I blog? Tutte chiacchiere

Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da una serrata discussione sul caso The Pirate Bay. Tutti abbiamo detto la nostra, spesso contrapposta. Ma non è questo la sede per rivedere le cose. Siamo sub iudice. E possiamo soltanto aspettare.
C’è, però, che si frequentano tanti ambiti. Io, in particolare, sono iscritto ad un certo numero di mailing list giuridiche. In una di queste una persona ha linkato un mio post sulla vicenda. Semplicemente perché, come mi ha detto ancora oggi, si fida di me, di quello che scrivo. A commento, sono usciti due messaggi critici che hanno contrapposto il mio fare “chiacchiere” con chi, invece, fa qualcosa. E mi riferisco ad ALCEI-Andrea Monti (che, come sappiamo, sono nella realtà molto coincidenti).
Poi, ieri sera, complice l’audio Skype di un amico, ho avuto modo di seguire (pur “a scatti”) l’intervento in diretta di Andrea Monti in occasione del camp di Olografix. Ancora, ho sentito dire che i blog fanno chiacchiere (per la verità è stata detta anche un’altra parola, ma lasciamo perdere).
Ora, vorrei dire la mia, su qualche punto:
– che faccio questo mestiere da 17 anni, il mio curriculum è facilmente reperibile e mi fa specie essere criticato anche da chi non ha necessariamente i numeri;
– che mi sono francamente rotto di persone che non hanno la minima cognizione giuridica eppure giudicano; che facciano il loro mestiere di informatici oppure quei lavori inventati;
– che io non ho la pretesa, col mio blog, di curare i mali di Internet;
– che, comunque, si diffonde la notizia (e se si vedono statistiche e link, si dovrebbe apprezzare che c’è stato un certo girare del fatto anche grazie alla blogosfera) il che penso non sia peccato, specie se lo si fa con competenza (ed io ne ho);
– che i mainstream hanno ripreso, non a caso, certe questioni dalla blogosfera (altrimenti, sarebbero ancora lì a parlare di medaglie conquistate o mancate);
– che dietro questa vicenda di TPB ci sono un sacco di porcherie che, pur in pochi, conosciamo; ma se le conosciamo dovremmo essere un attimino più ponderati; e chi non sa, taccia;
– che giudicare è sempre facile, specie se non si sa quello che il giudicato fa.
E non mi dite che sono soltanto un narcisista. Perché, semmai, sono in ottima compagnia.

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Il controllo di Internet

In Parlamento è pieno di disegni di legge contro pedofilia e pedopornografia. Basta fare una ricerchina mirata ad esempio sul sito del Senato. Ed è “inevitabile” che si parli anche di Internet.
Tra i più recenti, segnalo il ddl C-1522. E vi riporto un passaggio della relazione.

È necessario, con riguardo alla necessità di contrastare la diffusione della pedofilia, riflettere attentamente su internet e sulla diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione.
      A questo proposito, non si può non ricordare che nella trasformazione epocale che il mondo a livello planetario ha vissuto alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo, certamente un ruolo importante, più di quello che comunemente si tende a riconoscere, hanno giocato proprio le comunicazioni e, in particolare, l’affermazione di una loro nuova caratteristica: che la gestione e la creazione di comunicazione fossero destinate a essere gestite dal singolo cittadino. La rete internet porta con sè questa particolare caratteristica: la grande possibilità che con internet la comunicazione sia gestibile, fruibile e addirittura generabile dal singolo cittadino.
      Tale nuova realtà necessita, però, di un’attenta riflessione, senza nasconderci la necessità che tale trasformazione possa e vada in alcuni casi controllata.
      È un confine labile quello su cui ci muoviamo, un confine tra l’affermazione e la difesa del principio di libertà di comunicazione e la necessità di controllarla. Comprendiamo tutti quanto sia difficile muoversi su questo confine. Eppure il legislatore ha il dovere di farlo allorquando l’individuo ha bisogno di aiuto.
      Non possiamo permettere che le nuove conquiste tecnologiche e culturali possano diventare lo strumento per la diffusione e l’espansione di crimini efferati come la pedofilia. Internet non può diventare il rifugio, lo strumento per crimini aberranti, dei pedofili. È necessario intervenire con decisione, responsabilità e misura.

