Morti e vivi senza pace

I morti, specie coloro che sono stati strappati alla vita in circostante così emotivamente dilanianti, dovrebbero essere lasciati in pace, ‘ché già la terra potrebbe non essere loro tanto lieve.

Eppure, sui morti si specula sempre, impietosamente. E assai pure sui vivi.

Tutto si sviluppa in questa sequenza (ovviamente, da leggere dal basso verso l’alto).

Alfano_2

Un primo tweet: semplice, sintetico, categorico e devastante.

Un tweet pubblicitario, vero e proprio spam gracchiato, per il curriculum del Ministro: dell’Interno, già della Giustizia, avvocato eppure dimentico di una norma fondamentale della nostra Costituzione.

Lo rivediamo insieme, ce n’è bisogno. Art. 27, comma 2, Cost.

“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Tuttavia, per il Ministro no, non vi è il minimo dubbio e dietro tanti media colpevolisti, guarda caso soprattutto quelli che lo dileggiano quotidianamente.

Ore dopo, il Ministro si accorge di avere un po’ esagerato e, verosimilmente col riaffiorare di reminiscenze universitarie (che noia Costituzionale, ma era un fondamentale) la parola “presunto”, seppure un po’ ipocrita, va scritta, non è peccato. Lo rimbrotta pure il Magistrato al quale il Ministro, non a torto, risponde di indagare su chi ha divulgato i dettagli. Il saper rimanere silenti non è virtù diffusa.

Ma è troppo tardi. L’euforia punitiva si è già scatenata e sa già del sangue della vittima (passata in secondo piano) misto a quello del suo carnefice “individuato”.

Il “carnefice”, con le sue presenze social, da scovare, da svelare, da interpretare, per renderci tutti 60 milioni di criminologi, più di quelli, spesso sedicenti, che popolano la TV talvolta anche in prima serata. Gli aforismi, le foto, le bambine, pur rigorosamente pixelate, i cuccioli, tutte le puttanate che mettiamo su Facebook. C’è l’intero campionario di materiali riciclabili in pornografia vestita da giornalismo d’inchiesta.

Il mostro superstar, con la sua vita, anche passata, mostruosa, con la sua famiglia mostruosa. Sì, perché un mostro non può vivere al di fuori di un contesto mostruoso, non ci è concepibile qualcosa di differente.

Alla vittima, alla figlie – parimenti vittime – pensano in pochi. E’ soltanto un vomitevole mercato della politica e dell’informazione voyeuristica dal quale Pietà e Giustizia sono bandite.

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copia&incolla&condanna

Il  copia&incolla è una cosa bellissima: fa risparmiare un sacco di tempo. Ma può avere le sue applicazioni perverse, di dubbia liceità.
Se un giudice copia e incolla dagli atti dell’accusa (non soltanto del pm, ma, addirittura, anche quelli degli investigatori) e basa le proprie motivazioni soltanto (o quasi) su quello, non svolge bene il proprio lavoro, abdica ad una funzione fondamentale per la democrazia.
Eppure succede, molto spesso.
In un recente caso concreto, se ne lamentano diversi Colleghi (tra cui qualche amico). La Cassazione ha santificato la pratica del cut&paste, ma non è la prima volta.

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Come ti sequestro il blog – updated

In una vicenda del genere è facile che venga fuori la partigianeria: i protagonisti della vicenda rendono fin troppo ghiotta l’occasione. Eppure, occorre mantenersi freddi, specie se si parla di diritto.
Il 3 giugno il GIP di Roma ha firmato il decreto di sequestro preventivo del blog di Michelle Bonev, ma la notizia è trapelata soltanto ieri.
Ce lo riferisce il Corriere che ricorda le “rivelazioni” della donna su Francesca Pascale a Servizio Pubblico, oggetto di pronta querela.
Il GIP, evidentemente, ha ritenuto sussistente la diffamazione e il pericolo che il blog possa servire nuovamente allo scopo.
Bonev
Il sequestro “preventivo”, contrariamente a quanto lamenta la signora Bonev, giusto o sbagliato che sia, non è la prima volta che viene disposto. E’ pienamente regolato dal codice di procedura penale.
Il Corriere, per la verità, oltre a parlare, molto impropriamente di “censura” parte della Postale, opina anche il sequestro totale del sito invece che dei soli, singoli post “incriminati”.
Difficile dare un’opinione corretta senza conoscere tutte la carte, ma, in punto diritto, credo sia opportuno ricordare una recente pronuncia della Cassazione dove si parla proprio dell’opportunità di sequestrare, o meno, un sito nella sua interezza. Giungendo ad una conclusione innovativa.

