No words

“Internet, un dono di Dio”.
(Papa Francesco)
QUI

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Un plagio surreale?

Uno dei fondamentali del diritto d’autore dice che la legge, in questo àmbito, tutela l’espressione dell’idea non l’idea in sé.
Allora,, non potremo affermare di essere stati i primi, ad esempio, a dipingere una natura morta per vantare la relativa esclusiva sul genere. Potremo soltanto riservarci una certa esecuzione, un certo stile, insomma.
Il surrealismo nasce quasi cent’anni fa, non è certo una novità. Due nomi tra tutti: Magritte e Dalì.
Eppure, è un filone ancora fecondo. In Italia è attualmente rappresentato anche da Giuseppe Mastromattteo, artista e art director.
Succede che Swatch esce con una campagna pubblicitaria… “imbarazzante”. Sì, perché i punti di contatto con il lavoro del nostro sono decisamente tanti e sembrano andare al di là della comune ispirazione surrealista.
Ne parla oggi Repubblica.

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La giustizia ai tempi di Facebook (e della crisi)

Non redo che nessuno di noi possa rimanere realmente indifferente di fronte ai suicidi in qualche modo collegabili alla crisi che stiamo patendo.

E sono convinto che, anche per opporsi a drammi come questi, tutti noi, ognuno con le proprie risorse, dobbiamo fare qualcosa. Qualcosa, ovviamente, di buono e utile, dal voto in giù.

E, invece, qualcuno preferisce inventarsi iniziative che avranno il solo effetto di far perdere tempo (forse anche denaro) alla gente e che, visto come sono votate all’insuccesso, costituiranno ulteriore frustrazione per spiriti già provati.

Mi riferisco alla “class action” (così la chiama, molto impropriamente, il Giornale) annunciata ieri da Affariitaliani.it che si appoggia, classicamente, ad una pagina Facebook partecipativa e che viene dal basso (nel momento in cui scrivo, quasi 13.000 partecipanti all’evento).

Tutto ruota intorno a un bell’”esposto-querela” per il reato di istigazione al suicidio (sic), ovviamente contro questo Governo. E’ proprio roboante.

Il fallimento totale è annunciato (per palese infondatezza delle tesi giuridiche sottostanti) e l’intasamento delle Procura subirà ulteriori aggravamenti.

La Giustizia è una cosa seria.

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13, 14 e 15 gennaio 2014: astensione udienze penali

“Sciopero” dei penalisti per protestare contro gli attacchi alla funzione difensiva.
Riflessioni sacrosante nella deliberaUCPI, anche se temo che queste forme di protesta non bastino più (mi sembra di essere la Camusso).

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Negazionismo: un punto di vista giuridico

Da qualche mese Giulia Cortoni collabora con Penale.it. E i suoi contribuiti sono sempre di ottima qualità, credo anche fruibili dai non addetti ai lavori.
Oggi ho pubblicato un suo intervento sul disegno di legge che vorrebbe introdurre il reato di negazionismo.
Conclusioni controcorrente che condivido pienamente.

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Giornalettismo > Le bufale di De Benedetti sulla Web Tax

(da Giornalettismo del 28 dicembre 2013)

L’argomento ad hominem, il prendersela direttamente con la persona piuttosto che con le sue argomentazioni, è sempre una tentazione; specie contro persone sulle quali ci sarebbe molto da dire. Ma bisogna sapervi resistere perché è uno stratagemma retorico la cui efficacia dura poco e, inesorabilmente, svela la pochezza di chi lo usa. E, comunque, nel caso che mi accingo a trattare si ha buon gioco a confutare argomentazioni deboli e inconferenti.

