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Category Archives: Varie
Revolution? No, reazione
Tempo addietro avevo riportato la notizia della campagna legale Nintendo contro la schedina R4 Revolution.
Bene, pare che, almeno in Italia, il primo round l’abbia vinto proprio la casa giapponese, pur in sede civile. Ce lo riferisce, ad esempio, il Corriere.
E’ realmente difficile dare un parere sulla vicenda senza leggere il provvedimento del tribunale milanese (se qualcuno l’avesse…), però, dalle parole del rappresentente italiano di Nintendo mi sembra di capire che si sia seguita la traccia della giurisprudenza (pur penale) in tema di mod-chip per Playstation laddove si considera il videogioco come un’opera complessa e multimediale (né software, né audiovideo, ma entrambe le cose direi).
La cosa mi perplime un po’, non da oggi.
Sul caso mod-chip, ribadisco quanto detto a suo tempo sull’ordinanza del Riesame di Bolzano malgrado la Cassazione, decidendo sulla successiva sentenza della Corte di Appello di Trento, abbia confermato quella via. Peraltro, incidentalmente segnalo che la decisione citata qualche giorno fa in realtà non aveva un grande valore in punto innovazione giuridica, ma era sostanzialmente riproduttiva di quella precedente (e riguardava la stessa causa).
Dunque, tornando la tema, io rimango dell’idea che, giuridicamente, un videogioco sia software. Leggendo la mia intervista di cui sopra, capirete che c’e’ un fondamento nella nostra legislazione di cui, pero’, nessuna sentenza a me conosciuta menziona (ancorché per dichiararne l’irrilevanza – soltanto questa sentenza di Bolzano giunge alle medesime conclusioni pur percorrendo la via dell’analisi tecnologica).
Non si discute sulla natura di opera dell’ingegno in capo ad un videogioco. Ma questa opera “complessa e multimediale” mi sa tanto di figura giuridicamente atipica. Circostanza che ben poco si concilia col penale.
Come al solito – e leggevo proprio la stessa conclusione in uno scritto di G.B. Gallus – abbiamo regole sul diritto d’autore ipertrofiche eppure con tanti buchi che, spesso, sono chiusi in danno dei più deboli. Ma nessuno sembra volerci mettere mano seriamente.
Non coltiviamola
Al di là delle mie negativissime convinzioni sulle droghe (“leggere” o “pesanti” che siano), prima che qualcuno si faccia convincere, anche per “convenienza”, dalle criminali notizie di certi media (devo dire che la maggior parte ha riferito correttamente, sebbene non sempre abbia posto i giusti distinguo) secondo le quali la Cassazione avrebbe invertito il proprio orientamento circa le coltivazioni domestiche di erba, dimostro che, appunto, alcuni media dicono sciocchezze, peraltro molto pericolose.
La Suprema Corte non ha cambiato pensiero rispetto al precedente e “forte” orientamento. Ha, per la precisione, detto soltanto che i germogli non contengono principio attivo e, dunque, la loro detenzione non è comunque reato.
Che non incoraggia alcuno a coltivare piantine che potranno diventare “mature”.
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Il crepuscolo del diritto dell’informatica?
Era nell’aria, me lo sentivo.
Da stamattina sta circolando la voce che la rivista Il Diritto dell’Internet chiuderà, al suo quarto anno di vita. Ed è un peccato perché, insieme a Il diritto dell’informazione e dell’informatica, era una pubblicazione dove scrivevano le maggior firme in materia.
Me lo sentivo, dunque, non perché fosse una rivista di basso livello, ma per altri motivi.
E’ una cosa che penso da tempo: il diritto delle nuove tecnologie sta svanendo negli interessi degli studiosi e degli operatori del diritto.
Dopo il boom degli anni ’90, durato sino all’inizio del nuovo millennio, il calo è stato inesorabile.
I primi tempi se ne occupavano in pochi, poi molti altri si sono avvicinati, forse abbassando un po’ il livello scientifico.
D’altro canto, gli stessi tribunali non producono più quelle sentenze “storiche” alle quali ci avevano abituato in passato. Versomilmente, la materia si è stabilizzata anche se io continuo a pensare che, in genere, l’interesse sia un po’ venuto meno con conseguente abbassamento del livello di dottrina e giurisprudenza.