Update del 9 giugno pomeriggio. Il Corriere dava atto che, malgrado il sequestro del sito .com, la Bonev aveva “prontamente aperto” un clone su dominio .it.
Mi sa che qualcuno se ne era già accorto. Stamattina era visibile, ora non più…
Bonev_2

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Rifatti il sito

Due notizie importanti.
Una non nuovissima, ma che diventerà attualissima tra pochi giorni.
La secondo di oggi.
Partiamo da quest’ultima che riguarda la privacy online, più precisamente il tema dei cookie, piccoli file che tracciano la nostra presenza Web e consentono anche di profilarci.
Per tale ragione, il Garante, tempo fa, aveva indetto una consultazione pubblica ed oggi è arrivato il provvedimento che pone dei paletti. Bisogna adeguarsi, a breve. Qualcuno (es. Google) lo ha già fatto.
La prima notizia, invece, riguarda la tutela dei consumatori, anche online. Il !4 giugno entrerà definitivamente in vigore il decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21 che, modificando il Codice del consumo, dà maggiori tutele appunto ai consumatori, con aumento delle sanzioni.
Due occasioni per rifarsi il sito e non soltanto per evitare le multe: credo che il rispetto della legge sia anche sintomo di professionalità, con i conseguenti riflessi sull’immagine aziendale.
Ecco, giusto per fare un po’ di autopromozione, lo Studio da qualche anno offre consulenza per la “messa e norma” dei siti Web, proprio su questi e altri temi (privacy, consumatori, diritto d’autore e industriale, commercio elettronico, fiscalità, ecc.).

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Autopromozione > Master (non chef)

Sono reduce da una breve trasferta, di due giorni: per un processo fuori sede e una lezioncina (in realtà cinque ore pur “lorde”…) nell”àmbito di un master post lauream organizzato dalla Fondazione Bruno Visentini, in particolare dal Collega avv. Alfonso Papa Malatesta.
Nel Master “Diritto d’Impresa”, sono stato coinvolto nel modulo “Imprese e nuove tecnologie”.
Nella suggestiva location della sede LUISS a Roma, svestiti i panni del penalista mi sono lanciato su temi che – ma non tutti lo sanno – fanno parte dell’altra metà della mia attività, anche se quella in toga è prevalente.
Tra diritto d’autore, diritto industriale, diritto commerciale, privacy, commercio elettronico e diritto dei consumatori, il tempo è passato assai velocemente.
Pare ci sia stato un buon feedback. Io ringrazio l’avv. Papa Malatesta e spero l’esperienza si potrà ripetere anche il prossimo anno: ho già un po’ di idee da proporre agli organizzatori.

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Troppo bello per essere vero?

Oggi il Corriere spara in prima pagina la notizia che Google, dopo la sentenza della Corte UE, ha predisposto un apposito servizio per la rimozione dai risultati, in ossequio al diritto all’oblio.
Ne rimango impressionato, per mille motivi. Mi riservo di vedere se funziona.
P.S:: Anche Repubblica e La Stampa.

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La privacy degli altri

L’Istituto Vendite Giudiziarie di Varese mette all’asta degli oggetti rinvenuti in aeroporto.
L’avviso. tra le altre cose, chiarisce quanto segue

Si comunica inoltre che chi dovesse acquistare computer, telefoni e macchine fotografiche digitali dovrà provvedere alla distruzione dei dati contenuti. E’ fatto divieto assoluto della divulgazione degli stessi. I trasgressori saranno perseguibili a termine di legge.

