neXt > Cosa c’è di vero nella depenalizzazione di 112 reati

(da neXt di lunedì 22 dicembre 2014)

Da giorni in Internet si parla insistentemente dell’avvento di un’ampia depenalizzazione riguardante ben 112 reati tra cui, per citare i più gettonati, l’omicidio colposo, lo stalking e il maltrattamento di animali. Il tutto condito con i classici inviti a far “girare” la notizia, a firmare petizioni e tutto il consueto campionario di comportamenti sociali che caratterizzano le bufale per catena di Sant’Antonio. La realtà, però, è parecchio differente ed è facile verificarla.

Partiamo, anzitutto, dal significato della parola depenalizzare: ridurre un illecito penale (un reato che spesso prevede anche la galera) a mero illecito amministrativo, come se fosse un divieto di sosta. Un passaggio non da poco, ma proprio l’ampiezza dello scarto sanzionatorio avrebbe dovuto suggerire prudenza. Approfondiamo. Con la legge 28 aprile 2014, n. 67 il legislatore ha, tra le altre cose, delegato al Governo un’ampia revisione dei reati contemplati dal codice penale e non. Così, si è certamente deliberata una vera e propria depenalizzazione per una serie di reati minori, spesso realmente “bagatellari”. E’ un cammino iniziato anni fa per giungere ad un sistema caratterizzato da un “diritto penale minimo”.

Ma per omicidio colposo, stalking e maltrattamenti agli animali, per fare i soliti esempi così sentiti, non ci sarà alcun colpo di spugna. Lo chiarisce la lettera m) dell’art. 1 che, a questo punto, conviene citare integralmente “escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale”. Cosa significa tutto ciò? Lo spiega meglio uno schema di decreto legislativo che sta circolando informalmente, ma è chiaro che si tratta di qualcosa di profondamente differente dalla tanto vituperata depenalizzazione. La non punibilità (che non equivale ad una generalizzata cancellazione del reato) può conseguire, nel singolo caso concreto, a condizione che:
  • il reato astrattamente sia punibile con la pena pecuniaria o con una detentiva non superiore, nel massimo, ai cinque anni (e lo stalking, in effetti, ci starebbe quanto a pena);

ma anche che:

  • l’offesa sia particolarmente tenue;
  • Il comportamento non sia abituale.

Fatto sempre salvo il diritto al risarcimento in capo al danneggiato che non rimane certo abbandonato al suo destino. Non si tratta di una novità, non si tratta di una porcheria di un Governo cattivo e lassista. L’”irrilevanza del fatto” è già conosciuta nel processo minorile e in quello davanti al giudice di pace. Si tratta, forse, di un istituto non perfetto, ma sicuramente perfettibile. E l’esperienza giudiziaria ci dice che può funzionare. Parliamo di dare una possibilità, una seconda chance ad una persona che può aver fatto una sciocchezza nella vita. E, francamente, non mi sembra una cosa sbagliata. Si pensi ad un piccolo furto al supermercato, magari ad opera del pensionato che non arriva a fine mese. Chi si sentirebbe di condannarlo? Stiano tranquille le donne offese e maltrattate, stiano tranquilli gli animalisti: nessuno vuole privarli delle loro sacrosante tutele.

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#tuttipossonosbagliare

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Nitto Palma, magistrato, parlamentare FI e già incolore Guardasigilli per ben quattro mesi scarsi. Da una parte.
Dall’altra, Andrea Signorelli, giornalista freelance, trentenne. Che scrive un pezzo su una vicenda giudiziaria per finanziamento illecito e, per sbaglio, ci infila il succitato Palma.
Sembra che nessuno gli abbia chiesto di rettificare. Io, ovviamente, non posso dire come sia andata in questa occasione, ma posso confermare che spesso le persone asseritamente lese preferiscono fare subito la querela. E’ un modus operandi che, secondo la mia esperienza, posso dire ampiamente diffuso.
E così sembra sia andata anche questa volta: prima la querela, poi vediamo.
Signorelli, venuto a conoscenza del procedimento, corregge l’errore e chiede scusa. Ma la querela per diffamazione va avanti stesso.
Oggi arriva il conto: 8.000 euro. Personalmente, più che una somma a titolo di risarcimento, credo sia l’importo delle spese legali. Mia opinione.
Sta di fatto che quei soldi li vogliono. E, visto che i freelance, specie se giovani, non navigano certo nell’oro, qualcuno ha voluto dare una mano al Signorelli, con un crowdfunding.

