Dice che non ha ricevuto la PEC

Caso calcistico agostano; e giuridico.
Sembra che il destinatario (la Lega Calcio) neghi di avere ricevuto una PEC dalla Società mittente (Sassuolo Calcio).
Così dice La Stampa, per esempio.
Io dico che, se è veramente così, è il caso giudiziario dell’anno (visto che è già stato annunciato il “ricorso”).

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La Cassazione sui “captatori informatici”: “sì, ma, però”

Tutti ne hanno parlato, tanti l’hanno commentata, ancor prima di leggere le motivazioni (anche se, in parte, prevedibili, visto il dispositivo). Parlo dell sentenza n. 26889 delle sezioni unite penali della Suprema Corte, depositata lo scorso 1° luglio, in tema di “captatori informatici”.
Anche nell’editoria giuridica, pure quella “lato senso” fatta di iniziative di singoli, c’è quell’ansia da cronaca che spinge a dare la notizia subito, prima degli altri, in una vera e propria competizione tra autoreferenti dalla sententia precox che, però, se badiamo alla sostanza giuridica non ha alcun senso, anzi può essere dannosa. E’ stata una tentazione anche per me, talvolta.
Il diritto è sì attualità, ma non proprio mera cronaca. Altrimenti, si scade in certi spettacoli pietosi come quelli del voyeurismo giudiziario à la Quarto Grado.
E’ importante conoscere il più recente orientamento giurisprudenziale, ma con il solo dispositivo, se non si conoscono bene gli atti, fare a meno delle motivazioni è profondamente sbagliato; almeno da un punto di vista scientifico, se non vogliamo fare, appunto, mera cronaca e pavoneggiarci per aver dato per primi la notizia.
Detto ciò, cosa sono i “captatori informatici”? Si tratta di software, di fatto “malware” ovvero, più in popolarmente, “virus” o “trojan”, inseriti, segretamente, in dispositivi informatici/telematici, normalmente mobili, al fine di procedere ad intercettazioni. Insomma: vere e proprie “cimici informatiche” anche se, proprio per la mobilità dei sistemi su cui sono installati di solito, non sono fissi, ma possono captare ovunque siano trasportati.
Sulla carta, un software di quel genere, nelle sue versioni più complesse, può attivare non soltanto il microfono (caso più frequente e proprio dei “captatori”), ma tutte le funzionalità del dispositivo: la fotocamera, la radio GPS, le altre radio in genere. In pratica può letteralmente telecomandare il device.
Qui, ovviamente, parliamo di programmi installati a fini giudiziari, altrimenti staremmo a discutere di intercettazioni abusive, accessi abusivi, violazioni di domicilio, ecc.
Anche su quest’ultimo profilo, avevo già scritto tempo fa: QUI, QUI, QUI e anche QUI.
Ma, insomma, cosa ha detto la Cassazione? Premesso che l’attività è stata fatta rientrare nell’alveo delle intercettazioni “ambientali” (e non “telefoniche” o “telematiche”), secondo me, pur con argomentazioni non certo banali, i giudici di piazza Cavour hanno scelto una via non certo pacifica e un po’ salomonica.
Malgrado il legalese, credo che il principio sia chiaro per tutti “Limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, è consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l’installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc.) – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa“.
La soluzione tecnologica è, dunque, valida soltanto per alcune classi di reati, non per tutti.
Questa la decisione della Suprema Corte. Sta di fatto, però, che molti sono dell’idea che occorrerebbe rivedere la disciplina in tema di intercettazioni perché così, senza norme specifiche, si rischiano abusi e interpretazioni un po’ stiracchiate.
E’ il solito problema: la legge che non riesce a stare dietro alla tecnologia, neppure quando è a maglie un po’ più larghe. E ciò vale soprattutto per la materia penale, tipicamente di stretta interpretazione.
Intanto, lo dico incidentalmente, si parla di un (quasi) misterioso convegno non pubblico durante il quale si è discusso proprio di una futura disciplina in materia.
Chissà che ne sarà sortito anche se i soliti ben informati sapranno già tutto.

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Autopromozione > FEA, biometria, privacy e compliance: il nuovo scenario europeo, Lecce 24 giugno 2016 (AIFAG)

Venerdì, pur in videoconferenza, parteciperò, parlando un po’ di diritto penale.
Tutto QUI.
E per chi volesse la diretta, ecco il link.

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Autopromozione > ANGIF Master Full Immersion in Diritto Penale dell’Informatica e Digital Forensics V ed.

Oggi pomeriggio sarò a Genova per una “lezioncina” su I crimini informatici: 615-ter quater e quinquies c.p.
QUI il programma completo, magari ci rivediamo il prossimo anno.

