E-privacy 2008

Ecco il programma. Un bel gruppetto di persone, soprattutto legali.
Arrivederci a Firenze, 9 – 10 maggio 2008.

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Sed Lex > Il bollino SIAE? Non più un obbligo

(da Punto Informatico n. 2874 del 14 aprile 2008)

Roma – Il contrassegno SIAE non è opponibile al privato. Quando è elemento costitutivo tipico di un reato non può esservi condanna.
La prima notizia non è dell’ultima ora ed è già conosciuta ai lettori di Punto Informatico; la seconda, invece, è la conclusione comune a tre recenti sentenze della Cassazione Penale (qui la più significativa, ma si veda anche la fondamentale n. 13816).

Atteso, però che la prima notizia è il logico e giuridico presupposto della seconda, è opportuno trattarle insieme, ripercorrendo l’intera vicenda, dalle origini alle conclusioni dei giorni scorsi.
Tutto ha inizio a Forlì-Cesena dove, a seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, la locale Procura ha citato a giudizio un imprenditore ritenendolo colpevole di aver predisposto per la commercializzazione supporti informatici privi del contrassegno SIAE richiesto dalla legge.
La contestazione riguardava, in particolare, l’art. 171-ter, comma 1, lett. c), l.d.a (oggi, dopo la riforma del 2000, divenuta lett. d).

Nel corso del procedimento, il difensore dell’imprenditore, l’avv. Andrea Sirotti Gaudenzi di Cesena, ha sottoposto al giudicante una questione pregiudiziale riguardante proprio un asserito contrasto con le norme dell’Unione Europea.
Il giudice, condividendo la rilevanza della questione ha, dunque, inviato alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, dopo aver valutato le conclusioni dell’Avvocato Generale conformi alla posizione dell’imputato italiano, ha “bocciato” il bollino.

Quest’ultimo, infatti, essendo regola tecnica (al pari di certe etichettature alimentari che tutti conosciamo) introdotta in Italia dopo la Direttiva 83/98/CEE, doveva essere comunicato alla Commissione UE, pena l’inopponibilità al privato. Notificazione, come è noto, non effettuata dal nostro Paese.

L’obbligo di apporre il contrassegno SIAE è stato generalmente e definitivamente sancito nel 2000 (art. 181-bis l.d.a.), ma da qualche anno prima (1987) era già imposto almeno per i supporti audiovisivi (per il cartaceo vigeva, a certe condizioni, anche prima).

Sempre nel 2000 (con la l. 248/2000) il regime penale del software è stato, sostanzialmente, omologato a quello degli audiovisivi. Con quella riforma, anche in relazione ai supporti contenenti i programmi per elaboratore (anzi, in particolare per essi), il legislatore ha privilegiato il fattore formale (la presenza o meno del contrassegno) anziché quello sostanziale (la legittimità o meno della copia). Con il paradosso rappresentato proprio del caso cesenate: l’imputato, infatti, deteneva sicuramente tutti i diritti relativi alle opere riprodotte ed aveva soltanto omesso la bollinatura.

Malgrado la diversa ed erronea opinione della SIAE (la quale ha vanamente affermato che la decisione europea riguardasse soltanto i supporti contenenti opere d’arte figurativa) le ricadute sul penale sono apparse subito inevitabili. Se alcuni (non tutti) reati previsti dalla legge sul diritto d’autore ruotano intorno al bollino SIAE (come elemento costitutivo e fondamentale) e questo è stato dichiarato inopponibile al privato, la norma si ritrova monca, impossibile da “rigenerare” mediante il riferimento ad altri elementi.

Puntualmente – pur riguardando, nella sentenza n. 13810, un caso non correlato al contrassegno – è arrivata l’autorevole opinione della Cassazione la quale ha osservato che “le fattispecie della l. 633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno SIAE sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’art. 171 ter comma 1 lett. d (lett. c prima della novazione introdotta con la L.248/2000). Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del marchio SIAE, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata”.

Insomma: da un lato, già per effetto della decisione della Corte di Giustizia, non è più obbligatorio apporre i contrassegni SIAE anche su supporti contenenti audiovisivi, banche dati e software (ivi compresi i videogiochi), dall’altro non è più reato (“il fatto non sussiste”, come precisato) la mancata apposizione del contrassegno SIAE. E, a mio avviso (ma come detto ancor prima dalla Cassazione che elenca alcune norme interessate), anche la detenzione di supporti non contrassegnati deve ritenersi non più sanzionabile penalmente quando l’illiceità della detenzione discenda soltanto dalla mancanza del bollino.

