Diritto di like

Volevo parlarne la settimane scorsa, a notizia “fresca”. Poi, una serie di impegni professionali e personali me lo ha impedito.

Vedo, però, che non sono stato l’unico a notare la cosa. Massimo, per esempio.

Mi riferisco al caso Tortosa, il poliziotto che ha “difeso”, su Facebook, la sua azione alla Diaz. Più precisamente, parlo della vicenda di un suo collega (credo superiore) che ha messo un like al noto post del Tortosa e che, per tale fatto, è stato trasferito d’incarico.

La problematica, in realtà, non è nuova. Il funzionario di P.S. rischia la carriera, altri rischiano un procedimento penale per diffamazione.

E’ accaduto ancora l’anno scorso, per ricordare un caso di cui la cronaca ha trattato e che avevo commentato proprio all’indomani della notizia. A Parma un uomo è stato querelato per aver messo un like ad un commento diffamatario, rischiando, a sua volta, un’imputazione per diffamazione, peraltro aggravata.

Ora, personalmente non so come sia andata a finire, se il procedimento sia stato archiviato oppure abbia fatto o stia facendo il suo corso.

Ma il problema rimane e consiste nell’eventuale esistenza di un diritto a condividere, con un apprezzamento, l’idea altrui, ancorché illegale, dopo che essa è stata espressa.

Anche considerato che mettere un like non aggiunge alcunché alla carica lesiva del post/commento, sono fermamente convinto che questo diritto esista e discenda direttamente dall’art. 21 Cost.

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Autopromozione > Identità digitale e diritto penale

Il 27 sono a Milano per dire la mia ad un convegno su un bel po’ di cose. Io parlerò di identità digitale, penalisticamente, anche per fare il punto sul “furto d’identità”, una bruttissima espressione che, purtroppo, è entrata anche nel linguaggio del legislatore.
Il convegno è  organizzato da Data System Group.

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Bat-copia di Bat-cortesia

Cortesia

(learn more)
(autore ignoto, ma se volesse palesarsi)

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L’ultimo dei blogger (di tanto in tanto)

Gian Carlo Caselli

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Locus commissi delicti

Locus

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Tagliagole de noantri (Solidarietà a Nicola Canestrini)

Accade che un pakistano residente in Italia mette la bandiera dell’Isis sul proprio profilo Facebook inneggiando al califfato. Non entro nel merito: se accertato è sicuramente da condannare, ma non è questo il punto.
Accade che gli arriva un provvedimento di espulsione.
Accade che il pakistano si rivolge all’avvocato Nicola Canestrini di Trento, per impugnare il provvedimento.
Accade che Salvini si stupisce, tra le altre cose, che l’espulso abbia trovato un avvocato (italiano)

Salvini_1Segue il solito vomito, peraltro sgrammaticato, sulle bacheche di Facebook. Posto uno screenshot qui. Gli altri, molto significativi di tante cose, li metto in calce.

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Mai Insultare Le Femmine

Il termine MILF è, oramai, ampiamente entrato anche nel nostro slang italico. Per chi non fosse aggiornato, ecco il classico link a Wikipedia.
Ebbene, anche un giudice italiano si è dovuto confrontare con questo nuovo termine (in realtà, un acronimo) ed ha concluso che si tratta di un’espressione offensiva che, dunque, può costituire il reato di diffamazione (aggravata se veicolato tramite Facebook).
Personalmente, non credo che molti siano d’accordo, ma ognuno può farsi una propria idea leggendo il provvedimento.

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Lesa maestà analogica (edit) (edit molto importante)

Un’Italia che soffoca nel misoneismo di chi osteggia il progresso andando anche contro la legge.

Ho voluto iniziare con una riflessione che ho fatto verso la fine di questo post, ma vi racconto subito una storia, partendo da lontano, ma con la promessa di provare a narrarla anche per i non addetti ai lavori, evitando l’odioso legalese.

