Phishing: i mariuoli, le banche, gli utenti

Si parla sempre piu’ di phishing. Giustissimo farlo. Basta controllare la propria casella di posta (o i filtri dell’antispam) per comprendere le dimensioni del fenomeno.
Tempo fa leggevo di un’operazione milanese che ha condotto all’arresto di alcune persone che avevano organizzato una struttura di phishing rastrellando un po’ di soldi. Ma, secondo me, il phishing senza effettivo prelievo di danaro non costituisce reato se non a livello di tentativo (di truffa, di frode informatica, di accesso abusivo e tante altre ipotesi che si possono fare, giuste o sbagliate).
Poi, negli ultimi giorni ho letto anche di McAfee che ha elaborato e messo a disposizione un test per vedere quanto sono scaltri gli utenti. Lo riporta il Corriere.
Ma il mondo e’ pieno di "utonti", lo sappiamo tutti. E’ non e’ una colpa.
Allora, visto che e’ anche un filone emerso sempre nella ml del Circolo, che dire della responsabilita’ delle banche? Penso di non dire cretinate affermando che gli attuali sistemi di banking online sono parecchio inaffidabili: ID e password. Un po’ pochino, eh… E lo sanno pure le banche dal momento che stanno sperimentando sistemi alternativi (password monouso, dongle, ecc.).
Bene, la mia domanda, allora, e’: quale responsabilita’ delle banche in caso di prelievo da phishing?
Sarei molto felice se le associazioni di consumatori invece di occuparsi quasi esclusivamente del caso Peppermint (molto demagogico, ma che, in fondo, nasce da una penalmente illecita condivisione di opere protette), impegnassero qualche risorsa per mettere ai ferri corti anche gli istituti di credito che, forse, non garantiscono "locali" sicuri. Perche’ a ben vedere vittime del phishing non sono le banche (come, talvolta, si vuol far credere), ma gli utenti che non riceveranno mai piu’ i propri risparmi, neppure da chi si prende delle commissioni per custodirli.

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Peppermint: e’ tutto cosi’ lineare?

Non ho l’abitudine di saltare, magari anche fuori tempo massimo, sul carro dei vincitori. Vedo che lo stanno facendo anche coloro che, pur sostenendo l’irregolarita’ dell’acquisizione di certi dati di P2P, arrancavano, sovente, con tesi bislacche, soltanto suggestive e sobillatrici di masse. Ma non e’ il mio stile.
La sconfitta di Peppermint & C. e’ stata salutata come una vittoria dei diritti fondamentali, dei consumatori (ma quali consumatori?). Ma ci sono voci dissenzienti; e non mi riferisco ai discografici, alle solite federazioni o associazioni delle lobby, ma a giuristi che, liberamente, esprimono il proprio convincimento scientifico senza essere partigiani. Sulla ml del Circolo dei Giuristi Telematici c’e’ stata un’interessantissima discussione. Purtroppo, le ferie estive hanno smorzato tutto.
Io rimango con le mie perplessita’ e la cosa che mi fa piu’ strano e’ il ruolo del Garante: dei precedenti procedimenti si era bellamente disinteressato (malgrado la comunicazione da parte della magistratura), ma, dopo il sollevamento popolare, si e’ costituito e, anche leggendo l’ultimo provvedimento romano, sembra proprio aver fatto la differenza. Non ne comprendo il motivo.

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La tutela delle mailing list

Mi segnalano questa interessante sentenza (civile) che fa il punto sulla tutela delle comunicazioni che avvengono nelle mailing list. I fatti storici dovrebbero essere questi.
In estrema sintesi, malgrado la posta venga smistata ad un certo numero di persone, il numero, appunto, e’ chiuso e, pertanto, sono rilevanti le regole che tutelano la corrispondenza, a partire dalla Costituzione.
C’e’, in verita’, una sorta di precedente (conforme). Una "bega" scoppiata in una mailing list di magistrati (ma non soltanto). So che la cosa e’ finita al CSM (non in tribunale) come procedimento disciplinare. Una volta c’erano anche dei materiali ufficiali che, oggi, non trovo piu’. Segnalo, comunque, questa interrogazione alla Camera che riguarda proprio quei fatti.

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Caso Peppermint: l’ordinanza di rigetto

Sul blog di Guido Scorza, l’ordinanza capitolina di rigetto del ricorso Peppermint-Techland.

P.S.: La versione su Adiconsum non sembra "ufficiale" come quella di cui sopra.

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Peppermint: il Garante dice no

Ok, il titolo, cosi’, faceva piu’ effetto, ma capirete perche’ l’ho messo.
Una brutta notizia: la casa discografica non e’ Peppermint.
La classica buona notizia: che in un provvedimento che sembra gemello un giudice, verosimilmente sulle osservazioni del Garante portate dall’Avvocatura dello Stato, avrebbe respinto il ricorso volto all’acquisizione delle utenze associate agli IP.
Di piu’ non so: ne hanno parlato Guido Scorza e Quinta, citando Cortiana.
Francamente, non ci avrei creduto molto, ma presto conosceremo le motivazioni.

