Siamo circondati

Io, forse in modo poco popolare, non credo che certe iniziative di legge siano “bavagli”. Sono soltanto strumentali a certi interessi economici che non hanno niente a che vedere con la libera espressione del pensiero.

Dopo la vicenda del regolamento AGCOM (in autunno ne vedremo delle belle…) è spuntato il ddl C-4511 presentato dall’On. Fava, leghista, che, prendendosela anche con l’Unione Europea (si legga la relazione), ha proposto una serie di ingarbugliatissime (quanto stravaganti) modifiche al d.lgs. 70/2003 sul commercio elettronico, in particolare sulle responsabilità dei provider. Tutto ciò per difenderci dai farmaci farlocchi.

Altri ne hanno già parlato ampiamente, è inutile che annoi i lettori.

La cosa interessante è che, poco dopo, l’On. Centemero, PdL, se ne è uscita con il ddl C-4549, guarda caso di “modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione e per il contrasto delle violazioni dei diritti di proprietà industriale operate mediante la rete internet”.

Il testo non è ancora noto, ma io – che, pure, non amo il gioco d’azzardo – potrei scommettere una cifra seria sulla sostanziale identità rispetto al primo.

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Questione di sensibilità

Nel caso di specie è proprio questo che è accaduto: il R., venuto in possesso, peraltro non casualmente come sostenuto dal suo difensore per come è dato leggere dalla sentenza impugnata, di un dato sensibile (numero di utenza cellulare) per essergli stato fornito dal suo interlocutore del momento (il B.), si è determinato a diffonderlo su altri canali con ciò compromettendo la riservatezza del dato che la norma intende salvaguardare.

La Cassazione, pur incidentalmente, dice che un numero di cellulare è un dato sensibile. Ed io sono molto preoccupato.

“dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonche’ i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale;
(art. 4, comma 1, lett., d) d.lgs. 196/2003)

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Tirarsela

Ma chi si credono di essere ad AGCOM?

CONSIDERATO che, in materia di tutela del diritto d’autore, l’Autorità ha visto accrescere progressivamente il proprio ruolo grazie a interventi del legislatore che poggiano su tre pilastri normativi ben identificati.

Da QUI, pag. 2 in fondo.

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Alonso s’è ripreso le ali

Andava detto, anche per come ha festeggiato (in questa foto)Alonso e Ferrari.

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Perfect day (e autopromozione)

E’ arrivato il giorno fatidico, quello in cui l’AGCOM delibererà l’abusivo regolamento sul diritto d’autore online (e non).
Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito ci informa, peraltro, che Milano Finanza ha anticipato alcuni punti della bozza oggi in discussione. E ci sono non poche sorprese, ovviamente non bellissime.
Anche SIAE ha scelto il giorno giusto e ha visto bene di spendere i soldi degli associati per pubblicare, su alcuni quotidiani cartacei, un inutile avviso a pagamento a strenua e sgangherata difesa del provvedimento AGCOM. E’ consultabile anche sul sito SIAE.
Interessanti le firme (artisti ed enti) in calce: alla fine stanno sempre dalla parte dei propri milionari interessi.
Infine, un po’ di autopromozione: un mio articoletto su Guida al Diritto online col quale cerco di spiegare gli aspetti giuridici della questione, concludendo – lo dico sin d’ora – per l’insussistenza di un potere regolamentare in materia.

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Essere e sembrare

L’AGCOM fonda il proprio (insussistente) potere regolamentare su alcuni “sembra”

La competenza dell’Autorità in materia di copyright non sembra soffrire sensibili limitazioni dall’esclusione operata dall’art. 2, comma 1, lettera a) per i “i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da privati ai fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità d’interesse”. La ratio di tale esclusione sembra decisamente  infatti  quella di salvaguardare una delle principali caratteristiche della rete internet, vale a dire quella di fungere da straordinario veicolo di scambio dei file “generati da privati”.

La fonte QUI, pag. 6

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Pari diritti

Tutti parlano della relazione 2010 appena sfornata dal Garante Privacy. Sono 320 pagine molto ghiotte per chi si occupa dell’argomento (da QUI sono disponibili tutti i materiali).
La stampa ha insistito particolarmente sulle problematiche legate a smartphone, tablet e cloud.
Visto che nessuno, al momento, ne parla, io preferisco osservare che da pag. 108 della relazione si parla di blog (e anche di forum, per la verità) e si riconosce chiaramente il valore dell’art. 21 anche per tali strumenti di espressione del pensiero.
Lo sapevamo già, ma fa parecchio piacere che la cosa sia ricordata da un soggetto così autorevole.

