L’ammazzaammazzablog

Con Roberto Cassinelli ci conosciamo da anni. Abbiamo un carissimo amico in comune, è un Collega ed è stato Consigliere del mio CDO.
Non ho avuto difficoltà ad ottenere un’intervista sul suo emendamento all'”ammazzablog” (il famoso comma 29 dell’art. 1 del ddl sulle intercettazioni). In una manciata di battute, chiarisce molte cose e – perdonatemi la presunzione – ha detto delle cose positive anche sulla mia interpretazione.
Alessandro D’Amato di Giornalettismo è stato sempre molto attento al tema. Ne abbiamo discusso ed abbiamo deciso di realizzare questa cosa insieme, a “reti unificate”.
QUI su Giornalettismo, qui sotto per il mio blog, appunto.

Anzitutto, quello che credo interessi ai più: si può confidare nell’approvazione del suo emendamento? In quali tempi?

L’emendamento in Commissione ha raccolto il sostegno di tutte le forze parlamentari, con l’esclusione dell’Italia dei valori. Pertanto, si può ragionevolmente pensare che in Assemblea non ci si discosti dal voto della Commissione. Quanto alla tempistica, credo che la prossima settimana potrebbe essere decisiva per il voto sul ddl intercettazioni.

Alcuni ritengono – ed io sono tra questi – che il testo originario, cioè quello facente riferimento generico ai “siti informatici”, non fosse applicabile, indistintamente, a tutte le realtà, ma soltanto alla “stampa” vera e propria, con tanto di registrazione, direttore, redazione, ecc. Ciò in considerazione della collocazione all’interno della l. 47/48 appunto sulla stampa. Cosa pensa di questa interpretazione?

Che può essere condivisa, ma non è l’unica: ciò significa che il dettato normativo del ddl, così com’è, lascia spazio a troppi dubbi.

Perché, dunque, ha inteso presentare l’emendamento?

Per evitare interpretazioni giurisprudenziali di senso opposto a quella poc’anzi illustrata. Già in passato abbiamo potuto appurare che i giudici, quando si tratta di tratta di internet, si consentono un ampio margine di manovra. È un rischio che il mio emendamento vuole scongiurare.

Sui media vi è molta confusione, anche relativamente al testo da Lei presentato, forse a causa di una Sua prima proposta formulata due anni fa e decisamente più gravosa rispetto a quella odierna. Può spiegarci gli effetti pratici della Sua nuova ipotesi di modifica?

L’obbligo di rettifica on-line varrà solo ed esclusivamente per le testate giornalistiche registrate. Tutti gli altri siti internet non dovranno preoccuparsene.

E’ noto a tutti i caso di Carlo Ruta, lo storico siciliano condannato, anche in appello, per stampa clandestina in relazione al suo blog. Vi è il pericolo che altri siti possano essere riconosciutistampa, pur senza essere registrati, e sottoposti alla disciplina della rettifica con le conseguenze di legge?

Tempo fa proposi di modificare la legge sulla stampa al fine di chiarire definitivamente che solo i siti delle testate giornalistiche, o i veri e propri quotidiani on-line, debbono essere considerati stampa e quindi registrati presso il Tribunale. La mia proposta di legge giace nel 2008 presso la Commissione cultura della Camera, senza che sia ancora stata esaminata. La sentenza del Tribunale di Modica, alla quale la domanda fa riferimento, dimostra che il problema esiste e va affrontato. C’è da dire pure, però, che il noto caso di Carlo Ruta è finora l’unico in un’Italia che conta un enorme numero di siti web gestiti amatorialmente.

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NonVasco

Nonciclopedia si autosospende. Tutto nasce da una mail dell’avvocato di Vasco Rossi. L’artista non ha gradito la voce a lui riservata, anzi si è sentito addirittura diffamato.
Ma la comunicazione tra avvocato e Nonciclopedia evidentemente non funziona, così addirittura arriva una querela.
I ragazzi di Nonciclopedia si spaventano un po’ e decidono di chiudere tutto almeno sino a quando la vicenda non sarà più chiara.
Peccato, veramente peccato, perché Nonciclopedia conteneva delle pagini memorabili.
Eppure, sarebbe bastato pochissimo per risolvere la situazione.

