Illecito intervenire su console per videogiochi?

E reato commercializzare dispositivi che consentono di utilizzare su console vidiegioci non originali? La Cassazione dice di sì, ma penso sia da segnalare anche quest’ultima pronuncia perché, a mio parere, la soluzione non è corretta.
Anzitutto – è una cosa che dico da molto tempo – i videogiochi non sono opere audio-video, ma software. Tecnicamente, penso che chi ne sa più di me possa confermare, giuridicamente, tutto sta nel regolamento sul contrassegno SIAE che, appunto, li definisce come tali.Un tempo era il DPCM 338/2001, ora è il DPCM 31/2009. Il secondo ha abrogato il primo, ma, sul punto, non vi sono modifiche sostanziali e tutto sta nell’art. 5, comma 1, lett. b) che parla espressamente di videogiochi, plastation, consolle. Più chiaro di così…
La conseguenza di questa natura tecnica e giuridica è che, contrariamente a quanto sostiene la Suprema Corte, la disciplina riguardante le misure tecnologiche di protezione non sono applicabili riguardando soltanto le opere audiovisive.

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ZeusNews > Banche 1-0 Privacy

(da ZeusNews del 30 marzo 2011)

Che cos’è il furto di identità. Io, come giurista, non amo questa locuzione (l’identità altrui si usa, non si ruba), ma penso che tutti siamo in grado di dare una risposta perché l’argomento è sotto i riflettori da tempo, specie associato a fatti di phishing.
Comunque, ad esempio, si può fare una ricerca in Rete oppure andare direttamente su Wikipedia: “Il furto d’identità è una condotta criminale volta a ottenere indebitamente denaro o vantaggi, fingendosi un’altra persona“.
A breve, però, potremmo avere una definizione giuridica. Infatti, nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto legislativo (non ancora in vigore) che, intervenendo nel corpus del Codice del Credito al Consumo (decreto legislativo 141/2010), dà una definizione di “furto d’identità” imperniata su due distinte ipotesi.
La prima è l’impersonificazione totale: tale condotta consiste nell’occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto. Tale condotta può riguardare l’utilizzo indebito di dati, riferibili sia a un soggetto in vita, sia a un soggetto deceduto.
La seconda è l’impersonificazione parziale: tale condotta consiste nell’occultamento parziale della propria identità attraverso l’impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi a un altro soggetto.
Si badi bene, però, che con ciò non nasce un nuovo reato. Condotte del genere rientrano, infatti, in fattispecie già note e vigenti come il reato di sostituzione di persona (articolo 494 codice penale), quello di trattamento illecito di dati personali (articolo 167 decreto legislativo 196/2003) o quelli di frode (articoli 640 e 640-ter codice penale).
Quale necessità, allora, per questa modifica? Molto semplice, con le parole usate sul sito del Governo: “Consentire alle società che erogano prestiti di poter verificare i dati sensibili [sic!] dei propri clienti per combattere e prevenire le frodi nel settore creditizio e in particolare i furti d’identità nel credito”.
A parte il fatto che, fortunatamente, nessun dato sensibile dovrebbe essere trattato (l’estensore della presentazione ignora la definizione di “dati sensibili” di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 196/2003), non si può negare come la creazione di questo enorme archivio dati rappresenterà una pesante invasione della privacy.
Se poi si considera che non sono approntate specifiche tutele per il singolo diverse da quelle generali (cioè del codice della privacy, peraltro soltanto timidamente menzionato) si comprende quanto la riservatezza debba cedere alle ragioni del credito.

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Provaci ancora, Bob

Giusto ieri, l’on. Roberto Cassinelli, persona molto apprezzata da chi si occupa di Internet e diritti, ha formalmente presentato e discusso un’interpellanza (firmata anche da altri quarantasette deputati, bipartisan).
Ha toccato un punto di cui si discute molto in questi ultimi mesi: il ruolo di AGCOM nella tutela del diritto d’autore nell’ambito di un più generale regime giuridico di Internet.
Io non penso che le risposte del Sottosegretario per i beni e le attività culturali siano state soddisfacenti. Anzi, come direbbe Camilleri nell’imitazione di Fiorello, tutto è un po’… fumoso…
Di chiaro mi sembra ci sia soltanto la ferma intenzione del Governo di riconoscere ad AGCOM competenze che molti di noi ritengono siano da riservare all’Autorità Giudiziaria.
Giudicate voi, i documenti sono tutti linkati.