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Trojan di Stato

Non è la prima volta che strumenti solitamente utilizzati per fini illegali diventano, successivamente, formidabili mezzi di indagine.
Ciò, in prima battuta, conferma la neutralità di certi strumenti, ma, ad un’ulteriore riflessione, invita a non farsi tentare dagli abusi.
Pare che nell’inchiesta napoletana sulla cosiddetta P4, gli inquirenti abbiano fatto uso di una “cimice” informatica, precisamente un trojan capace di intercettare tutto il flusso telematico di un certo computer, comprese, sembrerebbe mediante il microfono di sistema, le chiamate su Skype.
Relativamente al caso concreto, ovviamente, non avanzo il benché minimo dubbio, ma in un’altra indagine di cui (lecitamente, in quanto difensore) conosco gli atti, un’operazione del genere non mi sembra sia stata fatta molto formalmente (le intercettazioni devono essere autorizzate, ecc.). Vedremo, se arriveremo a processo.

P.S.: Grazie a Rebus per la segnalazione su Twitter (a proposito: ecco il mio account per chi volesse seguirmi)

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Ancora su GamEternity: è tutto così lineare?

Domanda: uno incassa 3-400 euro al giorno (verosimilmente tutto in nero, esentasse) e continua a fare l’edicolante? Per di più, tiene l’hosting del suo sito “pirata” su Aruba?

Anche l’ultimo arrivato su Internet capisce che in articoli come questo di Repubblica c’è qualcosa che non torna. Personalmente, quegli incassi, da banner (anzi, verosimilmente ads di Google), mi sembrano eccessivi, anche con grossi traffici.

In più, va spiegata meglio la multa milionaria. Che significa 103 euro o il doppio del valore dell’opera? Sta tutto nell’art. 174-bis l.d.a. Eccolo

Ferme le sanzioni penali applicabili, la violazione delle disposizioni previste nella presente sezione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se il prezzo non è facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto.

Attenzione: questa norma folle (comunque, di discutibile applicabilità) introdotta nel 2000 su disegno di legge proposto da Walter Veltroni nel Governo Prodi, rischia di valere anche per chi non fa lucro del download, ma, semplicemente, mette in condivisione (più o meno consapevolmente) opere protette, ad esempio con un “banalissimo” programma di P2P.
Qualcuno dei lettori ha una cartella Incoming con 1.000 file? Si faccia i conti.

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Carlo Ruta: gli antefatti

Se ne parla molto, da giorni. Anzi, visto che le motivazioni non sono ancora note, secondo me se n’è parlato anche troppo, a sproposito, per partito preso.

Francamente, prima di trarre conclusioni affrettate, preferisco fare qualche riflessione-precisazione, ripercorrendo certi antefatti non irrilevanti (e non noti a molti).

Carlo Ruta, storico e giornalista siciliano, si è visto confermare dalla Corte di Appello di Catania la condanna per il reato di stampa clandestina inflittagli dal Tribunale di Modica.

Perché? Perché il suo sito Accade In Sicilia – accadeinsicilia.net (se vogliamo, possiamo chiamarlo anche blog, ma non cambia nulla) è stato riconosciuto vera e propria stampa, dunque da registrarsi, preventivamente, presso il tribunale di competenza come vuole la legge (sulla stampa) 47/48.

Carlo Ruta avevo detto la sua circa la conduzione di alcune indagini antimafia condotte da un certo pm. Quest’ultimo, evidentemente non gradendo la critica, lo ha querelato per diffamazione e denunciato per stampa clandestina.

Ora, si possono dire molte cose, tra cui anche quella, un po’ scontata e populista, che qui in Italia non c’è vera libertà perché è l’unico posto al mondo (ovvio, se si escludono note e sanguinarie dittature come Cina, Cuba, Corea del Nord, ecc.) in cui chi ha un blog dovrebbe sottoporsi al controllo di Stato.

In realtà, la cosa più giusta e interessante da fare sarebbe quella di leggere le motivazioni. Siccome, al momento, non possiamo farlo (perché non risultano ancora depositate), “accontentiamoci” di analizzare alcuni antefatti, almeno se veramente vogliamo capire.

Ecco un po’ di materiali, qui già segnalati a suo tempo:

Personalmente, più leggo la sentenza di primo grado e più trovo aberrante l’identificazione della locuzione “società dell’informazione” con una società commerciale che si occupa di informazione (es.: un editore). Non è uno svarione da poco.

Anyway, attendiamo la sentenza di appello.

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