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Se ti sequestro la stampa telematica – UPDATED

La Procura di Caltanissetta sequestra alcuni documenti pubblicati da La Repubblica online indagando due giornalisti per violazione del segreto istruttorio.
Questo, in estrema sintesi (e con qualche imprecisione voluta per rendere la cosa più comprensibile),  i fatti delle ultime ore riguardanti il sequestro preventivo di alcuni verbali di interrogatorio di Riina e non solo.
Un fatto gravissimo se guardiamo al comma 3 dell’art. 21 della Costituzione:

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

E tale tutela è confermata anche a livello di legislazione ordinaria dal R.d.l. 561/46 che, all’art. 2, comma 2, così stabilisce

In deroga a quanto è stabilito nell’articolo precedente, si può far luogo al sequestro dei giornali o delle altre pubblicazioni o stampati, che, ai sensi della legge penale, sono da ritenere osceni (o offensivi della pubblica decenza) ovvero che divulgano mezzi rivolti (a impedire la procreazione o) a procurare l’aborto o illustrano l’impiego di essi o danno indicazioni sul modo di procurarseli o contengono inserzioni o corrispondenze relative ai mezzi predetti.

Visto che siamo sicuramente fuori di questi casi (anche di quelli tra parentesi non più vigenti…) che cosa è successo? Difficile dirlo senza poter visionare il provvedimento di sequestro, ma sorge il sospetto che le peculiarità della Rete abbiano consentito certe sbavature (laddove per la stampa cartacea si sarebbe, forse, “osato” meno).
In alcuni casi, la giurisprudenza ha ritenuto la legittimità del sequestro della stampa (annunci collegati alla prostituzione e fotografie in realtà non vera “stampa”), ma è chiaro che non versiamo in queste ipotesi di confine.
Non resta, allora, da ribadire che, malgrado l’importanza delle indagini in tema di mafia, il fatto resta gravissimo. Meriterebbe maggiore visibilità, anche per essere valutato dall’opinione pubblica.

Aggiornamento del 3 ottobre 2011: Marco Scialdone, nei commenti, mi ricorda di segnalare questa sentenza che potrebbe spiegare la cosa.

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Sequestri… esagerati – UPDATED

Se ne è parlato abbastanza sulla stampa locale ligure. Ne leggevo ancora stamattina, su carta.
Ora, la notizia si sta diffondendo anche a livello nazionale, specie per la rilevanza “informatica” della cosa. QUI, su Giornalettismo, la vicenda riguardante alfemminile.com.
Brevemente, si tratta di un’operazione dei NAS coordinata dalla Procura di Savona (il sequestro è stato disposto dal GIP presso il Tribunale di Savona) in relazione ad un “traffico” di sostanze “anoressizzanti” sembra pubblicizzate proprio in quel forum (ovviamente, da persone estranee al sito).
Senza leggere gli atti credo non si possa entrare nel merito, ma, di certo, il sequestro indistinto di un’intera sezione di forum (precisamente “Linea salute e benessere”, contenente ben 2.800.000 post) verosimilmente a fronte di pochi contenuti illeciti non va bene, stona parecchio, anche se si tratta di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.

Update: Giornalettismo ha pubblicato anche una precisazione di alfemminile.com.

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Nobili cause, pessimi argomenti

In concreto: se un blogger (che tragga anche un minuscolo introito grazie al suo sito, magari grazie agli adsense di Google) pubblica nel suo sito uno spezzone di un articolo di giornale, di una trasmissione tv o di un brano musicale, rischia di dover scegliere tra una lunga e costosa controversia da dirimere davanti all’Agcom o, semplicemente, l’autocensura.