Carlo De Benedetti, novello “blogger” su Huffington Post, proprio ieri ha difeso a spada tratta la “Web tax”, appena rinviata dal Governo Letta.
Non è la prima volta, per la verità: era già successo il 16 dicembre scorso, sempre sull’Huffington. E partiamo proprio da qui. Secondo De Benedetti imprese come Google (ma anche Amazon e Facebook) venderebbero beni e servizi (in particolare, pubblicità) in tutto il mondo, Italia compresa, ma scanserebbe balzelli di qua e di là finendo per fatturare in Paesi dalla pressione fiscale più lieve, ad esempio l’Irlanda.

Vero. Talvolta si chiama elusione fiscale e, sino ad un certo punto, è lecita, sempre che non diventi evasione. Ma, allora, perché non non spezzare questo slalom fiscale e permettere che qualche briciola caschi anche qui da noi, italiani invidiosi? Ed ecco la “Web tax”: costringere chi genera in qualche modo profitti “sul” Belpaese ad aprire una partita IVA “IT” e, dunque, pagare tasse qui da noi, per quel profitto.

Tutto molto interessante per le nostre casse cronicamente vuote. Peccato che la misura sia soltanto un patetico tentativo di fare protezionismo. E non sono certo soltanto il populista Grillo e il Casaleggio piccolo fan di Big G a sostenerlo. Tanto per cominciare, Google fattura in Irlanda perché, molto comprensibilmente, ha scelto un posto dove non ti strozzano di tasse. E – piccolo particolare – l’Irlanda è UE, Eurozona. Circostanza che fa ancora più dubitare della legalità del balzello telematico, come rende sostanzialmente inconferente il riferimento dell’Ingegnere alla “stabile organizzazione” dell’impresa da tassare. In più, questa imposizione rischierebbe di tagliarci fuori , paradossalmente, da un flusso economico sicuramente appetibile perché le imprese costrette ad aprire una partita IVA italiana potrebbero rinunciare ad ogni attività qui da noi.

In termini generali, però, quello che risulta lampante è la ricorrente miopia dei nostri governanti, magari oggi quarantenni che, però, hanno ben più della loro età anagrafica e continuano a comportarsi come se la globalità del mercato e la transnazionalità della Rete non esistessero. Pensiamo a rendere l’Italia (e l’Europa) più competitive, non a gambizzare la vera economia cercando di tassare in tutti i modi chi, evidentemente, non pensa di investire in Italia per la demenziale pressione fiscale che ci distingue in tutto il mondo.

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Neutralità

“Il semplice utilizzo di programmi P2P (es.: Emule) non prova la volontà di diffondere materiale pedopornografico (art. 600 ter, comma 3, c.p.)”.
Quello appena riportato è il succo di una recente decisione della Cassazione.
In realtà non si tratta di un orientamento giurisprudenziale innovativo. Sin dal 2010, infatti, la Suprema Corte era giunta alle stesse conclusioni, con questa sentenza, quella realmente fondamentale sul tema. E, poi, c’è stata quest’altra.
Tutto abbastanza acquisito, dunque. Tuttavia, a mio avviso l’occasione è propizia per fare (o rifare) alcune riflessioni.
I rischi del P2P – ma, più correttamente, dovremmo dire del “file sharing” – sono noti da tempo. Personalmente, sette anni fa e più avevo scritto una cosina per Punto Informatico che aveva avuto un certo apprezzamento. Insomma, non sembravo l’unico paranoico.
Dopo un anno, infatti, una sentenza, pur di merito, si occupava della consapevolezza dell’upload automatico operato da alcuni programmi (nel caso di specie, l’imputato aveva usato WinMX) e condannava l’imputato.
Poi, fortunatamente, nel 2010 è arrivata, come visto, la prima sentenza della Cassazione che ha finalmente detto che non si può dare per scontata la consapevolezza di certe funzioni dei software. Con le menzionate conferme del 2011 e dei giorni scorsi.
Tutti i tre provvedimenti della Suprema Corte riportano un passaggio sostanzialmente identico di cui avevo già scritto nel 2011 e che credo sia bello da riportare anche perché dice una cosa non certo secondaria o banale. Leggiamo insieme