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Il lato oscuro della giustizia

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva (art. 27, comma 3, Cost.)

Io, probabilmente, sono un naif: credo che lo Stato abbia una funzione pedagogica, in particolare quella di insegnarci la legalità, con il proprio esempio.
E, invece, mi fanno notare che non è così. Ci rimango un po’ male.
Pochi giorni fa. Un dì di festa la madre di un bambino ucciso viene portata in caserma, dopo cena, e sentita come “persona informata sui fatti” quando tutti, inquirenti in primis, avevano sospetti su di lei. Nessun avvocato, perché la persona informata sui fatti non ne ha diritto.
La sera, per 6 o 7 ore di seguito (così riferiscono i media), essere pressati di domande, a casa della Polizia. Come chiamiamo questa cosa? Audizione, colloquio, interrogatorio o tortura? Fate voi.
Io, dopo aver ricordato quanto dice la Costituzione, vorrei citare anche il testo dell’art. 63 c.p.p.

Art. 63.
Dichiarazioni indizianti.

1. Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.
2. Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

Personalmente, credo proprio che la persona dovesse essere sentita sin dall’inizio come indagata, con un avvocato (il diritto di difesa è fissato in Costituzione, all’art. 24), donde l’inevitabile inutilizzabilità. Ma, oramai, la frittata è stata fatta, la persona è in prigione anche per effetto di un’attività illegale (contra legem) posta in essere dallo Stato.
Pochissime voci di condanna sul punto, cito la Camera Penale di Milano.
Domani potrebbe capitare anche a noi.

Altra chicca.
Il fermo di una persona può essere disposto esclusivamente sulla base di gravi indizi relativamente a reati di una certa rilevanza (e l’omicidio lo è sicuramente) e “quando sussistono specifici elementi che, anche in relazione alla impossibilità di identificare l’indiziato, fanno ritenere fondato il pericolo di fuga” (art. 384 c.p.p.).
Ecco uno screenshot dell’atto del Pubblico Ministero che sarà valutato dal Giudice entro stasera e che, comunque, sta tenendo in galera una persona da diversi giorni.

10690312_10152565768278723_6736316712985775012_nIl nulla e non occorre essere giuristi per giungere a questa conclusione.

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Idee chiare

L’onorevole (e avvocato) Alessia Morani fa un po’ di confusione tra rientro di capitali e autoriciclaggio.

Morani

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Il caso è chiuso (sullo stato di un certo giornalismo italiano)

Loris

(Giusi Fasano, Il piccolo Loris a casa e la spazzatura. I dubbi sulla madre Veronica da Corriere della Sera online, 4 dicembre 2014)

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Analfabeti di ritorno

URP_GEL’URP del Tribunale di Genova è senza dubbio un ufficio efficiente, che dà molte informazioni anche via Web, decisamente oltre la media nazionale.
E aggiungo che, dietro, ci sono persone molto cordiali e disponibili (verificato personalmente poche settimane fa, al telefono).
Tuttavia…
Propri questa mattina, vicino agli ascensori laterali del piano 3 del Palazzo, mi sono imbattuto nel manifesto fotografato (forse già esistente, ma che non avevo mai notato).
Una sorta di cartaceo di ritorno, uno stampato che annuncia le novità del sito. Una cosa mai vista, laddove ho sempre pensato e auspicato l’opposto: il Web che annuncia una carta un po’ desueta, da rianimare.
Temo sia il segno di una resa, certamente di una conclamata incapacità nell’utilizzare il mezzo, ancora più grave se si manifesta nella PA.
Evidentemente, dopo gli entusiasmi degli anni passati, qualcuno ha ritenuto (forse, purtroppo, un po’ a ragione) che occorresse fare un passo indietro. Perché la cultura proprio non c’è, perché nessuno, tra quelli che “contano”, ha voluto realmente diffonderla.
La “cultura digitale”, quella che potrebbe aiutare la rinascita del nostro Paese, sembra fatta soltanto di gadget elettronici per adulti.
Una brutta involuzione, i cui sintomi sono da tempo più che evidenti.
E così, inevitabilmente, torniamo al punto di partenza: a questo agghiacciante indice cartaceo di una pubblicazione telematica.
Perché, purtroppo (anzi: per colpa di qualcuno), non è concepibile, allo stato, che aspettando l’ascensore (specie nei giorni di Sorveglianza che intasano i montacarichi umani) si possa accedere al sito semplicemente con un codice QR di pochi centimetri di lato.
Non ci servono campioni digitali, vogliamo la “normalità”, quella che non c’è.