Questo è il lapidario parere di Alessandro Gilioli, che si può leggere sul suo blog su l’Espresso online. In realtà, si tratta di un’affermazione profondamente sbagliata.
Premetto che la mia contrarietà alle regole volute da AGCOM è nota e ben più articolata (QUI e QUI).
Detto ciò, bisogna riconoscere che lo stesso schema di regolamento menziona le eccezioni alla riproduzione riservata (eccezioni che, comunque, avrebbero operato comunque, pure in assenza del richiamo).  Parlo dell’art. 70 l. 633/41 e ne cito i primi due commi:

1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

La presenza di avvisi pubblicitari sul blog, in quanto generanti “lucro”, potrebbe in effetti impedire l’operatività del comma 1-bis, ma il comma 1 sarebbe comunque pienamente applicabile perché i fini concorrenziali sono chiaramente estranei all’attività dei blogger. Idem per quanto riguarda il fine “commerciale” che non è semplicemente introitare delle piccole somme per gli ads.
E ci sarebbe anche l’art. 65, per dirla tutta.
Nessun rischio concreto di controversia, dunque, perché il diritto di riproduzione è, a certe semplici condizioni, già concesso dalla legge e i giornalisti, che ne beneficiano quotidianamente, lo sanno benissimo.
Poi, è chiaro che al mondo ci sono anche quelli dalla causa facile, ma si tratta di fenomeni patologici che possono interessare gli psichiatri, non di argomenti seri per opporsi ad una norma.
Fermo resta, peraltro, che la diffusione telematica di opere al di là delle eccezioni di cui sopra oggi è già reato, AGCOM o no, e anche in assenza di lucro: art. 171 lett. a-bis) l.d.a. A maggior ragione se il lucro c’è: art. 171-ter, comma 2, lett. a-bis).
Ben venga, allora, il contenzioso davanti all’AGCOM?

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Play it again, Levi – 3 anni dopo

Io non credo che il ddl intercettazioni contenga norme ammazzablog, la mia posizione è nota.
Però, non ho alcuna difficoltà a segnalare l’iniziativa di Agorà Digitale alla quale auguro la più grande fortuna.
L’Associazione presieduta da Marco Cappato ha organizzato una  raccolta firme telematica per cercare di “disinnescare” certe regole che assumono come liberticide.
Si segnala anche l’elenco dei parlamentari che hanno proposto emendamenti alla norma. C’è pure il mitico Ricardo Franco Levi… amarcord
QUI gli emendamenti proposti.  Ecco quello proposto dal nostro, insieme ad altri

Al comma 29, lettera a), capoverso, secondo periodo, sostituire le parole: , ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: che recano giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5.

Conseguentemente, al medesimo comma: lettera d), sostituire, ovunque ricorrano, le parole: , ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: che recano giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5;

lettera e), capoverso, sostituire le parole: , ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica con le seguenti: riconducibili a giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica e soggetti all’obbligo di registrazione di cui all’articolo 5. 1. 910. Zaccaria, Giulietti, Levi, Corsini, Colombo, Pollastrini, Concia, Laganà Fortugno, De Biasi.

P.S.: Secondo me, è un buon emendamento.

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ZeusNews > Tra bavagli, censure e complottismi

Mentre già c’è chi si organizza per il consueto prosecchino in piazza, ecco la mia opinione sulla legge “ammazzablog”. Dissenting opinion, come spesso succede.

(da ZeusNews del 26 settembre 2011)

Censura, bavaglio, ammazzablogger. Sono locuzioni tanto ricorrenti – quasi da complottismo – che oramai hanno perso ogni carica vitale e suggestiva.

Dove stanno, questa volta, le trame contro la blogosfera? Qui: “Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.

Si tratta del comma 29 dell’articolo 1 del disegno di legge C-1415-B, cioè il celeberrimo disegno di legge sulle intercettazioni (nella sua ultima versione ritornata alla Camera) sul quale, tra l’altro, il Governo vorrebbe porre la fiducia, blindandone il testo. Il che ci condurrebbe, a breve, ad averla come norma definitivamente vigente. Ma i condizionali vanno sottolineati perché si parla pur sempre di iniziative legislative che sono, invero, mosse politiche prive di esiti certi.

Ad ogni modo, vediamo la norma più da vicino, senza occuparci del più delicato e diverso problema delle intercettazioni, per capire se l’allarme sia veramente fondato.