Personalmente, lo trovo parecchio imbarazzante.

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LSDI > Diritto all’oblio: non è vero che è “inapplicabile alla Rete”

Occorre una premessa.

Ho scritto il pezzo dopo aver letto diverse opinioni contrarie. Mentre rientravo da una trasferta, alla radio, ho ascoltato Rodotà. Unica opinione favorevole sentita sino a quel momento, prima di mettermi a scrivere.

Poi, con grande piacere, mi sono accorto che, tra i giuristi (e salvo qualche eccezione), non sono stato l’unico a plaudire, quanto meno nei principi enunciati, la sentenza della Corte europea.

Sarzana, tramite Facebook, segnala un pezzo di Alessandro Longo per Repubblica (che mi aveva chiamato per un’opinione sulla vicenda) e leggo che Fulvio la pensa come me, ricordando quante volte, come avvocati nel cercare di tutelare i nostri assistiti, abbiamo sbattuto la faccia contro Big G.

Leggo anche Gibbì Gallus e Kikko Micozzi, felice di pensarla alla stessa maniera, paradossalmente in modo non omologato, anzi…

No, non abbiamo paura della Rete e non la odiamo. Vogliamo soltanto equità. Vediamo troppe ingiustizie e prevaricazioni, anche qui in Internet.

Ed ora il mio pezzo per LSDI.

(da LSDI del 15 maggio 2014)

Per alcuni è l’ennesima occasione per dare contro al governo (meritevole o non meritevole delle nostre censure, non è questo il punto).

Per altri, il momento giusto per schierarsi a fianco di Google oppure contro. Il mondo è pieno di faziosi, lo sappiamo.

Per altri ancora, c’è l’opportunità per fare un po’ di (in-)sano populismo, per dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire. In un modo o nell’altro, sono sempre fazioni.

Però, mi sembra che pochi abbiano compreso a fondo l’origine della pronuncia della Corte Europea sulla responsabilità per i risultati dei motori di ricerca (e non solo su questo punto, per la verità).

A costo di tediare col legalese, vorrei affrontare il problema con un certo rigore, cominciando col linkare lapronuncia.

Si comprende, così, che la Corte non ha deciso alcunché nel merito. Di certo, ha detto cose molto importanti (e il significato da dare ad una direttiva è cosa fondamentale) e cogenti, ma la decisione sul caso concreto è ancora da venire.

Ad oggi, abbiamo risposte ad alcune domande su questioni pregiudiziali. La pregiudiziale si ha quanto un giudice nazionale, eventualmente su istanza delle parti, chiede la corretta interpretazione di una norma dell’Unione. Il responso, obbligatorio, è dato appunto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Nel caso concreto, alla Corte sono stati chiesti lumi sulla corretta interpretazione di alcune regole espresse dalla direttiva 95/46/CE in tema di dati personali.

Tema generale il “diritto all’oblio” che, si badi bene, non è l’ultimo capriccio del giurista tecnologico (o sedicente tale), ma argomento di cui si dibatte da decenni: Stefano Rodotà – e non solo – ne parlava ancora prima che esistesse il Web. Ne avevo scritto tempo fa proprio su queste pagine, riferendo di alcune decisioni italiane.

Il “diritto all’oblio” è il diritto ad essere dimenticati. E, considerata la straordinaria memoria della Rete (e che i motori di ricerca sono diventati vere e proprie interfacce utente rispetto Web – con tutti i vantaggi che ne traggono), la cosa si fa particolarmente delicata proprio riguardo le informazioni pubblicate in Rete.

Così, si pone naturalmente contro un eventuale diritto di cronaca anzi, per la precisione, al diritto ad essere informati. E’, inevitabilmente e come succede praticamente sempre, una questione di diritti contrapposti del cui equilibrio si deve discutere, ma nel caso concreto.