 

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Sentirsi alluvionati

Capita che la notizia del (lodevole) “congelamento” dei termini per il pagamento di tributi e quant’altro, causa alluvione, ti faccia sentire a disagio, ulteriormente fragile.
Fortunatamente, qui, nel Tigullio occidentale, ci sono stati pochi problemi, ma Chiavari, entroterra e dintorni hanno pagato tanto, anche con due vite.

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Se Facebook incastra il rapinatore

Non è certo la prima volta che dati tratti da Facebook sono utilizzati dagli investigatori.
Ora, la Suprema Corte ha deciso su un altro caso direi di “esibizionismo social”. L’indagato è stato riconosciuto anche per il vistoso orologio che aveva postato su Facebook.
Ecco, così impara.

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Internet non è un luogo

1.RICONOSCIMENTO E GARANZIA DEI DIRITTI

Sono garantiti in “piccione viaggiatore” i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dai documenti internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni e dalle leggi.

Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione del “piccione viaggiatore”.

Il riconoscimento dei diritti in “piccione viaggiatore” deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

Quello riportato sopra (con alcune modifiche di cui dirò) è il primo articolo della bozza della Carta dei diritti in Internet fortemente voluta da Stefano Rodotà e Laura Boldrini, sottoposta in questi giorni a consultazione pubblica.
Visto che in Commissione ho un paio di amici stretti e con un altro lo siamo un po’ meno, vorrei dire la mia, magari mi ascoltano.
Un approccio sbagliato.
Internet non è un luogo, ma un mezzo, come lo sono il telefono, il fax, financo il piccione viaggiatore che ho voluto, provocatoriamente, sostituire ai termini “Internet” e “Rete”.
Considerarlo luogo, utilizzando il termine “in”, temo sia soltanto un sofisma, ad essere buoni mera suggestione, col sospetto della demagogia.
Nessuno si sognerebbe mai di definire luogo un piccione viaggiatore o un fax.
Internet, per essendo un mezzo straordinario (il più straordinario, al momento), è, appunto, soltanto un mezzo tra i mezzi.
Incidentalmente ricordo che identificare Internet come un luogo o un’entità a sé (es.: “il popolo di Internet”) o come un “mondo virtuale” (laddove il mondo telematico è “realissimo”) era prerogativa dei soggetti “infolesi” (certi politici e certi comunicatori che amano riempirsi la bocca di termini e concetti sconosciuti).
Ora, molto tristemente, devo constatare che, invece di rientrare, questa tendenza, questo profondo errore concettuale, malgrado l’affermarsi di una certa cultura digitale, si sta espandendo. E temo che questa “Carta”, che nel suo preambolo inizia a parlare ambiguamente di “spazio”, sia una prova inconfutabile.
Persino la Cassazione, recentemente, ha parlato di Facebook (sic) come “luogo”. Ed io lo trovo molto preoccupante (come preoccupa Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani).
Questa tendenza va fermata prima che porti a conseguenze irrimediabili.
Un lavoro inutile.
Tutti i diritti che sono menzionati nella Dichiarazione sono, in realtà, già riconosciuti nella nostra Costituzione, nelle nostra legislazione ordinaria. E così nelle leggi di tanti paesi.
Per cui, proprio non capisco la necessità di mettere in piedi tutta questa macchina che appare un esecrabile spreco di risorse, non soltanto economiche.

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copia&incolla&muori

E’ la quarta volta che ne scrivo, QUI l’ultima.
Il copia e incolla è ingiustizia, anche in questa versione particolare (“salva come…”).
Leggo e riporto (copio&incollo) dal Corriere

Nel verbale d’arresto i militari dell’Arma scrissero che Cucchi era «nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora»; peccato che fosse nato a Roma in tutt’altra data, e che l’abitazione in cui risultava ufficialmente residente fosse appena stata perquisita, senza esito, alla presenza sua e dei genitori. Evidentemente il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva, visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la «mancanza di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti». Fosse tornato a casa, sia pure da detenuto, probabilmente Stefano sarebbe ancora vivo. Nel verbale d’arresto i militari dell’Arma scrissero che Cucchi era «nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora»; peccato che fosse nato a Roma in tutt’altra data, e che l’abitazione in cui risultava ufficialmente residente fosse appena stata perquisita, senza esito, alla presenza sua e dei genitori. Evidentemente il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva, visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la «mancanza di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti». Fosse tornato a casa, sia pure da detenuto, probabilmente Stefano sarebbe ancora vivo.

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