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Vietare Facebook – UPDATED
Diciamoci la verità: molte delle foto pubblicate, su Facebook, dai sanitari (intesi come operatori del servizio sanitario…) torinesi sono veramente “nulla”. Non perché io sia particolarmente tollerante, ma perché nulla c’è di male, ad esempio, in una foto che ritrae un’ospedaliera che brinda, sul lavoro, al nuovo anno oppure in quella dove altri due giocano al telefono con un defibrillatore (non penso proprio si rompa in quel modo).
Però, pur mascherate, ce ne sono altre che ritraggono pazienti, magari anche con scritte o commenti non proprio edificanti. E questo non va bene.
Al di là, quanto meno, del buon gusto nello scatto, dell’opportunità di pubblicare foto altrui (quante volte vi è successo di ritrovarvi taggati a sopresa?), il problema, però, è un altro. E qui sono intransigente: bisogna che la gente capisca, una volta per tutte, che su Facebook è, praticamente, tutto walled, tutto visibile, per tutti. E questo la maggior parte della gente non lo sa oppure non se ne rende conto.
Sarebbe da vietare, ‘sto Facebook…
Più diffusamente, su La Stampa.
Aggiornamento delle 12.53: Ovviamente, l’indefinibile infermiera dà la colpa al solito hacker “Deve essere colpa di un hacker che l’ha rubata dal mio profilo e l’ha pubblicata. Mi ricordo di averla tolta, alcuni giorni fa. Hanno leso la mia privacy “. A certa gente si dovrebbe vietare anche Internet. QUI.
Posted in Privacy e dati personali, Varie
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Zingaretti e Wi-Fi: ci siamo
Malgrado le mie forti perplessità del passato (non ci credevo, mi sono proprio sbagliato), pare che la rete Wi-Fi della Provincia di Roma stia diventando realtà.
Allora, bravo Zingaretti! Purtroppo, senza colpe, deve fare i conti con il decreto Pisanu che si avvia all’ennesima proroga.
Ora, si tratta di tenere duro perché, in queste cose, il vento gira in un attimo e bisogna stare sempre all’erta.
Scrivere le leggi
Manlio spara un articolo a dir poco caustico sulle varie proposte in tema di editoria.
Io, al di là delle questioni giuridiche, almeno una cosa buona la trovo. Che riguarda la nostra lingua (mi ha ripreso qualche volta… per email e per telefono…). Un’interessante (molto interessante) circolare esplicita sin dall’inizio: “Guida alla redazione dei testi normativi”.
P.S.: Il titolo del post è stato cambiato in corsa. Questo mi sembra meno sofisticato.
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Girare la frittata (e anche le b….) – UPDATED
Molti conoscono la mobilitazione anti ddl Levi. C’e’ un blog e anche il gruppo su FB è molto attivo.
Poi, leggi le dichiarazioni del PD (ma potrebbero essere quelle di qualsiasi altro partito) e scopri che… lo “sciopero” dell’altro giorno era contro le vaghe parole di Berlusconi sulle regole di Internet.
Che è una sonora BALLA e, purtroppo, il rischio è che qualcuno se la beva.
Morale: a certi politici, di ogni schieramento, interessa soltanto screditare l’avversario, e non sostenere una giusta causa, a costo di raccontare balle strumentalizzando i fatti. E in mezzo ci siamo noi.
(grazie a Loris D’Emilio)
Aggiornamento del 7 dicembre, ore 12:20: Anche il Messaggero ha preparato un bel minestrone di frottole. Anna Masera su La Stampa, invece, riporta il comunicato di BoBi, ma viene fuori una cosa poco chiara e anche un po’ ambigua.
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Non sono del tutto d’accordo
L’ho già scritto ieri, nel post sul ddl editoria, discutendo con Luca Spinelli. Forse, alcune mie riflessioni meritano un post a parte.
Luca, che è sempre molto attento nelle sue ricerche, trae conseguenze decisamente più preoccupate rispetto a me che mi sono genericamente limitato a dire che non c’è una gran chiarezza.
Vedo due punti rilevanti.
Cominciamo col primo. Il ddl dice che se i soggetti “operano sulla stessa [Internet] in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro” non sono tenuti all’iscrizione al ROC con tutte le conseguenze del caso (e vedremo quali, è l’oggetto del secondo punto). Ma i blog possono godere di questa “esenzione”? (eggià… perché di eccezione alla regola si tratta).