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Condivisioni

Molto fiero del fatto che le mie riflessioni a caldo sul caso The Pirate Bay (peraltro, prima di leggere il provvedimento, ma confermabili anche se bisognerebbe leggere tutti gli atti) siano state completamente condivise dal collegio difensivo, compreso il carattere “creativo” della decisione bergamasca.
Questo blog è più frequentato di quanto pensassi.

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UK: un altro caso Peppermint?

Penso che molti abbiano letto della recente battaglia inglese contro il P2P illegale.
Cinque software house di videogiochi si sono coalizzate, affidandosi ad uno studio legale di londinese, per perseguire 25.000 “sospetti” pirati.
Pagateci 300 sterline, per 5.000 di voi i giudici ci hanno già consentito di arrivare ai vostri nomi. Altrimenti, vi trasciniamo in giudizio (Repubblica riferisce un po’ diversamente, ma la sostanza non cambia).
Non v’è chi non veda che la cosa è del tutto analoga a quella che, l’anno scorso, ha riempito le cronache nostrane.
Che, dopo una manciata di provvedimenti favorevoli a Peppermint (e Techland), ha preso la strada opposta, con alcuni rigetti. E, addirittura, è giunta la censura del Garante.
Le leggi inglesi (in tema di diritto d’autore e privacy) discendono dalle stesse direttive poste alla base delle nostre regole. Così, ci si dovrebbe aspettare il medesimo esito. Vedremo.

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Ferie agostane

Il sito del Circolo dei Giuristi Telematici è, già da qualche giorno, inaccessibile.
E nessuno se ne accorge, nessuno fa qualcosa.
Ferie di avvocati.

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Praga, 1968

Stamattina mi sono visto La storia siamo noi. Ero in albergo e me la sono goduta (se così si può dire, visto il dramma). Poi, ho scroccato Repubblica allo stesso albergo. E’ c’erano due belle facciate sull’anniversario (20-21 agosto 1968) della criminale invasione sovietica in Cecoslovacchia, ampiamente sorretta (se non altro per inerzia) da tutta la Sinistra italiana dei tempi.
Mi ha colpito il diario di Nenni riportato da Filippo Ceccarelli. E, soprattutto, il profilo di un politico nel quale, ineluttabilmente, mi riconosco da anni (e non è Nenni, pur con rispetto).
“Canaglia e brillante”. Si chiamava Giorgio, di cognome Almirante, definito (non ingiustamente) “fascista”. Unico, però, tra le pustole infette dei democristiani attendisti e dei comunisti traditori del Tricolore.

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The Pirate Bay: il provvedimento di “sequestro”

Grazie ad una segnalazione dei commenti, informo che ICTLex ha pubblicato il tanto atteso provvedimento.
Da leggere, QUI.

In aggiornamento, segnalo anche il pronto articolo di Alessandro Longo su Repubblica. Mi sembra chiaro che, al di là del lodevole intervento di ALCEI, occorra, ora, fare qualcosa di più. Ci stanno già pensando.

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Redirect di The Pirate Bay: di male in peggio

Ieri sera ero in contatto con Matteo e mi ha anticipato un suo video riguardante ulteriori effetti del redirect del traffico destinato a The Pirate Bay.
Una connessione porta, anzitutto, con sé l’IP. E questo l’abbiamo già visto. Ma c’è di più. I cookie, ad esempio, con tutto quello che ne consegue.
Ecco il nuovo post di Matteo.
Non è superfluo ribadire il nostro sconcerto, sottolineare la gravità della cosa, denunciare ancora una volta fatti inaccettabili e di vasti profili di illegalità.
Intanto, per quel che potrà valere, ALCEI ha informato il Garante.