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14 – 15 aprile 2011: astensione udienze

Cosiddetto “sciopero degli avvocati”, sempre su delibera OUA, sempre contro la mediaconciliazione che, a quanto pare, buona parte dell’avvocatura (non so dire se minoranza o maggioranza) non pare gradire.

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Le Tecniche Argomentative

Siccome l’autore è un mio amico, segnalo volentieri: Le Tecniche Argomentative di Juri Rudi.
Per avvocati e anche no, da oggi sul market di Android. Ma esiste anche in formati più tradizionali, da QUI.

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31 marzo 2011: Documento Programmatico sulla Sicurezza

Anche quest’anno, va rifatto entro il 31 marzo 2011. Cosa? Il Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS) dei dati personali.
Se non ci sono stati cambiamenti, si può copiare quello dell’anno scorso, molto semplicemente.
Ah, non serve andare in posta a farsi timbrare il documento. La data certa non è prescritta da alcuna norma.

P.S.: Nelle statistiche ho visto un certo interesse da parte degli avvocati. Anni addietro, il CNF ne aveva pubblicato un modello, secondo me molto valido per la stragrande maggioranza degli studi legali. Nel relativo sito non lo trovo più, in compenso è disponibile sui siti di diversi Ordini, ad esempio quello di Milano.

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Il diritto all’oblio, oggi

(da ZeusNews del 26 marzo 2011)

L’esercizio del diritto di cronaca online prevale rispetto alla riservatezza del singolo soltanto se a termine. Scaduto quest’ultimo, deve ritenersi illecito.
E’ questa, secondo una mia estrema sintesi, la conclusione del Tribunale di Ortona in una vicenda segnalatami da un amico (ma vedo che la Rete è già in subbuglio).
Primadanoi è un quotidiano online molto noto in ambito abruzzese. Anni fa, aveva pubblicato la notizia degli arresti domiciliari imposti a due coniugi per fatti di presunta tentata estorsione.
Successivamente, i coniugi erano stati scagionati e gli atti archiviati. Puntualmente (ma sappiamo tutti che non succede spesso), il quotidiano ha provveduto diligentemente ad integrare quello stesso articolo con la notizia dell’archiviazione e, addirittura, con l’annuncio, fatto dal legale dei due, della richiesta di un risarcimento per l’ingiusta detenzione patita.
Beh, ai coniugi pare non sia bastato. Dopo essersi rivolti al Garante (il quale ha ritenuto la liceità del comportamento del quotidiano), i due hanno provato anche la carta della giustizia ordinaria (civile), ottenendo soddisfazione: risarcimento, cancellazione dell’articolo, vittoria di spese legali.
Giuridicamente, il punto è il bilanciamento tra diritto di cronaca (sotto il profilo del trattamento di dati personali per scopi giornalistici) e diritto all’oblio che, in effetti, in Internet si fa particolarmente sentito.
Lo sanno bene a livello europeo dove proprio in questo’ultimo periodo si è iniziato a parlarne con maggiore concretezza, ma già dal 2009 c’è una proposta di legge presentata alla Camera (e che va proprio ad intervenire tra l’altro, proprio sull’art. 11 d.lgs. 196/2003, v. sotto).
Attualmente, tutto potrebbe ruotare intorno agli artt. 11 e 25 d.lgs. 196/2003 (proprio quelli menzionati dal tribunale di Ortona) secondo cui, in buona sostanza, le attività di comunicazione e diffusione dei dati sono lecite soltanto entro un certo limite temporale (non rigidamente specificato, ma correlato alle finalità). Tuttavia è chiaro che si tratta soltanto di un abbozzo di un diritto all’oblio e che, anche in considerazione della legge in fieri, il giudice abruzzese potrebbe essere andato oltre, per giunta enunciando un principio che, se dovesse consolidarsi, metterebbe in crisi non poche attività telematiche.
Di certo, per una realtà che non può essere paragonata, così semplicemente, alla carta stampata, occorrerebbero norme più chiare e ad hoc.

