Per una cultura della privacy

Violata la privacy per procurasi la prova del reato? E che ce ne importa, i processi vanno fatti lo stesso.
E’ questo, in estrema sintesi e con un po’ di parodia, il senso di una recente sentenza della Cassazione penale. Per scendere nel dettaglio più tecnico, la Corte ha ritenuto pienamente utilizzabili alcune videoriprese effettuate in luogo privato e in spregio alle regole sulla tutela dei dati personali.
Conclusione assai discutibile, anzi totalmente sbagliata.
Solito problema: del diritto alla privacy se ne riempiono la bocca tutti, è ancora molto di moda, ma quando c’è da farlo rispettare le idee si fanno parecchio confuse.

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Nobili intenti, oscuri presagi

Pare che nelle secchiate di emendamenti, più o meno importanti e urgenti, al decreto “del fare”, ce ne sia anche uno che introduce la PEC obbligatoria nelle comunicazioni interne alla PA, con divieto di fax.
Risparmio ecologico ed economico di carta, razionalizzazione, ulteriore dematerializzazione. Tutto molto bello.
Ma li facciamo i conti con questa Italia di infolesi?

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A volte ci sono già, parte II

Talvolta, le cose più evidenti ci appaino per ultime. Potrà sembrare un paradosso, ma a me, tra ieri e oggi, è successo proprio così.
Mi riferisco a quanto pubblicato ieri su Repubblica, commentato con uno mio post: la (presunta) proposta di Mariastella Gelmini di rendere penalmente punibile l’ingiuria anche su Internet, persino sui social network.
Come abbiamo visto, gli emendamenti dell’Onorevole sono stati ampiamente fraintesi dal chi ha scritto l’articolo. L’ingiuria è già punibile su Internet, anche via social network.
In realtà, però quello che veramente buca lo schermo sono tutti i commenti (al momento ben 79) che, oltre ad inveire contro la Gelimini a vario titolo, oltre a rappresentare demenziali dissertazioni giuridiche (italiani: un popolo di giuristi), pretenderebbero anche il libero sfanculamento telematico.
Io sono per un’ampia depenalizzazione di certi reati, però non so proprio se sia sostenibile il libero insulto telematico. E i diritti dell’insultato?

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A volte ci sono già

Sono proprio giorni caldi, anche per il diritto. Proprio oggi, in Commissione, si sono discussi i vari (troppi) disegni di legge sulla diffamazione.
Tra proposte e relativi emendamenti, sta nascendo un mostro.
Leggo il resoconto di Repubblica. Mi preoccupa subito il tintinnare di manette, ma, poi, mi soffermo sugli emendamenti presentati da Mariastella Gelmini, riassunti in questa frase del giornale

Ci sono poi una serie di emendamenti a firma della vice presidente del Pdl, Mariastella Gelmini, che potrebbero essere ribattezzate anti-Facebook o anti-Twitter. Gelmini infatti pensa di cambiare l’articolo 594 del codice penale sull’ingiuria inserendo, tra i mezzi attraverso i quali il reato viene commesso anche “la comunicazione telematica”, quindi qualsiasi scritto on line. Nella proposta le pene sono aumentate “qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”, caso tipico delle piazze virtuali dei social network.

Non capisco, qui qualcuno ha preso una cantonata colossale. Le proposte della Gelmini esistono realmente e sono di quel tenore, ma:
– le norme dell’ingiuria sono già pacificamente applicabili (e applicate) alla telematica, compresi i social, anche senza quella specificazione;
–  l’art. 594 c.p. prevede già l’aggravante della presenza di più persone; personalmente, però, non l’ho mai vista applicare in un contesto di social network, anche perché potrebbero sorgere non pochi problemi nel riconoscere una presenza “virtuale”, non fisica.

Ergo: non esiste alcun emendamento anti-Facebook o anti-Twitter se non, evidentemente, nella fervida fantasia di chi ha scritto l’articolo.