Anzitutto, si deve evidenziare che la norma andrebbe a incidere sulla legge 47/1948, la fondamentale legge sulla stampa. E, come vedremo, non si tratta di un particolare. Le modifiche riguarderebbero l’articolo 8 che già prevede il dovere di pubblicare dichiarazioni o rettifiche. In questo modo, in caso di approvazione, l’articolo 8 (sottoposto ad altri adattamenti) “suonerebbe” così; ed è facile farsi un’idea d’insieme.

Prevedere un obbligo di pubblicare una rettifica non mi pare costituisca censura o bavaglio perché dalla violazione di detto obbligo non consegue, ad esempio, la sanzione della “cancellazione” del brano o, addirittura, la chiusura del sito. L’eventuale pena lo può indebolire economicamente, anche parecchio, ma il punto è sempre quello: la regola non mira a impedire la libera espressione del pensiero, ma obbliga (soltanto) a pubblicare la rettifica o la dichiarazione (qualunque essa sia, ma è sempre stato così) per di più perché non possiamo dimenticarci di un eventuale soggetto diffamato – a fronte di lesioni alla dignità o contrarietà alla verità.

A prescindere da ciò, si potrà obiettare che un blog, per fare l’esempio più immediato, non è, di regola, in grado di “sostenere” questi oneri aggiuntivi, semplicemente perché non ha, sempre di regola,la struttura dell’informazione professionale.

Premetto un mio personalissimo pensiero: ancora una volta, ci troviamo di fronte a una norma scritta sulla Rete, ma che svela la perfetta ignoranza di chi l’ha scritta e la piena incapacità di scrivere norme chiare nella materia che ci riguarda.

In un momento in cui la giurisprudenza si accorge che anche l’informazione professionale online non può essere semplicemente parificata a quella “tradizionale” (il direttore di una testata telematica pur registrata non risponde con lo stesso rigore di quello di una testata cartacea), il legislatore si irrigidisce e sembra addirittura fare passi nella direzione opposta.

La disposizione non è chiara, non lo si vuole nascondere, e la relazione al disegno di legge non aiuta. In più (l’emendamento di quattro senatori PD) che ha inserito l’inciso “ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica ha intorbidito ulteriormente le acque.

D’altro canto, malgrado l’espresso auspicio della Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni, nessuna tra le altre soluzioni (ad esempio, quella Radicale/PD – molto netta e precisa – o quella dell’on. Cassinelli non realmente radicale) è stata approvata. Sicché non ci resta che tenerci il testo citato e ragionare su quello. E credo che la soluzione sia proprio davanti al nostro naso.

E’ evidente che non si può estrarre una singola regola dal contesto normativo che la circonda. Si tratta, molto banalmente, di utilizzare, per l’interpretazione, quello che i giuristi chiamano “argomento sistematico” che fa chiaro riferimento a un “sistema” in cui la disposizione, appunto, si inserisce.

Il sistema è la citata legge 47/1948, inequivocabilmente chiamata “Disposizioni sulla stampa”. E se, di per sé, una pubblicazione telematica non è stampa (anche ai sensi dell’articolo 1), allora ciò che è contenuto in quella legge non può esservi applicato per il solo riferimento ai “siti informatici” contenuto nella regola di cui si discute.

Internet non è automaticamente stampa, dobbiamo sempre ricordarlo, e, oramai, la giurisprudenza è sufficientemente solida sul punto (tranne che per il singolare caso di Carlo Ruta). Pertanto, quella norma potrà applicarsi soltanto ai siti che possono essere definiti stampa in relazione ai quali e in considerazione delle peculiarità telematiche si sono volute introdurre specifiche regole.

Fortunatamente, per concludere, gli allarmi sono quasi del tutto infondati, perché i problemi, come per il già citato caso riguardante Carlo Ruta, potrebbero nascere soltanto in talune aule di giustizia.

Se è vero che non si può escludere che un giudice possa interpretare male la regola, è anche vero che le novità non introducono alcun bavaglio, tanto meno con volontà censorie: “Non attribuire a cattiveria ciò che puoi facilmente spiegare con la stupidità” (il cosiddetto Rasoio di Hanlon).