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Yahoo! e responsabilità del provider: occhio alle bufale

Stefano Quintarelli ha pubblicato la tanto chiacchierata ordinanza (e non sentenza) recentemente pronunciata (Tribunale di Roma, Sezione IX Civile) contro Yahoo! accusato di violazione del diritto d’autore (e non soltanto, per la verità) per la presenza di risultati di ricerca che conducevano a materiali protetti. QUI, un sunto della notizia.
Io me lo sentivo: i giudici possono anche sbagliare, specie in materie “nuove”, ma la storia della censura della Rete era, appunto, una storia, una bufala.
Tu non sei tenuto a controllare quello che pesca il tuo crawler, ma se il titolare di determinati diritti ti avvisa che c’è un problema e tu non fai niente pur essendo in condizione di rimediare rimuovendo l’illecito, non lamentarti della condanna.
Un po’ come successo per il caso Vividown che ha coinvolto Google.
Ciò, comunque, senza entrare troppo nel merito della vicenda perché le cause giudiziarie non sono fatte di soli provvedimenti. Yahoo! potrebbe avere anche ragione per quello che ne so io.
Poi, se vogliamo parlare delle mille sfaccettature giuridiche del provvedimento, possiamo anche farlo, ma per i pragmatici penso possa bastare questo semplice concetto che fa capire quanto certi allarmi siano molto spesso bufale.

Update: segnalo Alessandro Longo su Repubblica, mi era sfuggito 😉

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Mo’ te spiego

Dopo gli oscuri quanto esilaranti avvisi di tempo addietro, Google decide di spiegare le modifiche alle condizioni di AdSense. O, almeno, decide di spiegare quali siano.

Gentile publisher,
Le scriviamo per informarla che i Termini e condizioni di AdSense, validi per il suo account, saranno modificati a breve. I Termini aggiornati saranno validi a partire da domani, 22 marzo 2011; potrà consultarli all’indirizzo http://www.google.com/intl/it/adsense/terms/terms_and_conditions_20110218.html. I Termini aggiornati sostituiranno quelli che si trovano al seguente indirizzo: https://www.google.com/adsense/localized-terms
Queste modifiche sono state effettuate in seguito alla decisione di Google del maggio 2010 di rendere pubblica la quota di compartecipazione alle entrate dei prodotti AdSense per i contenuti e AdSense per la ricerca (al seguente indirizzo: http://it-adsense.blogspot.com/2010/05/quota-di-compartecipazione-alle-entrate.html). Per chiarezza, abbiamo evidenziato le modifiche di seguito.
L’articolo 12.1(d) è stato modificato nella forma seguente:
(d) altri eventi verificatisi in connessione con la visualizzazione degli Annunci sulla/e Sua/e Proprietà. La quota di ricavi che Lei riceverà sarà determinata da Google a sua discrezione. I pagamenti saranno calcolati esclusivamente sulla base dei registri tenuti da Google. Per qualsiasi domanda relativa al prodotto, saremo lieti di risponderle sul nostro Forum: http://www.google.com/support/forum/p/adsense?hl=it
Cordiali saluti,
Il team di Google AdSense
© 2011 Google Ireland Ltd, Gordon House, Barrow Street, Dublino 4, Irlanda. Le abbiamo inviato questa email di servizio obbligatoria per informarla di un importante cambiamento che interessa il prodotto o l’account AdSense da lei utilizzato.

Ma, come si legge, va anche in profondo, nel senso che (citando il messaggio di cui sopra)

queste modifiche sono state effettuate in seguito alla decisione di Google del maggio 2010 di rendere pubblica la quota di compartecipazione alle entrate dei prodotti AdSense per i contenuti e AdSense per la ricerca

Il passaggio trova specchio in un atto ufficiale AGCM nell’ambito di una procedura avviata nanti la stessa Authority, dove si capisce che queste decisioni è stata indotta dall’indagine.
Sicché la trasparenza di Google non sembra essere super-spontanea…

Qualche commentatore magari un po’ meno allineato?

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Amarcord

Pausa caffè, leggo le pagine del Levante sul Secolo. Vedo la faccia di Romanelli e, incuriosito, leggo.
Da ieri è attivo il sito della Camere Penale di Chiavari – Levante “E. Monteverde”. Convinto di poterlo trovare con Google, rientro in studio senza memorizzare l’URL (ma ricordo che si tratta di un dominio di terzo livello su sito di altri).
Google, invece, non dà risultati; e neppure Bing. Mi fermo, ma…  vedi quant’è importante un nome di dominio e che, magari, non sia un lungo terzo livello?
Incidentalmente, ricordo il vecchio sito, da me realizzato nel ’98 su Geocities (anche in quel caso non decisero per un dominio proprio). Ora Geocities non c’è più, ma la Wayback Machine fa sempre miracoli.

P.S.: Chi conoscesse l’URL di quello nuovo, me lo dica, io non posso ridiscendere 😉

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