Succede, anche se da poco. Dopo un mio post qui, mi vengono in mente altre cose che scrivo per un articolo su ZeusNews.
(da ZeusNews del 5 maggio 2011)
Può l’abuso di Internet mettere nei guai un dipendente pubblico? Parrebbe di sì.
Sta accadendo a Bertinoro (in provincia di Forlì-Cesena), dove non uno ma ben cinque dipendenti parrebbero essere indagati per peculato e abuso d’ufficio, tutto perché avrebbero abusato degli strumenti informatici messi a disposizione, ovviamente per altri scopi, dall’Amministrazione.
E sembrerebbe non essere soltanto una questione di Facebook (sul quale si è enfatizzato parecchio visto che è il social network del momento), ma di un utilizzo massivo e generalizzato, anche per il download di materiali pornografici.
Tuttavia, visto che conosciamo ben poco del caso concreto (anche in considerazione del comprensibile riserbo dell’Autorità Giudiziaria), non possiamo che restare al piano astratto per vedere se condotte del genere possano condurre a una qualche specie di sanzione.
Per la verità non è la prima volta che ci si trova di fronte a qualcosa di simile. E parliamo del pubblico impiego dove il problema è noto da anni, tanto da aver trovato disciplina nel Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni del 2000, in seguito richiamato da un’interessantissima direttiva del Ministro Brunetta, specifica su uso di Internet e posta istituzionale.
Si capisce, dunque, che la violazione di certi doveri può portare quanto meno a un procedimento disciplinare, mentre, addirittura, nel settore privato si è parlato di un licenziamento a causa di Facebook (ma con alcuni indispensabili chiarimenti).
Rimanendo all’impiego pubblico (il “caso Bertinoro”) dove alcuni soggetti possono essere pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (anche se non è esclusiva prerogativa di detto settore), può essere realmente prospettabile un’accusa di peculato e abuso d’ufficio?
La risposta non può essere precisa, in un senso o nell’altro.
Da un lato, non si conoscono i dettagli precisi del caso concreto; dall’altro, da esso non si possono trarre principi.
Infine, non ci si può nascondere che certe tematiche si intersecano inevitabilmente con i diritti dei lavoratori (divieto di telecontrollo e, in genere, privacy).
Sicché possiamo fare soltanto un ragionamento astratto, anche facendo richiamo a materiali già disponibili.
Il primo è un precedente giurisprudenziale di Cassazione, che dovrebbe essere noto, secondo il quale in presenza di contratti flat (cioè non a consumo o a tempo) il danno economico rilevante per la norma incriminatrice (l’art. 316 c.p. che prevede il peculato) non è, di regola, calcolabile.
L’altro è la citata direttiva che sostiene una cosa fondamentale: «tale utilizzo non istituzionale non provoca, di norma, costi aggiuntivi, tenuto conto della modalità di pagamento flat […] utilizzata nella generalità dei casi dalle Amministrazioni per l’utilizzo di quasi tutte le risorse ICT».
Occorre evitare, dunque, di pronunciare sentenze definitive sull’indagine di Bertinoro (sulla quale, comunque, chi scrive nutre non poche perplessità), ma attenzione anche a non abusare degli strumenti di lavoro perché un procedimento penale può già essere la vera pena e il licenziamento (pur a certe condizioni) non è certo da escludere a priori.