Il solito pasticcio all’italiana, verrebbe da dire, dove Stato e SIAE, nonostante la decisione di Lussemburgo e, comunque, le note regole che impongono determinati comportamenti agli Stati dell’Unione, continuano a cagionare un danno economico alla comunità e, come se non bastasse, a richiedere pervicacemente condanne penali pur in presenza di così macroscopici errori della Pubblica Amministrazione di cui il privato non è certo responsabile.

avv. Daniele Minotti
https://www.minotti.net/

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Consulenza legale

Bush ha difeso con la Abc la tecnica del “waterboarding“: “Avevamo pareri legali che ci autorizzavano a usarlo. E no, non avevo alcun problema nel cercare di capire cosa sapeva Khalid Sheikh Mohammed. E’ importante che gli americani sappiano chi è. E’ la persona che ha ordinato le stragi dell’11 settembre”

(via Repubblica)

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Denuncia allo Stato Italiano per inadempimento delle norme comunitarie su firma elettronica, fatturazione elettronica e PEC

Titolo “à la Quinta” per comunciare che pare che l’Italia, tanto per cambiare (e anche al di fuori della spazzatura), non sia stata rispettosissima di quanto imposto a livello UE (la questione del bollino era già un valido esempio).
I particoli su Scint.

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SIAE: ultima corsa

Sempre in relazione al “mitico” bollino SIAE, segnalo questa notizia rilanciata proprio da SIAE (già riportata nei commenti al post precedente).
La notizia sembra “vera”, nella misura in cui io non ho sotto gli occhi la sentenza palermitana e mi dispiace dubitare.
In effetti – per andare dritti al punto – quel giudice può aver pensato che la sentenza della Corte di Giustizia fosse applicabile soltanto ai supporti contenenti opere d’arte figurativa (che era quanto apparentemente contestato al signor Schwibbert). E’, d’altro canto, una tesi già notoriamente sostenuta da SIAE (e, probabilmente, dagli avvocati di parte civile che, verosimilmente, si sono costituiti in quella sede siciliana).
Ma il giudice di Palermo ha sbagliato e vediamo perché.
Il caso posto all’attenzione del Giudice di Forlì e, poi, della Corte di Giustizia delle Comunità Europee riguardava supporti contenenti non soltanto le opere d’arte figurativa (come vuol farci credere SIAE con l’unica difesa possibile per il contrassegno), ma anche un accompagnamento musicale e addirittura un film. Ciò è chiarissimo dalla lettura delle conclusioni dell’Avvocato Generale e la Corte ne ha sicuramente tenuto conto.
Al di là di ciò – e al di là del fatto che anche in assenza di un provvedimento della Corte il giudice italiano ha l’obbligo di disapplicare la propria legge contrastante con quella sovranazionale – la portata della decisione era comprensibile a tutti ed è la seguente: la regola tecnica (il contrassegno, nel nostro caso) non è opponibile se non è stato notificato dopo l’entrata in vigore delle relative Direttive UE. Ogni bollino, dunque, non soltanto quelli apposti su supporti contenenti determinate opere.
Ne consegue che tutto ciò che, sino alla notificazione, è imperniato sulla mancanza del bollino diventa inapplicabile. Molto chiara, sul punto, la recente Cassazione:

“le fattispecie della L.633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno Siae sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’artt. 171 ter comma 1 lett.d (lett.c prima della novazione introdotta con la L.248/2000). Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del marchio Siae, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata”.

Ecco perché la sentenza palermitana è sbagliata, come un po’ strana è quella notizia tanto sbandierata da SIAE, proprio ieri, quando si è avuta notizia della decisione della Cassazione.
Ancora, dopo la sentenza della Corte di Giustizia, l’obbligo di apposizione del contrassegno non sussiste più, per nessun supporto (tranne che per i libri). Congelato, di fatto, l’art. 181-bis l.d.a., tutto ricade anche sulle succitate norme penali incriminatrici.