Aggiornamento del 18 luglio 2007: C’e’ anche Peppermint, lo dice PI. Pero’, come al solito, vedo che tutti parlano e nessuno tira fuori la motivazione (anche perche’ non so se sia gia’ disponibile).

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Sed Lex > Questo sito non e’ stampa

(da Punto Informatico del 17 luglio 2007)

Roma – Le parole del Garante per la tutela dei dati personali, che si interroga su come applicare ai blog le regole dell’informazione, significano soltanto una cosa: queste regole vanno applicate anche perché i blog costituiscono, secondo lui, un pericolo per la privacy della gente.
I paranoici si sono già scatenati: censura!
Io, per natura sono più cauto (o, forse, soltanto meno responsabile), ma non posso fare a meno di ricordare che, da tempo, il Web (non soltanto i blog) è sotto assedio. Soltanto qualche esempio. continua a leggere

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La legge va rispettata, ma costa cara

Bene, pare che, in Italia (e non solo), i siti istituzionali facciano pena. Stupore? Forse soltanto per i nostri governanti (non che siano in malafede… proprio non capiscono…).
Uno di quelli che in Rete ci sta pensa subito allo scandalo, soffocato, di italia.it, al "divieto" di accesso agli atti per qualcosa che e’ costato un sacco di soldi ed e’ un disservizio. Certo, siamo sudditi, non cittadini e le motivazioni formali sono il mestiere di noi cervellotici giuristi.
In realta’ c’e’ molto di più.[[SPEZZA]]
Faccio un esempio, comprensibilissimo per tutti.
Da noi, l’ignoranza della legge non scusa. Lo dice l’art. 5 del nostro codice penale: "Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale".
Ok, ma, allora, uno ha qualche ragionevole motivo per pretendere che le regole siano disponibili, chiare e… aggiornate.
Andiamo avanti con l’esempio, un po’ influenzato dalla mia esperienza professionale.
Uno si trova indagato per il reato di cui all’art 171, comma 1, lettera a-bis) della l. 633/41 (per l’upload illegale via P2P) e, prima di andare da un avvocato, cerca.
Cerca, comprensibilmente, una fonte ufficiale e, se gli va bene, trova NormeinRete che e’ il vanto dell’informazione giuridica dello Stato.
Inserisce la query relativa alla 633/41 e trova due fonti: Cassazione e Ministero della Giustizia (via SIAE). Bene, il secondo testo e’ corretto e aggiornato, il primo… lasciamo perdere… e’ la versione del 1941…
Io lo so, perche’ faccio l’avvocato (e mi interesso della materia), ma il cittadino che e’ parimenti tenuto all’osservanza della legge?
Abbiamo un sistema idiota di novellazione aggravato da questa inesistenza dell’informazione di aggiornamento.
Stato, Internet, pubblicità della legge = Zero in pagella. Ok, forse occorrerebbe ricordare che bisogna far sopravvivere l’IPZS che di pubblicazioni di legge vive (a scrocco, visto che le leggi le fanno i nostri rappresentanti, dunque noi). Si’ perche’ la Gazzetta Ufficiale, edita dallo stesso Poligrafico, e’ a pagamento, il relativo sito pubblica, gratuitamente, soltanto quelle degli ultimi sessanta giorni e ben pochi (e introvabili) siti istituzionali si occupano dell’indispensabile aggiornamento. Arrangiatevi, siete sudditi, non cittadini.
Oso: come può lo Stato pretendere la conoscenza di una legge a pagamento e così complicata? Anche per noi operatori del diritto, eh…
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A che punto e’ veramente il processo telematico?

Io sono un po’ perplesso. Non che voglia remare contro o essere disfattista, ma vedo che se ne parla da anni, si impegnano tanti soldi e i risultati sembrano pochini.
Qualche sabato fa mi trovavo presso un tribunale ligure. Ho incontrato il Presidente (vecchia conoscenza telematica – ma non voglio millantare il credito che non ho) e ci siamo messi a chiacchierare davanti ad un caffe’.
Ha una certa eta’, eppure, con l’informatica, ci sa fare. Molto semplicemente mi ha detto che il problema del processo telematico e’ soprattutto uno: con il blocco della assunzioni non c’e’ ricambio generazionale ed e’ chiaro a tutti che la tecnologia sta in pugno soprattutto dei giovani.
Ergo…

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Sicurezza informatica

Grazie a Marco Calamari, scopro che l’IBM 1130 (un calcolatore anni ’60) aveva un pulsante antincendio che penso sia quello rosso a sinistra in questa foto su Wiki.
Carino 😉

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Public enemies

Come gia’ ampiamente riportato, ieri il Garante per la protezione dei dati personali ha svolto la sua relazione annuale. Dal relativo sito il Discorso del prof. Pizzetti e la Relazione vera e propria.
Il primo, per la verita’, a tratti sembra un po’ una excusatio non petita, ma, forse, e’ la caratteristica di tutte le relazioni sul proprio operato.
Per tendenza, guardo agli aspetti di privacy che riguardano informatica e telematica. Se non leggo male, questi sarebbero i nemici tecnologici della privacy (punto 3 del Discorso):
– YouTube e Google;
– i Blog;
– i motori di ricerca in genere;
– videocamere e videotelefonini.
A voi i commenti, io ci rifletto un po’.

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