppe Campanelli) nel processo penale.
Va detto, incidentalmente, che molti di noi avvocati già da tempo “proviamo” a fare questo genere di notifiche. Ho capito di non essere il solo. Sinora, è andato tutto bene, ma la sentenza testimonia che non sempre può filare tutto liscio; specie quando entra in gioco la nostra amata e odiata telematica ostacolata anche da falsi formalismi.
La pronuncia, comunque, ci rende ottimisti, ma moderatamente: i revirement sono sempre in agguato e, comunque, una notificazione telematica non è soltanto inviare una PEC (occorrono relate e quant’altro).
Sebbene l’uso delle PEC a fini di notificazioni non sia necessariamente il nucleo più importante e tipico del processo telematico, un intervento legislativo sul tema a mio modo di vedere è irrinunciabile (oltre che urgente).
D’altro canto, basterebbe ben poco: basterebbe un richiamo alle norme valide per il civile.
La Cassazione sui “captatori informatici”: “sì, ma, però”
Tutti ne hanno parlato, tanti l’hanno commentata, ancor prima di leggere le motivazioni (anche se, in parte, prevedibili, visto il dispositivo). Parlo dell sentenza n. 26889 delle sezioni unite penali della Suprema Corte, depositata lo scorso 1° luglio, in tema di “captatori informatici”.
Anche nell’editoria giuridica, pure quella “lato senso” fatta di iniziative di singoli, c’è quell’ansia da cronaca che spinge a dare la notizia subito, prima degli altri, in una vera e propria competizione tra autoreferenti dalla sententia precox che, però, se badiamo alla sostanza giuridica non ha alcun senso, anzi può essere dannosa. E’ stata una tentazione anche per me, talvolta.
Il diritto è sì attualità, ma non proprio mera cronaca. Altrimenti, si scade in certi spettacoli pietosi come quelli del voyeurismo giudiziario à la Quarto Grado.
E’ importante conoscere il più recente orientamento giurisprudenziale, ma con il solo dispositivo, se non si conoscono bene gli atti, fare a meno delle motivazioni è profondamente sbagliato; almeno da un punto di vista scientifico, se non vogliamo fare, appunto, mera cronaca e pavoneggiarci per aver dato per primi la notizia.
Detto ciò, cosa sono i “captatori informatici”? Si tratta di software, di fatto “malware” ovvero, più in popolarmente, “virus” o “trojan”, inseriti, segretamente, in dispositivi informatici/telematici, normalmente mobili, al fine di procedere ad intercettazioni. Insomma: vere e proprie “cimici informatiche” anche se, proprio per la mobilità dei sistemi su cui sono installati di solito, non sono fissi, ma possono captare ovunque siano trasportati.
Sulla carta, un software di quel genere, nelle sue versioni più complesse, può attivare non soltanto il microfono (caso più frequente e proprio dei “captatori”), ma tutte le funzionalità del dispositivo: la fotocamera, la radio GPS, le altre radio in genere. In pratica può letteralmente telecomandare il device.
Qui, ovviamente, parliamo di programmi installati a fini giudiziari, altrimenti staremmo a discutere di intercettazioni abusive, accessi abusivi, violazioni di domicilio, ecc.
Anche su quest’ultimo profilo, avevo già scritto tempo fa: QUI, QUI, QUI e anche QUI.
Ma, insomma, cosa ha detto la Cassazione? Premesso che l’attività è stata fatta rientrare nell’alveo delle intercettazioni “ambientali” (e non “telefoniche” o “telematiche”), secondo me, pur con argomentazioni non certo banali, i giudici di piazza Cavour hanno scelto una via non certo pacifica e un po’ salomonica.
Malgrado il legalese, credo che il principio sia chiaro per tutti “Limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc.) – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa“.
La soluzione tecnologica è, dunque, valida soltanto per alcune classi di reati, non per tutti.
Questa la decisione della Suprema Corte. Sta di fatto, però, che molti sono dell’idea che occorrerebbe rivedere la disciplina in tema di intercettazioni perché così, senza norme specifiche, si rischiano abusi e interpretazioni un po’ stiracchiate.
E’ il solito problema: la legge che non riesce a stare dietro alla tecnologia, neppure quando è a maglie un po’ più larghe. E ciò vale soprattutto per la materia penale, tipicamente di stretta interpretazione.