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Bomba: la Cassazione penale conferma l’illegittimità del contrassegno SIAE

Vi ricordate la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europee in tema di contrassegno SIAE?
Diceva, per riassumere qui la vicenda, che essendo il contrassegno norma tecnica doveva essere notificato alla Commissione. Cosa che, puntualmente, non è avvenuta. Dunque, il contrassegno non è opponibile al privato.
Due conseguenze:
– tutte le fattispecie penali che si fondano sulla mancanza di detto contrassegno non valgono più (sino alla notificazione);
– la SIAE non può legittimamente pretendere l’applicazione del contrassegno (eppure, continua a pretendere…).
Sul primo punto, il 2 aprile la Cassazione ha depositato ben tre sentenze. Ecco la più significativa.
Di seguito, dunque, la massima fornita dall’apposito Ufficio della Cassazione:

“In plurime decisioni depositate in data 2 aprile 2008, tra cui quelle qui presentate, la Corte valuta per la prima volta gli effetti, sui reati previsti essenzialmente dagli artt. 171 bis e ter della legge n. 633 del 1941, della sentenza della Corte di Giustizia C. E. 8/11/2007, Schwibbert, secondo cui le disposizioni nazionali che hanno stabilito, successivamente all’entrata in vigore della direttiva comunitaria n. 189 del 1983, l’obbligo di apporre sui supporti il contrassegno Siae, costituiscono una regola tecnica che, ove non notificata alla Commissione, è inopponibile al privato. La Corte, premettendo che il contrassegno Siae relativo a supporti non cartacei risulta introdotto nell’ordinamento italiano da norme successive all’approvazione della citata direttiva, e non comunicate, quanto meno sino alla data della sentenza della Corte di Giustizia, alla Commissione, ha pertanto ritenuto che : 1) in ordine segnatamente ai reati di cui agli artt. 171 bis, commi primo e secondo, e 171 ter, comma primo, lett. d), relativi infatti a supporti privi del contrassegno, deve ritenersi che il fatto non sussista venendo in concreto a mancare un elemento materiale degli stessi; 2) in ordine ai reati aventi invece ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, e che non prevedono come elemento essenziale tipico la mancanza del contrassegno (come il reato ex art. 171 ter, comma primo, lett. c), gli stessi restano punibili; in tal caso, tuttavia, la mancanza del contrassegno può conservare valore indiziario, necessitando perciò del conforto di altri elementi, circa la illecita duplicazione o riproduzione”.

Ancora, vorrei complimentarmi con Andrea Sirotti Gaudenzi che ha sollevato la questione che ha originato il tutto.

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Three strikes and you are still in

Diciamoci la verità. La “Dottrina Sarkozy” (o “Strategia Oliviennes”, dal cognome del n. 1 FNAC) era un boiata di rara grandezza.
Ma mi preme sottolineare che ciò che è stato deciso a livello europeo non è una legalizzazione del file-sharing (come ho letto in giro), ma una vittoria del diritto alla cultura, al lavoro, ecc., rappresentato dalla connessione Internet (giustamente, Cappato).

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Tecnologia: cosa pensano (e promettono) i politici – III puntata