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E otto

Con riferimento al post precedente, informo che oggi è intervenuto l’ottavo colpo di scure della Consulta ad una legge dell’emergenza.
No alla custodia cautelare obbligatoria, senza possibilità di graduazione, per i casi di violenza di gruppo.
Speriamo che qualcuno non se ne esca a dire che, d’ora in poi, il branco potrà essere libero.

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E sette

Conoscete una legge colpita per ben sette volte, in pochi anni, dalla scure della Consulta? Io sì. E’ il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, addirittura censurato in un solo articolo, il 2.
Con il cavallo di Troia dello stalking, nel 2009 si introdusse un giro di vite eterogeneo – e un po’ confuso – sulle misure cautelari.
Fu fissata l’obbligatorietà delle custodia in carcere, in presenza di gravi indizi ed esigenze cautelari, per una serie di reati ritenuti di particolare gravità, vietando, così, la graduazione con altre misure.
Solita legislazione dell’emergenza, emotiva e non razionale, figlia di un legislatore che ha perso la testa e non sa pensare ad altro che alla repressione.
Giustamente colpita quelle sette volte. Ecco le sentenze: la 265/2010, la 164/2011, la 231/2011, la 331/2011, la 110/2012, la 57/2013, la 213/2013 proprio dell’altro giorno.
Si attende l’attacco all’ultimo tabù.

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Dura lex, sed lex (pagando s’intende) – upated

Con un articolo sul Giornale di oggi, Laura Verlicchi denuncia l’esistenza di “leggi a pagamento”. Lo Stato interviene per porre fine al fenomeno delle antenne selvagge, ma le regole tecniche non sono in Gazzetta, bensì su un volume edito da privati a pagamento. Un’assurdità, uno scandalo.

E’ una cosa che molti di noi, specie operatori del diritto, diciamo da anni: l’accesso alla legge – la cui ignoranza non è scusabile – non è libero e gratuito come – riteniamo – dovrebbe essere.

Chiariamo bene. Rispetto a qualche anno fa, quando soltanto l’eroico comune di Jesi pubblicava la Gazzetta, qualche significativo passo avanti è stato fatto. Mi riferisco soprattutto al sito-progetto “Normattiva” che, addirittura, fornisce il testo di legge vigente in un dato giorno.

In compenso, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (che, pure, partecipa al ridetto progetto) pubblica soltanto le Gazzette degli ultimi trenta giorni: indietro si paga.

E anche sul fronte giurisprudenza non si sta molto bene.

Giusto per fare un esempio, per anni il sito non ufficiale Consulta OnLine ha fatto il lavoro che spettava allo Stato, il quale soltanto di recente ha messo in piedi un servizio decente.

La Cassazione ha, invece, soltanto un “servizio novità” molto ridotto e anch’esso a tempo (almeno nei link). La parte più sostanziosa (ItalgiureWeb) è a pagamento e le tariffe non sono proprio popolari.

Infine, un paio di cose note da tempo che, però riescono sempre a stupirmi.

Sul sito della Gazzetta si legge “La riproduzione dei testi forniti nel formato elettronico è consentita purché venga menzionata la fonte, il carattere non autentico e gratuito”.

Qualcosa di simile è scritto su quello della Suprema Corte: “I documenti forniti dal Servizio Novità possono essere utilizzati solo per uso personale. E’ vietato qualsiasi uso diverso”.

Entrambe le avvertenze suggeriscono l’esistenza di qualche diritto d’autore. Eppure l’art. 5 della l. 633/41 (quella, appunto, sul diritto d’autore) dice che “Le disposizioni di questa legge non si applicano ai testi degli atti ufficiali dello stato e delle amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere”.

Aggiornamento del 17 luglio 2013: grazie al sempre attento Frap, nei commenti, apprendo che da quest’anno un certo archivio della Gazzetta c’è. E meno male….

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Volemose bbene – updated

Mediazione e conciliazione. ANPAR (Associazione Nazionale per l’Arbitrato & la Conciliazione) le mette davanti a tutto, strumenti di etica.
E si lancia in questo sproloquio, dall’italiano un po’ così, dove sbaglia, per due volte, pure il cognome dell’amato Guardasigilli.

