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Fuga dall’oblio

Leggo sul Corriere che in America starebbero per lanciare Hidden from Google, “sito che raccoglie e ordina i risultati rimossi sul motore di ricerca”.
Della fragilità del sistema approntato da Google ne eravamo consapevoli tutti. Perché se è vero che, oramai, anche grazie a Chrome per molti utenti di bassa capacità Google è diventato “Internet”, è anche vero che, dietro, tutto rimane al suo posto (se non rimuovi).
Un po’ come il sequestro dei siti per inibizione dell’IP.
La cosa che mi fa specie, però, è che, ancora una volta, sembra tutta colpa di Google che passa come censore perché mette a disposizione degli utenti un sistema per richiedere la rimozione dai risultati (che, tra l’altro, non è accolta automaticamente).
Immeritatamente, perché se non lo fa la paga cara. La Corte UE ha mandato proprio questo segnale, non dimentichiamolo.
L’Unione sembra diventata un postaccio dove vigono regole assurde che si preferisce non rispettare. Google aveva provato a sfuggire protestandosi assolutamente ed esclusivamente yankee, ma gli è andata male.
Quelli di Hidden from Google sono fortunati ad esserne veramente fuori.

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Questi fanno sul serio

Personalmente, non pensavo che quelli di Google si sarebbero mossi con tanta solerzia e invece…
Pare proprio che il servizio di rimozione risultati a seguito della nota sentenza europea sul diritto all’oblio sia già lavorando a pieno regime.
Lo si capisce da quanto scritto in calce alle pagine del motore di ricerca.

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QUI, comunque, qualche info in più.

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Troppo bello per essere vero?

Oggi il Corriere spara in prima pagina la notizia che Google, dopo la sentenza della Corte UE, ha predisposto un apposito servizio per la rimozione dai risultati, in ossequio al diritto all’oblio.
Ne rimango impressionato, per mille motivi. Mi riservo di vedere se funziona.
P.S:: Anche Repubblica e La Stampa.

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LSDI > Diritto all’oblio: non è vero che è “inapplicabile alla Rete”

Occorre una premessa.

Ho scritto il pezzo dopo aver letto diverse opinioni contrarie. Mentre rientravo da una trasferta, alla radio, ho ascoltato Rodotà. Unica opinione favorevole sentita sino a quel momento, prima di mettermi a scrivere.

Poi, con grande piacere, mi sono accorto che, tra i giuristi (e salvo qualche eccezione), non sono stato l’unico a plaudire, quanto meno nei principi enunciati, la sentenza della Corte europea.

Sarzana, tramite Facebook, segnala un pezzo di Alessandro Longo per Repubblica (che mi aveva chiamato per un’opinione sulla vicenda) e leggo che Fulvio la pensa come me, ricordando quante volte, come avvocati nel cercare di tutelare i nostri assistiti, abbiamo sbattuto la faccia contro Big G.

Leggo anche Gibbì Gallus e Kikko Micozzi, felice di pensarla alla stessa maniera, paradossalmente in modo non omologato, anzi…

No, non abbiamo paura della Rete e non la odiamo. Vogliamo soltanto equità. Vediamo troppe ingiustizie e prevaricazioni, anche qui in Internet.

Ed ora il mio pezzo per LSDI.

(da LSDI del 15 maggio 2014)

Per alcuni è l’ennesima occasione per dare contro al governo (meritevole o non meritevole delle nostre censure, non è questo il punto).

Per altri, il momento giusto per schierarsi a fianco di Google oppure contro. Il mondo è pieno di faziosi, lo sappiamo.

Per altri ancora, c’è l’opportunità per fare un po’ di (in-)sano populismo, per dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire. In un modo o nell’altro, sono sempre fazioni.

Però, mi sembra che pochi abbiano compreso a fondo l’origine della pronuncia della Corte Europea sulla responsabilità per i risultati dei motori di ricerca (e non solo su questo punto, per la verità).

A costo di tediare col legalese, vorrei affrontare il problema con un certo rigore, cominciando col linkare lapronuncia.

Si comprende, così, che la Corte non ha deciso alcunché nel merito. Di certo, ha detto cose molto importanti (e il significato da dare ad una direttiva è cosa fondamentale) e cogenti, ma la decisione sul caso concreto è ancora da venire.

Ad oggi, abbiamo risposte ad alcune domande su questioni pregiudiziali. La pregiudiziale si ha quanto un giudice nazionale, eventualmente su istanza delle parti, chiede la corretta interpretazione di una norma dell’Unione. Il responso, obbligatorio, è dato appunto dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Nel caso concreto, alla Corte sono stati chiesti lumi sulla corretta interpretazione di alcune regole espresse dalla direttiva 95/46/CE in tema di dati personali.

Tema generale il “diritto all’oblio” che, si badi bene, non è l’ultimo capriccio del giurista tecnologico (o sedicente tale), ma argomento di cui si dibatte da decenni: Stefano Rodotà – e non solo – ne parlava ancora prima che esistesse il Web. Ne avevo scritto tempo fa proprio su queste pagine, riferendo di alcune decisioni italiane.

Il “diritto all’oblio” è il diritto ad essere dimenticati. E, considerata la straordinaria memoria della Rete (e che i motori di ricerca sono diventati vere e proprie interfacce utente rispetto Web – con tutti i vantaggi che ne traggono), la cosa si fa particolarmente delicata proprio riguardo le informazioni pubblicate in Rete.

Così, si pone naturalmente contro un eventuale diritto di cronaca anzi, per la precisione, al diritto ad essere informati. E’, inevitabilmente e come succede praticamente sempre, una questione di diritti contrapposti del cui equilibrio si deve discutere, ma nel caso concreto.