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Inibire va di moda

Quinta ci segnala una decisione della Corte di Cassazione francese che ha disposto il “blocco-inibizione” di un sito revisionista.
Insomma, è lecito domandarsi se il fatto abbia un qualche punto di contatto con la nostrana inibizione di TPB.
Difficile dirlo. Non ho una grande dimestichezza con il diritto francese e, d’altro canto, senza poter leggere la decisione è un’impresa impossibile.
Di certo, però, la decisione sembra essere di carattere civile e non penale, mentre è possibile che, per i siti “revisionisti”, esistano leggi ad hoc che consentono l’inibizione. Un po’ come, da noi, per il gambling non convenzionato AAMS e il pedoporno.
In termini generali, temo che quella sia la via per il futuro. Nell’impossibilità di una vera collaborazione internazionale per le questioni internettiane, si chiudono le frontiere. Vecchie tecniche per nuovi problemi.

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Pubblico e privato (approfondimento)

Il titolo del post precedente non è coerentissimo con il contenuto. Volevo scrivere qualcosa in più, ma nella fretta di far girare una notizia tanto importante, ho chiuso.
Lascio il titolo e approfondisco qui.
In Italia succede sovente che le associazioni private collaborino con gli inquirenti, a volte sin dai primi passi, vale a dire con la denuncia di fatti penalmente rilevanti. Pensiamo alle associazioni di consumatori, quelle ambientaliste, quelle anti-pedofili. E via dicendo. In alcuni casi si tratta di associazioni meritorie, in altri ci si trova in presenza di sodalizi un po’ discutibili, quanto meno nei fini dichiarati. Normalmente, però, non si tratta di esponenti del mondo imprenditoriale.
Ma l’esperienza mi insegna che nessuna associazione è così “forte” come quelle legate alle major e ai produttori di sofware.
Queste associazioni lavorano in strettissimo contatto con gli inquirenti tanto che loro rappresentanti (le cui qualità professionali sono ignote) sono, molto spesso, nominati ausiliari di Polizia Giudiziaria nel corso di perquisizioni.
Ad esempio, il “fiduciario” BSA vi arriva in casa la mattina alle 6 insieme alla GdF (la stessa BSA “forma” i militi) ed è il vero regista della perquisizione (e taciamo sulle inesistenti cautele di forensics). Nel computer che si porta al seguito ha già un foglio elettronico con un produttore di software scritto su ogni riga. E i produttori di software indicati sono quelli hanno fondato la BSA. Degli altri non si interessa molto.
Il foglio elettronico serve per fare i conti. Per le sanzioni amministrative correlate ad un reato (art. 174-ter l.d.a.), il legislatore ha fissato un criterio proporzionale al prezzo di mercato del software. Dunque, tot software moltiplicato “quel” valore di mercato ed ecco, calcolata acriticamente sulla scorta delle “ipotesi” dell’ausiliario, la multa, talvolta milonaria. Il problema è che il tanto autorevole ausiliario commette (per ignoranza o malafede) un errore non da poco. Supponiamo che sia ritrovata una copia del software Alfa nella versione 3.0, di cinque anni fa, e che, oggi, la versione sia la 8.0. L’ausiliario attribuisce ad Alfa 3.0 il valore della versione attualmente in commercio. Abbiamo qualche aggettivo per questa analisi di mercato che, per giunta, passa come oro colato attraverso tutto il procedimento?
Bene, questo è soltanto un esempio degli esiti dei rapporti tra pubblico e privato, tra Giustizia e imprenditori dell’opera dell’ingegno. Ma, ora, i rapporti si dimostrano ancora più stretti e gli esiti a dir poco imbarazzanti. Ce lo dimostra il fatto descritto nel precedente post. Un’inibizione “atipica” che, in realtà, è una sorta di hijacking con il cartello “chiuso” gentilmente fornito dalla GdF (e da chi, altrimenti?) a chi? Ad un privato, inglese, il cui ruolo processuale ci è ignoto e che, anzi, è probabilmente inesistente. Malgrado ciò, ha avuto l'”onore” di prestare il proprio server per esporre l’editto bergamasco, magari anche collezionando IP originariamente destinati a TPB. Una cosa mai vista. 
Quale spavalderia, quale spregio per forma e sostanza.
Tutto questo deve finire. Le major e i produttori di software si servono della Giustizia per fini privati. E ciò è inaccettabile.

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