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Se l’autoproduzione non è punibile

Un’altra sentenza che “grazia”, pur con argomenti giuridici condivisibili, il “traffico” di immagini pornografiche autoprodotte tra minorenni.
Non è punibile la cessione di detto materiale posta in essere dallo stesso minore ritratto che ha autoprodotto i materiali.
A mio modo di vedere, anche come genitore, la cosa rimane pur sempre censurabile perché le immagini posso circolare in modo del tutto imprevedibile (o anche prevedibile).
Quindi…
Su Penale.it la sentenza 11675/2016 della III sezione penale della Cassazione.

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Come ti sequestro il sito

C’è una sentenza della Cassazione, a proposito di sequestrabilità dei siti Internet, che nel giorni scorsi ha fatto molto discutere.
In realtà, non dice nulla di nuovo perché, proprio l’anno scorso, addirittura la stessa Corte, a Sezione Unite, aveva chiaramente detto che una testata giornalistica online non può essere sequestrata, tutto secondo la legge.
E i blog, i forum, tutti gli altri siti in genere che non sono testate registrate?
Sì, si possono sequestrare: lo sapevamo già.

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24, 25 e 26 maggio 2016 > Astensione avvocati penalisti

I penalisti protestano contro l’ipotesi di riforma sulla prescrizione, intercettazioni, processi a distanza e… anche captatori informatici.
Come da delibera UCPI.

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Hotel Ingroia

Ingroia
Antonio Ingroia lo conosciamo tutti.
I più, specie in questi giorni, sanno che, dopo l’esperienza in magistratura, ha deciso di fare l’avvocato. Di recente, infatti, abbiamo appreso che difende Pino Maniaci, il giornalista antimafia che si sarebbe macchiato di atti estorsivi.
Antonio Ingroia è iscritto a Roma, basta cercare sul sito dell’Ordine.
Ha studio nella Capitale, al civico 89 di via XX Settembre.
Che corrisponde ad un hotel.
P.S.: Curioso anche l’indirizzo email.

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Fare l’amministratore di un gruppo Facebook è un mestieraccio

L’amministratore di un gruppo Facebook non è responsabile per i post/commenti inseriti da terzi. Lo sapevamo già, anzi no.
In realtà la questione è molto più complicata, almeno secondo il GUP del Tribunale di Vallo della Lucania (QUI su Penale.it).
Esistono, sempre secondo il Giudice, due eccezioni non da poco.
C’è concorso dell’amministratore (con l’autore di un contenuto illecito) se fa passare determinati contenuti, se, in sostanza, li filtra preventivamente mediante approvazione (cosa che mi risulta possibile per i post, ma non per i commenti, ma potrei sbagliarmi).
E qui, tutto sommato, ci siamo: se lo scritto diffamatorio passa perché io lo faccio passare (potendolo bloccare preventivamente), me ne prendo la corresponsabilità.
Assai più critico e discutibile è il secondo dictum: “affinché l’elemento soggettivo del reato ex art. 595 c.p. possa ritenersi sussistente, è necessario che il moderatore abbia scientemente omesso di cancellare, anche a posteriori, le frasi diffamatorie”.
Insomma, che vi sarebbe responsabilità penale in concorso successivamente alla commissione del reato. Che stona un po’, anzi assai.
P.S.: Per i blog, con i dovuti distinguo, possono valere analoghe considerazioni.
P.P.S.: Soltanto incidentalmente, dalla lettura della sentenza si capisce benissimo che i due imputati non dovevano neppure giungere all’udienza preliminare, erano stati più che diligenti nella gestione del gruppo, ma tant’è…

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Il vecchio che avanza

L’anno scorso abbiamo avuto quel giudice che, siccome non era stata depositata la copia di cortesia di un atto (una copia cartacea, non prevista da alcuna norma, della copia informatica regolarmente depositata col Processo Civile Telematico), aveva appioppato una sanzione di 5.000 euro alla parte secondo lui negligente.
Poi, i suoi superiori ci hanno messo una pezza.
Nei giorni scorsi, ne è uscito un altro che, visto che non era stata depositata una copia cartacea degli atti (non richiesta da nessuna norma), non potendo gravare l’ufficio della stampa e trovandosi impossibilitato a studiare la causa in quanto (ovviamente) impossibilitato a sottolineare e/o a fare le orecchie sulle copie a video, ha negato la provvisoria esecuzione al povero creditore.
Poi, il Ministro ha avviato un’azione disciplinare.
Oggi, abbiamo un altro giudice che vuole la copia cartacea perché il monitor fa male agli occhi.
Mi chiederete un commento: ma ce n’è veramente bisogno?

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