P.S.: Mentre scrivevo questo articolo, mi sono accorto che c’è chi la pensa sostanzialmente come me. Credo vada citato per ulteriori spunti: Alessandro D’Amato, per Giornalettismo.

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In difesa dei baby singer

Il periodo di protezione del diritto d’autore NON passa da 50 a 70 anni, malgrado quanto superficialmente sostenuto da molte fonti, forse anche per l’accostamento al termine “copyright” che, appunto, non è mera traduzione del nostro “diritto d’autore”.
Le cose stanno un po’ diversamente e credo che l’opinione pubblica debba essere informata correttamente affinché possa valutare in modo equilibrato.
Spero di essere chiaro, con poche parole.
Il diritto d’autore è, appunto, il diritto dell’autore di un’opera dell’ingegno: Salvador Dalì, Gabriele D’Annunzio, Lucio Battisti, Mogol, Robert Mapplethorpe erano/sono autori (pittori-scultori, scrittori-poeti, musicisti, “parolieri”, fotografi).
Più di recente, con la possibilità di “fissare” certe opere (si pensi al disco, ma anche alla pellicola fotografia o cinematografica), si è intesa tutelare anche una serie di diritti diversi (“connessi”), vale a dire quelli dei produttori nonché degli artisti interpreti ed esecutori: Trevor Horn (quando non canta o suona il basso), Pavarotti, Mina, giusto per fare qualche esempio. I diritti di questi soggetti sono disciplinati dagli artt. 72 e ss. l. 633/41.
I due casi sono ben distinti. La creazione dell’opera origina il diritto dell’autore, mentre altre attività come produzione, interpretazione ed esecuzione hanno portato al riconoscimento dei diritti connessi, conquista realizzata pienamente soltanto di recente per il nostro ordinamento che, si badi bene, non giova soltanto ai “divi” che hanno caldeggiato la riforma, ma anche a tutta quella “manovalanza” spesso invisibile eppure fondamentale anche per l’apporto artistico dato all’opera finale.

I diritti di sfruttamento patrimoniale riservati ali autori avevano già una durata pari a 70 anni (dalla morte dell’autore – questo termine è stato introdotto nel 1996), mentre per quelli connessi ci si fermava a 50 anni dalla fissazione dell’opera (ovviamente, mi riferisco alla regola, anche se ci sono alcune piccole varianti).
L’Unione Europea, con l’approvazione – pur non unanime – di un’apposita Direttiva, ha, dunque, voluto allungare questo termine garantendo, in ultima istanza, compensi a produttori, interpreti ed esecutori – delle sole registrazioni musicali (e non delle altre opere) – per ulteriori 20 anni.
QUI il testo approvato ma non ancora pubblicato. Di seguito una fondamentale motivazione data alla riforma sulla quale discutere

Performers generally start their careers young and the current term of protection of 50 years often does not protect their performances for their entire lifetime. Therefore, some performers face an income gap at the end of their lifetimes. They are also often not able to rely on their rights to prevent or restrict objectionable uses of their performances that may occur during their lifetimes

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Una materia immatura

La Collega Monica A. Senor mi ha fatto la gentilezza di inviarmi un prezioso commento in tema di privacy che ho subito pubblicato su Penale.it.
Si tratta di una nota critica ad una sentenza pronunciata dalla Suprema Corte a proposito della “pubblicazione”, da parte di un “privato”, di un numero di telefono cellulare di una terza persona.
Ne avevo già parlato, molto brevemente (e sotto un diverso profilo) QUI, ma Monica ha sviluppato perfettamente le perplessità che avevo avuto anch’io.

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La montagna e il topolino (autopromozione)

Non mi ero accorto che Guida al Diritto aveva pubblicato un mio pezzo – che, in realtà, avevo consegnato con un po’ di ritardo – sull’ultima delibera AGCOM in tema di diritto d’autore (quella riguardante lo schema di regolamento sul diritto d’autore online).
La segnalo ora, spero di aver scritto qualcosa di nuovo e che possa contribuire alla discussione.

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