D’ altro canto, non vi è certo misoneismo in chi invoca il diritto all’ oblio contro il diritto ad essere informati mediante la Rete. Anzi, vi è grande consapevolezza del mezzo che non è come un giornale che finisce, in un archivio dimenticato e di fatto inaccessibile.

Si tratta di un diritto in divenire nelle varie legislazioni, non ancora precisamente delineato, anche in quella dell’Unione, ma in via di definitivo consolidamento specie attraverso il regolamento europeo di prossima (si dice) approvazione.

E veniamo al nostro caso. Un cittadino spagnolo chiede di essere dimenticato e vuole che ciò avvenga mediante la cancellazione di determinati contenuti all’origine e anche dei relativi risultati da Google.

Il Garante spagnolo gli dà parzialmente ragione, lasciando le fonti all’ origine (in quanto la pubblicazione era stata ordinata da un giudice per motivi di pubblicità legale), ma imponendo a Google di omettere i relativi risultati di ricerca.

Big G non ci sta e impugna davanti all’ Autorità giudiziaria iberica la quale decide di vederci chiaro interrogando la Corte europea che fornisce quattro precise risposte.

Secondo la direttiva richiamata:

– un motore di ricerca come Google effettua un “trattamento di dati personali”, mentre il gestore deve essere inteso come “responsabile” secondo la legislazione europea (nella legislazione italiana si parla di “titolare”, figura per certi versi coincidente);

– se un soggetto extracomunitario stabilisce una propria succursale in uno Stato UE e
con essa effettui un trattamento, allora deve sottostare alle leggi dell’Unione, ad esempio la direttiva;

– l’interessato gode di tutta una serie di diritti tra cui anche quello all’aggiornamento e alla cancellazione, ovviamente a determinate condizioni fissate per legge, anche nei confronti del gestore di un motore di ricerca e pur in presenta di un’originaria pubblicazione legittima;

– i diritti del singolo posso prevalere su quelli (tipicamente economici) del gestore del motore e addirittura su quelli del pubblico (il diritto ad essere informati); ciò ai sensi di quanto sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Francamente, mi sembra tutto ineccepibile nei principi (perché ricordo che la Corte non ha deciso sul caso concreto).

E proprio il riferimento alla Carta UE dovrebbe fare parecchio riflettere perché nessuno nega che vi sia un diritto alla conoscenza di certe informazioni, ma occorre sempre ricordare che esso deve essere contemperato con gli altri principi espressi dalle Carte nazionali o sovranazionali.

E invece no, si preferisce bollare, in vario modo, la decisione di Lussemburgo con tanti argomenti spesso più di pancia che di testa.

Almeno un abbozzo di diritto all’oblio esiste, non possiamo negarlo, e discende dagli artt. 12 e 14 della direttiva approvata vent’ anni fa e recepita in tutta l’Unione. Occorre valutarne estensione e forza, se comporti la cancellazione o, come visto qui da noi, soltanto una rettifica (cosa difficilmente applicabile ad un motore), ma l’esistenza dei diritti espressi dalle disposizioni appena citate dovrebbe costituire un punto fermo, a meno che non si voglia cambiare la legge.

Ad ogni modo. il diritto all’oblio, nella forma appena vista, non è inapplicabile alla Rete. Anzi, la straordinaria memoria che quest’ultima possiede ne rende urgente una sua più precisa definizione: nell’nteresse dei singoli che non necessariamente devono sempre soccombere di fronte ad un irresistibile diritto pubblico o, peggio, di quello subdolo di un privato contrapposto.

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Il fallimento dell’informatica giuridica – 7

A Torino sperimentano il Processo Telematico Penale (PTP), dopo i “successi” di quello civile (per la cronaca: un mostro burocratico spesso gestito da inetti).
Loro ti mandano le notifiche via PEC, ma con quello stesso mezzo tu non puoi depositare alcun atto.
Viva l’Italia, viva la Giustizia.

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