Ultimo (direi) giro di domande/risposte di Punto Informatico ai nostri politici: canone RAI e blogging.
Premetto che non tratterò il primo argomento. Da un lato perché non è strettamente tecnologico, dall’altro perché tutti hanno risposto bene. Era scontato: ok al canone se c’è qualità e informazione corretta. Allora, proseguiamo.
Tema: blogging o, meglio, blog e stampa
Va premesso che la domanda dovrebbe riguardare tutte le pubblicazioni telematiche, non soltanto i blog (pur tanto diffusi). Ma diciamo che fa lo stesso, ci siamo intesi.
Di Pietro – Mi soprende (positivamente) perché in questa occasione abbandona la divisa (da ex poliziotto) senza tanti indugi. Meno chiaro mi appare la sua istanza riformista. Da decenni si parla di rivedere la normativa in tema di stampa (ora, con riflessi su Internet), ma i diversi progetti portano a soluzioni opposte. Avrebbe fatto bene ad indicarne una. Non ci dimentichiamo, infine, che chi tappa la bocca alle “voci libere” non sono soltanto i cattivoni che querelano, ma anche chi dà loro retta (e, cioè, la magistratura che sequestra e condanna).
Gasparri – Tocca un punto piuttosto delicato (e che, puntualmente, ha scatenato il forum): il diritto all’anonimato. Se uno si ferma, come fa Di Pietro, a diffamazione, stampa, ecc. è facile accontentare l’uditorio. Se, però, si va oltre, le critiche fioccano, inevitabilmente. Gasparri vorrebbe poter identificare ogni internauta o, meglio, ogni blogger e ogni commentatore. La Rete non vuole, ma i motivi non sono chiarissimi. Mi spiace, ad esempio, che Massimo si limiti, semplicisticamente, a dire che certi politici sono “vecchi”. Non è quello il punto. Ha anche ragione chi dice “se non hai nulla da nascondere, che bisogno c’è di nasconderti”? La risposta potrebbe essere “per non essere facilmente imbavagliato anche quando esprimo civilmente le mie idee”. Hanno ragione tutti. Molto discutile, invece, mi sembra la prospettazione di un obbligo, in capo al blogger, di richiedere l’identificazione del commentatore. No… comporterebbe il nascere di posizioni di garanzia che, di fatto, si ritorcerebbero anche contro il blogger.
Grillini – E’ realista, anche se, in questo caso, si ferma a dichiarazioni di principio senza essere veramente propositivo. Sul punto, mi aspettavo di più.

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Sanzionato l’avvocato (francese) di Techland – UPDATED

Elizabeth Martin, avvocato francese di Techland (software house polacca specializzata in videogiochi), sarebbe stata sanzionata, dal proprio ordine parigino, con la sospensione professionale pari a sei mesi nonché con l’interdizione da l’inibizione ad iscriversi ad associazioni professionali per un periodo di dieci anni.
Una bella mazzata, non c’è che dire.
Motivi? La Collega ha inviato migliaia di lettere per la propria assistita chiedendo il pagamento di 400 euro ad ognuno dei downloader illegali. Ma avrebbe calcato troppo la mano con minacce sproporzionate e, per giunta, avrebbe fatto confluire i pagamenti ricevuti sul proprio conto privato (il che non significa che se li sia intascati, beninteso – e, comunque, sono accordi che riguardano avvocato e cliente).
La vicenda è sostanzialmente gemella a quella, nostrana, riguardante Peppermint. Che tutti conosciamo. Probabilmente, è anche già noto che sia Peppermint che Techland si sono avvalse della tecnologia Logistep che ha permesso loro di individuare i downloader presuntivamente illegali.
Inevitabile, allora, pensare al Collega bolzanino che ha inviato, in Italia, lettere analoghe. Anche perché mi risulta che Altroconsumo si sia rivolto al Consiglio dell’Ordine di Bolzano. Al momento, non mi risultano decisioni.
Ora, io non conosco l’esatto tenore della missiva francese, però ho copia di quella italiana. E mi sono fatto una mia idea. Taccio, però, per il rispetto che ho per l’organo disciplinare. Saprà decidere bene, ne sono certo.

(Torrentfreak via CGT)

Aggiornamento delle 15:50, stesso giorno: Leggo ora Guido. Premesso che sono d’accordo che un CdO debba decidere qualcosa prima di undici mesi, in Guido un po’ meno, ma in altri parecchio, sento una gran “godere” per la decisione parigina. Non sono d’accordo, mi dissocio a costo di essere impopolare. L’azione Peppermint era molto “forte”, ma non certo temeraria.

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Gli affari altrui, la mattina presto

Complice l’insonnia che, da qualche anno, mi colpisce senza regolarità, una notte a caso, stamattina sono andato a Santa a prendere un po’ di focaccia per la colazione dei ragazzi. E adoro farlo. E’ una piccola cosa che mi fa sentire importante per loro.
Arrivato quasi davanti alla pescheria, ho incrociato un ragazzo in tuta scura che correva, sotto una pioggia leggera. E’ uno che vedo spesso in giro. Si nota, devo dire che è un bel ragazzo, atletico (ancor più notabile è sua moglie, per la verità; e ancor di più sua cognata, per dirla sino in fondo).
Fatto sta che non so chi sia; ed è piuttosto strano, considerato il ristretto contesto sociale in cui vivo. Sai quando neppure hai qualcuno che lo conosce? Ma chi è, che fa?
Poi, mi sono detto “Bah… sarà uno che corre”.

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