Cancelleri

Aggiornamento delle 18 circa: se ne sono accorti e hanno corretto il cognome. Intanto, migliaia di persone avevano già visto. Resta il riferimento ai “tre cani”. Io ho informato il CNF.

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Da molestarsi preferibilmente entro…

[dalle statistiche di questo blog, chiavi di ricerca]

Molestie

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L’hobby della lobby

E’ certamente lo sport del momento: dare addosso agli avvocati. E se lo si unisce all’altro noto sport nazionale, quello di immaginare le più disparate lobby, il gioco è fatto.
Nei giorni scorsi la Cancellieri voleva che ci levassimo dai piedi, poi ha affermato che siamo una lobby che ostacola le riforme.

E oggi ci si mette anche Gian Antonio Stella, specialista anticaste. Con la scusa di ricordarci la piaga dei falsi incidenti (cui, peraltro, possono partecipare carrozzieri, medici legali, assicuratori, finanche magistrati), solidarizza con la Cancellieri commettendo, tra l’altro, il più classico degli errori: fare di tutta l’erba un fascio.

Ma andiamo un po’ con ordine per capire bene chi sono gli avvocati e se veramente esiste una lobby che ostacola le riforme.

Iniziamo col dire che la funzione dell’avvocato è fissata nella Costituzione. Questo lo si dimentica un po’ troppo spesso.

Poi, andiamo alla definizione di “lobby”. Ci affidiamo all’autorevole vocabolario Treccani: “ Termine usato negli Stati Uniti d’America, e poi diffuso anche altrove, per definire quei gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi: le lobby degli ordini professionali, del petrolio”.

Dunque, gli avvocati sarebbero un gruppo di influenza. Il Guardasigilli ne è certo, Stella conferma. Io, menzionando alcuni fatti che chi vive veramente la Giustizia conosce, ho dimostrato il contrario. Ma alla gente fa comodo prendersela con le categorie: oggi gli avvocati, domani i giornalisti, guarda un po’.

E torniamo a Stella che loda il Guardasigilli. “Sulle lobby professionali che ostacolano le riforme, però, ha ragioni da vendere. Basti dire che l’Italia ha il triplo degli avvocati rispetto alla media europea. E l’anomalia pesa troppo spesso, in certe aree, sulla macchina della giustizia. Un esempio? La Campania ha il 61% delle cause per sinistri stradali, spesso inventati”.

E’ evidente che il discorso non ha alcun senso. Anzitutto, non si comprende come la vergogna dei falsi sinistri abbia una qualche relazione con i freni alle riforme.

E neppure vedo un nesso tra il numero dei sinistri e il numero degli avvocati. Stella vuol forse dire che se aumenta il numero degli avvocati aumenta anche quello di questi sinistri fasulli? E il contrario? Indimostrato, indimostrabile, lo stesso Stella si limita a suggestivi interrogativi.

Gli avvocati sono tanti, è vero. Diventano troppi perché non c’è mercato per tutti e, così, si amplia il fronte del proletariato forense. Così va letto Calamandrei. Mi ricordo, oltre vent’anni fa, quando ho iniziato a frequentare i tribunali. Gli avvocati erano pochi, sempre gli stessi. Oggi sono molti di più e ciò porta ad una maggiore concorrenza, anche a beneficio del consumatore.

Per Stella, ho qualche consiglio se vuole scrivere di Giustizia ed avvocati. Invece di prendere come oro colato le parole di un ministro della Giustizia che non è un politico, non è un tecnico, e non ha mai avuto significativi contatti con l’ambiente giudiziario, ascolti cosa dicono quelli che ci lavorano tutti i giorni.

Non dovrà dedicarvi troppo tempo: personalmente, mi sono piaciuti molto Guido Alpa (presidente CNF) e, pur qualche mese fa, Marcello Adriano Mazzola.

Io ho molti amici giornalisti, fior di giornalisti. Ecco: a Stella suggerisco di fare come me, curando di più le frequentazioni, gli si apriranno orizzonti infiniti.

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