Si tratta, nei singoli casi concreti, di questione interpretativa abbastanza delicata, perché il sistema dovrebbe essere razionalmente ricostruito giungendo a soluzioni che tengano conto delle effettive caratteristiche e delle concrete modalità di utilizzo di programmi del genere da parte della massa degli utenti e che, nello stesso tempo, soddisfino l’esigenza di contrastare efficacemente una assai grave e pericolosa attività illecita, quale la diffusione di materiale pornografico minorile, cercando però di evitare di coinvolgere soggetti che possono essere in piena buona fede o che comunque possono non avere avuto nessuna volontà o addirittura consapevolezza di diffondere materiale illecito, soltanto perché stanno utilizzando questi (e non altri) programmi di condivisione, e cercando altresì di evitare che si determini di fatto la scomparsa di programmi del genere. Del resto, le due suddette esigenze ben possono essere entrambe soddisfatte perché, con indagini adeguate, è possibile accertare chi stia davvero agendo col dolo di diffondere e non solo con quello di acquisire e con la consapevolezza del vero contenuto dei file detenuti.

La morale, per me, è la seguente: la tecnologia è neutra e, pertanto, va difesa. Dimmi poco…

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La crisi e l’Avvocatura [no words]

Gentile Collega,

giunge notizia che alcuni Consigli dell’Ordine degli Avvocati abbiano deliberato, in via d’urgenza, di inviare una richiesta alla Cassa Forense

affinchè

venga sospesa e/o differita

la scadenza del pagamento dei contributi posta al 31/12/2013.

 

A fondamento dei menzionati appelli all’ente previdenziale, viene portata la gravissima crisi economica che attanaglia il Paese ed anche l’Avvocatura, accentuata da frequenti casi di mancato pagamento da parte della clientela e dello Stato.

Il Movimento Forense ritiene di dover sostenere

tali richieste ed iniziative,

il cui accoglimento donerebbe a moltissimi Colleghi una parentesi di sollievo.

 

Ovviamente siamo consapevoli che sospendere e/o differire la rata di pagamento dei contributi scadenziata al 31/12/2013 non può costituire misura unica e sufficiente di sostegno alle difficoltà economiche degli Avvocati. Sappiamo bene che è assolutamente necessario ed indifferibile un serio ragionamento sul quantum e sulle modalità di pagamento di pagamento degli oneri contributivi forensi, a partire dal 2014, allo scopo di elaborare un piano contributivo che sia concretamente sostenibile per gli Avvocati.

Tuttavia, la sospensione e/o il differimento della scadenza prossima del 31/12, costituirebbe un importante segno di solidarietà concreta e di presa d’atto dei reali problemi quotidiani di gran parte degli Avvocati.

Un segno, peraltro, promanante dall’Ente Previdenziale Forense, a sottolinearne natura e finalità.

Un caro saluto a tutti, ed auguri di

Buon Natale e Felice 2014.

Movimento Forense

 

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Potrebbe piovere

Pare che i giorni appena trascorsi qui nel Belpaese siano stati i peggiori di sempre per il digitale, per l’innovazione in genere.. Vediamo un po’, giusto come promemoria.

L’AGCOM (Autoritâ Garante per le Garanzie nelle Comunicazioni) si approva un regolamento, secondo molti illegittimo, per “tutelare” il diritto d’autore con una procedura, anche in versione abbreviata, che non trova eguali in nessun altro settore e, guarda caso, a palese favore delle major.

La SIAE e’ una voragine ed ha sempre bisogno di soldi. Cosi’ vuole aumentare l’equo compenso per la copia privata, sempre anche a prescindere che sul supporto siano memorizzate o meno opere protette. L’aumento e’ passato in sede di discussione, ma c’e’ da scommettere che diverra’ legge.