Intanto, lo dico incidentalmente, si parla di un (quasi) misterioso convegno non pubblico durante il quale si è discusso proprio di una futura disciplina in materia.
Chissà che ne sarà sortito anche se i soliti ben informati sapranno già tutto.
Se l’autoproduzione non è punibile
Un’altra sentenza che “grazia”, pur con argomenti giuridici condivisibili, il “traffico” di immagini pornografiche autoprodotte tra minorenni.
Non è punibile la cessione di detto materiale posta in essere dallo stesso minore ritratto che ha autoprodotto i materiali.
A mio modo di vedere, anche come genitore, la cosa rimane pur sempre censurabile perché le immagini posso circolare in modo del tutto imprevedibile (o anche prevedibile).
Quindi…
Su Penale.it la sentenza 11675/2016 della III sezione penale della Cassazione.
Accertamenti informatici
La Cassazione, nel caldo agostano (e fa piacere che i tribunali non si fermino con quel clima), deposita le motivazioni di una sentenza in tema di accertamento di reati commessi via Internet (nella fattispecie, una diffamazione).
Il gap investigativo sembra essere colmato da inferenze logiche, in misura che potrà essere ritenuta giusta o eccessiva.
Sarebbe bello parlarne perché, oramai, le questioni sono quotidiane (specie per quanto riguarda Facebook).
Ma bisognerebbe fare un po’ di processi in materia, mica scriverne soltanto.
Responsabilità dei magistrati
Dice che accompagnare la moglie presso un centro oncologico non è legittimo impedimento per il coniuge avvocato.
In un processo per guida senza patente, per giunta, manco fosse per un omicidio di mafia.
C’è voluta la Cassazione per raddrizzare l’insulto, per sanare una ferita quanto meno al buon senso.
Chi pagherà le spese per arrivare sino alla Suprema Corte?
Lo sappiamo già, non certo il magistrato.
Posted in Giustizia, Sentenze e sentenzine
1 Comment
Mai Insultare Le Femmine
Il termine MILF è, oramai, ampiamente entrato anche nel nostro slang italico. Per chi non fosse aggiornato, ecco il classico link a Wikipedia.
Ebbene, anche un giudice italiano si è dovuto confrontare con questo nuovo termine (in realtà, un acronimo) ed ha concluso che si tratta di un’espressione offensiva che, dunque, può costituire il reato di diffamazione (aggravata se veicolato tramite Facebook).
Personalmente, non credo che molti siano d’accordo, ma ognuno può farsi una propria idea leggendo il provvedimento.
copia&incolla&condanna
Il copia&incolla è una cosa bellissima: fa risparmiare un sacco di tempo. Ma può avere le sue applicazioni perverse, di dubbia liceità.
Se un giudice copia e incolla dagli atti dell’accusa (non soltanto del pm, ma, addirittura, anche quelli degli investigatori) e basa le proprie motivazioni soltanto (o quasi) su quello, non svolge bene il proprio lavoro, abdica ad una funzione fondamentale per la democrazia.
Eppure succede, molto spesso.
In un recente caso concreto, se ne lamentano diversi Colleghi (tra cui qualche amico). La Cassazione ha santificato la pratica del cut&paste, ma non è la prima volta.
Posted in Giustizia, Giustizia tecnologica, Sentenze e sentenzine
Tagged copia e incolla, cut and paste
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Sequestri esagerati
Poco meno di un anno fa veniva sequestrato il blog politico “il Perbenista”, gestito da un candidato alle amministrative di Udine.
L’accusa? Diffamazioni, contenute, però, non già nei post del titolare, ma in alcuni commenti in calce.
Ieri la Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha annullato il provvedimento di conferma del tribunale per il riesame sottolineando da un lato il valore sociale (tutelato da CEDU e Costituzione) dei mezzi di informazione (anche quelli “non professionali”, dunque) e, soprattutto, che il sequestro di un intero sito per l’esistenza di alcuni contenuti offensivi scritti da terzi proprio non si può fare.
Il blog non è offensivo di per sé dunque non può essere sequestrato nella sua interezza. Tradotto dal legalese, il sequestro totale è esagerato.
Un buon passo avanti.
P.S.: Mi sono accorto che, anni fa, avevo scritto un post dal titolo molto simile.
Posted in Blogodiritto, Cronaca e Diritto, Diritti digitali, Sentenze e sentenzine
Tagged il perbenista, sequestro blog
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