Anno 2000. Siamo a fine ottobre e il Circolo dei Giuristi Telematici, a Pisa, organizza un convegno su informatica giuridica e diritto dell’informatica. C’ero anch’io, a divertirmi, più che a dire cose meritevoli di ascolto. Fu un convegno fortemente voluto da Giorgio Rognetta, fortemente lungimirante.

Sta di fatto che, tra le altre cose, si parlò un po’ più concretamente di Processo Telematico Civile (PCT).

Piccola parentesi. Per il penale, ahinoi, siamo ancora più indietro. Giudici e PM possono mandarti fax, email e pure SMS, l’avvocato no oppure forse, qualcosa. Andiamo avanti.

Ma perché un processo telematico dovrebbe essere desiderabile? Be’, a me sembra ovvio, ma tant’è… Costa ed inquina di più un computer che manda un atto ad un altro computer oppure la tua auto, anche utilitaria, che parte da Rapallo e va a Genova e ritorno? Anche in treno vale la stessa cosa. Eppoi, non dimentichiamoci che non tutto il digitale deve essere necessariamente stampato (carta, toner, energia, ecc.). E il tempo, che è anche denaro: non ce ne vergogniamo.

Il PCT non è decollato subito, anzi. C’è stata molta ignoranza, molte ostilità da parte di chi aveva delle aspettative economiche (magari negate) e di chi, sentendosi sfuggire di mano il potere per l’effetto di un domani galoppante, ha puntato i piedi, provando a fermarlo.

Amici mi riferiscono che alcuni magistrati non lo amano perché, per esempio, stamparsi un allegato pdf è roba da cancelliere e non per persone di quel rango. Idem per molti avvocati. Non c’è differenza, per me quella gente è nemica della Giustizia, indistintamente.

Tutti, però, sono uniti da quell’idiota presunzione di non volersi/potersi sporcare le mani.

Passano gli anni e arriviamo al 30 giugno 2014 quando il PCT diventa – sembra… – la regola.

Allora, tutti si organizzano un po’, annaspando, perché le novità, anche se buone, danno fastidio, ci costringono a studiare e, magari, danno potere a chi si è adattato prima di noi.

Avvocati e magistrati maledicono la tecnologia perché non hanno la benché minima elasticità mentale per adattarsi al tempo che scorre, anzi corre. Eppoi – e soprattutto – se non la possono controllare perdono il potere.

Fioriscono gli “organizziamoci”, molti protocolli locali, non sempre in linea con la legge, che, senza dubbio contribuiscono a creare particolarismi e confusione.

Ci pensano anche i meneghini, con un loro protocollo firmato del Tribunale e dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati: OK, gli atti si mandano telematicamente in digitale (come prevede la legge, peraltro in modo esclusivo), ma – non si comprende bene il perché – bisogna stampare e depositare anche una “copia di cortesia”.

Ora: per me “cortesia” equivale ad “educazione” che, sempre per me, è un insieme di regole che non prevede sanzioni. Tant’è…

Persona e Danno ci dà notizia di un provvedimento assai particolare. Cito testualmente il passaggio che posso anticipare come “incriminato”. “Incriminato” perché su Facebook è già montata la polemica che, sicuramente, ricadrà sul Web (che strano… una volta comandava il generico Web). Anzi, pubblico lo screenshot, così non ci sbagliamo.

 PCT

Insomma: in pieno vigore di PCT non depositare la stampata lede la maestà, analogica, del Collegio. E, per tali motivi, merita una sanzione di ben 5.000 euro ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. Tutto perché ci sarebbe un protocollo di ben poco valore vincolante, che va oltre (e anche un po’ contro) la legge e che, comunque, riguarda un feudo locale.

Il codice di procedura civile, in effetti, prevede una regola interessante, pure condivisibile. Eccola:

Art. 96.

(Responsabilità aggravata)

Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.

Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

Ora, io non sono un civilista. Mi si vede, talvolta, in sede civile per questioni particolari di cui mi occupo e, comunque, degnamente assistito da partner adeguati. Però penso di potere affermare che il provvedimento, a volergli fare un complimento, è realmente aberrante, al di fuori di ogni regola, specie di quella menzionata. L’art. 96 c.p.c. nasce per sanzionare una qualche scorrettezza alla controparte (ad esempio, la “lite temeraria”) e, invece, viene usato per punire una supposta “scortesia” al giudice (peraltro, alcune fonti mi dicono che quella copia non è più dovuta, nella prassi). Un uso distorto di una regola nata per ben altri scopi. E non si comprende se in ciò c’è arroganza e/o volontà di affossare il PCT con gli stessi suoi strumenti.

Qual è il problema? Non c’è un solo problema, ce ne sono diversi, sono quelli che ho citato e forse anche di più.

Ma l’aspetto drammatico di tutto è quanto ho anticipato: un’Italia che soffoca nel misoneismo di chi osteggia il progresso andando anche contro la legge.

Abbiamo un magistrato che, senza pensare al bene che può fare il processo telematico e pur essendo tenuto, per legge, ad accedere al documento informatico sembra abbia preferito “vendicarsi” per un presunto – quanto insussistente – sgarbo, peraltro forzando non poco una norma di legge.

Certi atteggiamenti vanno stroncati, sono contro la Giustizia e il progresso.

Edit: ne parlano anche Simone Aliprandi e Nicola Gargano. Sono certo che se ne aggiungeranno altri, stay connected. E anche Andrea Lisi.

Ri-edit: intanto, Simone Aliprandi tenta una raccolta di “prassi” sulla “copia di cortesia”, con tanto di foto scattate in varie sedi giudiziarie.

Edit molto importante: Montata la polemica, su una bacheca Facebook viene fuori questo provvedimento, successivo a quello di cui sopra

PCT_2Insomma, un quarto giudice (quello delegato dal Fallimento, diverso rispetto al Collegio), elegantemente sostiene che la condanna a 5.000 euro per omesso deposito cartaceo è un po’ “opinabile”.
Il resto, anche se non riguarda il nocciolo della vicenda qui trattata, sembra un modo, anche un po’ disarticolato, per rimediare a certe aberrazioni ed evitare un ricorso per cassazione (del condannato alla somma) dall'”esito incerto” (eufemismo per dire “favorevole al ricorrente”).

Ancora edit: un articolo di Fabrizio Sigillò.

 

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Autopromozione > Terzo Corso di Formazione Specialistica dell’Avvocato Penalista, UCPI – Sapienza

UCPI

Il Corso di Formazione Specialistica dell’Avvocato Penalista organizzato dall’Unione delle Camere Penali Italiane con La Sapienza è giunto alla terza edizione.
Si tratta di un corso assai complesso e completo che si sviluppa in un biennio.
Per questo “giro” sono stato chiamato anch’io, brutto anatroccolo tra tanti nomi pesanti.
Il 23 maggio, a Roma (me è prevista anche la videoconferenza con alcune sedi decentrate), relazionerò, insieme ad altri Colleghi, taluni docenti, sui reati informatici.
Con l’avv. Stefania Forlani, in particolare, ci occuperemo dei reati informatici “impropri”, cioè quelli commessi mediante gli strumenti informatici o telematici: diffamazioni, truffe, stalking, ecc.
Al di là del mio modesto contributo, credo che occasioni come questo Corso siano imprescindibili per una certa formazione professionale.

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Avvocati minacciati

Malgrado quello che pensano in molti, gli avvocati non sono “furfanti per contiguità” (cit.), ma, anzi, in alcuni casi si trovano ad essere vittime di minacce a causa delle propria professione, evidentemente scomoda per alcuni.
Succede anche da noi…
Il 23 gennaio si terrà la “Giornata dell’Avvocato Minacciato”, iniziativa cui ha aderito l’Unione delle Camere Penali Italiane.
QUI.

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