Il Governo, invece, vuole incentivare il mercato dei libri. Soltanto quelli cartacei, pero’. Gli ebook restano fuori. Ed io che mi sto apprestando a lanciare una collana di ebook giuridici…

Sempre in pista di lancio, non ancora legge, tal On. Francesco Boccia, in quota PD, riesce, finalmente, a far passare un emendamento volto ad introdurre la “Google tax”. Visto che Big G (e non solo) fanno un sacco di soldi coi clienti italiani, allora obblighiamo queste imprese a dotarsi di partita IVA tricolore se vogliono vendere anche a noi. Cosi’ faremo cassa. Salvo renderci ridicoli, come giustamente affermato da molti, e metterci un attimino in imbarazzo negli accordi di libera circolazione di beni e servizi.

Ma non erano quelli dell’Agenda Digitale?

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Giornalettismo > Regolamento Agcom: perché i diritti d’autore non si difendono violando la legge

(da Giornalettismo del 15 dicembre 2013)

Con il nuovo regolamento AGCOM sulla “tutela” del diritto d’autore la Rete non sarà più la stessa: sarà più controllata, meno liberà, più in mano ad un’autorità amministrativa piuttosto che all’autorità giudiziaria.

Il comunicato stampa dell’Authority è, per la verità, totalmente rassicurante. E, d’altro canto, viste le polemiche dei mesi scorsi, non poteva essere altrimenti.

Vi si afferma che il regolamento è stato approvato all’unanimità, che sono stati consultati tutti i “soggetti interessati”, che c’è stata interlocuzione con la Commissione Europea.

Si sostiene anche che le nuove regole vorrebbero colpire non già l’utente finale, ma le violazioni “massive”, soprattutto, infine, che non rappresentano un limite alla libertà della Rete.

In realtà non è perfettamente così, sono molti a dissentire, in prima fola consumatori e provider, “soggetti interessati” che non hanno avuto la benché minima soddisfazione avanzando le proprie istanze.

Facciamo qualche approfondimento.

Il regolamento, nel suo nocciolo, prevede una spiccia procedura di “notice and takedown”, vale a dire di segnalazione e rimozione di contenuti diffusi in violazione delle norme sul diritto d’autore.

I “rimedi” approntati possono arrivare sino alla “disabilitazione” del sito, financo straniero, che pubblica, anche per mano di soggetti diversi dal titolare, contenuti ritenuti illegali.

In verità, però, non è ben chiaro quale sia la fonte normativa posta alla base del potere regolamentare di AGCOM in materia di diritto d’autore.
E’ una questione fondamentale cui si è cercato di di rispondere con un generico riferimento al decreto legislativo 70/2003 su commercio elettronico, che, però, molti hanno criticato, sin da subito.

L’Authority, comunque, ha sempre sostenuto che i soggetti tenuti all’eventuale rimozione sarebbero stati soltanto i provider, ma il regolamento non prevede tale limitazione; sicché la cosa riguarda veramente tutti, anche l’ultimo titolare di un account su un comune social network.

Ciò fa perfettamente comprendere che se già la posizione dei provider, costretti, loro malgrado, a trasformarsi in veri e propri sceriffi della Rete, è assai gravosa, il peso si tale ruolo è ancora più insopportabile per gli utenti non professionali.

Incidentalmente, non pochi hanno trovato un po’ risibile un ordine di rimozione dell’Autorità inviato ad un soggetto straniero.
Al di là di tali incongruenze, il regolamento prevede qualcosa di ancora più inquietante: una procedura “abbreviata” che è, ovviamente, anche meno garantita.

Sicché si svela il reale scopo del regolamento, vale a dire quello di offrire un’iniqua scorciatoia alle major che, ora, possono rivolgersi ad una semplice autorità amministrativa evitando il ricorso all’autorità giudiziaria, l’unico soggetto realmente in grado di garantire giustizia.

E’ esattamente questo il punto: sebbene la possibilità di un ricorso giurisdizionale non venga meno, i titolari dei diritti avranno, dall’entrata in vigore del regolamento (31 marzo 2014), la possibilità di godere di questa facile scorciatoia che non è prevista per nessun’altra categoria. Alla faccia dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.

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