Luca dice che, in realtà, si deve guardare al caso concreto (ed è il giusto approccio) sostenendo, ad esempio, che il blog di Grillo non sarebbe esentato e così anche tutti i blog che presentano pubblicità retribuita (es.: i comunissimi ads di Google). Ciò perché, secondo l’Agenzia delle Entrate, chi lucra, più o meno, da banner e simili sarebbe imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. Sempre Luca, segnala questa pagina, ma, personalmente, io non ci leggo banner=impresa. Piuttosto, vedo delle considerazioni fiscali su un sito di un’impresa che, questa, si fa pubblicità, pagandola, su altri siti. Che mi sembra cosa ben distinta.
E’ vero che l’articolo fa riferimento anche alla figura dell'”intermediario”, ma penso che tale non sia l’eventuale blogger quanto, piuttosto, chi mette in piedi il programma di advertising con una certa organizzazione imprenditoriale (es.: Google).
Mi viene da fare un esempio: è imprenditore il proprietario di un edificio che concede, pur a pagamento, una facciata per apporvi un cartellone realizzato dall’agenzia Alfa per pubblicizzare il prodotto della società Beta? No, secondo me. Pagherà le imposte del caso su quegli introiti, ma non per questo diventerà imprenditore. A meno che non organizzi edifici (o altri supporti) per l’esposizione di cartelloni.
Alla fine, torniamo alla definizione di imprenditore ex art. 2082 c.c.
“È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“.
Dottrina e giurisprudenza sul punto sono realmente sterminate, ma, per i profili che ci interessano, tutte pongono l’accento sull'”organizzazione al fine de”. E non penso che detta organizzazione si possa scorgere nell’attività di un blogger “ordinario”.
Per dirla tutta, volendo un po’ pignoleggiare, non a caso il nuovo ddl fa riferimento al forme o prodotti che sono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. Dunque, è l’ipotetico blog, coi suoi contenuti informativi, a dover essere il frutto di detta organizzazione (non a caso parliamo di editoria). E mi viene da pensare a strutture complesse con redazioni o simili. Cosa che riguarda ben pochi blog che, addirittura, per i puristi blog non sono.
Seconda questione. Non condivido gli allarmismi dei più. Certo, il ddl parla di una figura simile a quella del direttore responsabile (“colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni“) che risponderebbe anche dei contributi altrui (i commenti?) e di applicabilità delle “norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa“.
Ma, attenzione: da un lato se io inserisco un contributo di un terzo, ne sono già responsabile in concorso; dall’altro, il reato di diffamazione, giusto per fare l’esempio più ricorrente, è già pacificamente adattabile ai blog e, in generale, alle pubblicazioni telematiche.
Uniche controndicazioni realistiche (se il ddl fosse per ipotesi applicabile a certi blog, cosa che non penso): burocrazia, spese e “controllo” (sempre che sia possibile controllare un blog soltanto a seguito dell’iscrizione al ROC).
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Come finiscono le cose
Ho appena avuto una bella notizia.
Un mio cliente era (lo è ancora, per la verità) indagato per pedoporno, precisamente per detenzione e diffusione (via eMule) di questi materiali illeciti. Per capirci, è l’indagine (una delle tante) di cui si è parlato in primavera, avviata dalla Procura di Savona. Qualcuno, si era anche pubblicamente lamentato per l’esistenza di fake, file dal titolo non inequivoco (o riferibile ad altro genere lecito), ma dal contenuto vietato. Anche il mio cliente aveva ipotizzato questa cosa (ma aveva preferito mantenere un profilo più basso per non essere additato) perché non è pedofilo, non lo è mai stato, neppure per “curiosità”.
Chiaro, però, che il fenomeno dei fake (che dovrebbe essere noto a chi opera nel settore), non ha alcuna rilevanza. Basta un solo monitoraggio, fatto un po’ così, e si finisce indagati, con tutto il materiale informatico sequestrato e con molte pene (anche economiche).
Poi, dopo l’analisi dei materiali, tutto si sgonfia perché nei reperti non c’è alcunché di pedopornografico. Dissequestro, richiesta di archiviazione e alla via così. Senza neppure tante scuse.