D’ altro canto, non vi è certo misoneismo in chi invoca il diritto all’ oblio contro il diritto ad essere informati mediante la Rete. Anzi, vi è grande consapevolezza del mezzo che non è come un giornale che finisce, in un archivio dimenticato e di fatto inaccessibile.

Si tratta di un diritto in divenire nelle varie legislazioni, non ancora precisamente delineato, anche in quella dell’Unione, ma in via di definitivo consolidamento specie attraverso il regolamento europeo di prossima (si dice) approvazione.

E veniamo al nostro caso. Un cittadino spagnolo chiede di essere dimenticato e vuole che ciò avvenga mediante la cancellazione di determinati contenuti all’origine e anche dei relativi risultati da Google.

Il Garante spagnolo gli dà parzialmente ragione, lasciando le fonti all’ origine (in quanto la pubblicazione era stata ordinata da un giudice per motivi di pubblicità legale), ma imponendo a Google di omettere i relativi risultati di ricerca.

Big G non ci sta e impugna davanti all’ Autorità giudiziaria iberica la quale decide di vederci chiaro interrogando la Corte europea che fornisce quattro precise risposte.

Secondo la direttiva richiamata:

– un motore di ricerca come Google effettua un “trattamento di dati personali”, mentre il gestore deve essere inteso come “responsabile” secondo la legislazione europea (nella legislazione italiana si parla di “titolare”, figura per certi versi coincidente);

– se un soggetto extracomunitario stabilisce una propria succursale in uno Stato UE e
con essa effettui un trattamento, allora deve sottostare alle leggi dell’Unione, ad esempio la direttiva;

– l’interessato gode di tutta una serie di diritti tra cui anche quello all’aggiornamento e alla cancellazione, ovviamente a determinate condizioni fissate per legge, anche nei confronti del gestore di un motore di ricerca e pur in presenta di un’originaria pubblicazione legittima;

– i diritti del singolo posso prevalere su quelli (tipicamente economici) del gestore del motore e addirittura su quelli del pubblico (il diritto ad essere informati); ciò ai sensi di quanto sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Francamente, mi sembra tutto ineccepibile nei principi (perché ricordo che la Corte non ha deciso sul caso concreto).

E proprio il riferimento alla Carta UE dovrebbe fare parecchio riflettere perché nessuno nega che vi sia un diritto alla conoscenza di certe informazioni, ma occorre sempre ricordare che esso deve essere contemperato con gli altri principi espressi dalle Carte nazionali o sovranazionali.

E invece no, si preferisce bollare, in vario modo, la decisione di Lussemburgo con tanti argomenti spesso più di pancia che di testa.

Almeno un abbozzo di diritto all’oblio esiste, non possiamo negarlo, e discende dagli artt. 12 e 14 della direttiva approvata vent’ anni fa e recepita in tutta l’Unione. Occorre valutarne estensione e forza, se comporti la cancellazione o, come visto qui da noi, soltanto una rettifica (cosa difficilmente applicabile ad un motore), ma l’esistenza dei diritti espressi dalle disposizioni appena citate dovrebbe costituire un punto fermo, a meno che non si voglia cambiare la legge.

Ad ogni modo. il diritto all’oblio, nella forma appena vista, non è inapplicabile alla Rete. Anzi, la straordinaria memoria che quest’ultima possiede ne rende urgente una sua più precisa definizione: nell’nteresse dei singoli che non necessariamente devono sempre soccombere di fronte ad un irresistibile diritto pubblico o, peggio, di quello subdolo di un privato contrapposto.

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Vividown in Cassazione: ultimo atto

Quasi otto anni fa, il caso Vividown vs. Google. Fece molto scalpore.
Dirigenti in primo grado assolti per la diffamazione e condannati per il trattamento illecito, assolti in appello anche per il trattamento illecito, ricorso dell’accusa rigettato dalla Cassazione.
Lunedì sono state depositate le motivazioni e sono molto interessanti. Ci sarà da discutere. Intanto, si può dire che è una bella pietra in punto (ir-)responsabilità del provider.
Monica Gobbato ci ha già scritto fiumi di parole.

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Ma questo lo vedono meglio i bambini

Si sa, il cloud è molto di moda ed è altrettanto conosciuto. Soltanto per scrupolo, linko Wikipedia.
Poi, in realtà, non posso che condividere le recenti osservazioni di Roberto Dadda. Ma diciamo che volevo parlare d’altro.
Lo spunto me lo fornisce un articolo “first impressions” pubblicato sul Corriere a proposito del più recente “cloudbook”  di Google, tutto basato su ChromeOS: il “ChromeBook“, appunto (siglato CR-48).
L’oggetto, pur molto carino, pare avere alcuni limiti non di poco conto, ma chiaramente dovuti alla gioventù del progetto e alla portata rivoluzionaria di alcune scelte progettuali.
Al di là di ciò, da giurista mi interessano poco le mode, badando di più al giuridicamente concreto.
Io per primo sto sperimentando il “decentramento” di alcuni miei archivi (il termine “dematerializzazione” usato nell’articolo non mi sembra corretto), ma senza dimenticare che ciò porta con sè non poche problematiche prevalentemente di “privacy”, principalmente regolata dal d.lgs. 196/2003.
Scommetto che molti di noi non si fiderebbero tanto ad affidare il proprio archivio cartaceo a terzi. Eppure, in nome del cloud, depositeremmo i nostri file chissà dove con non pochi sacrifici in termini di tutela dei dati personali. Ma, i servizi cloud telematici sono sicuramente meno controllabili di quelli – chiamiamoli così – “fisici” e su certi rischi ci aveva già messo in guardia Stallman.
Il nostro partner dovrebbe essere addirittura più affidabile di noi stessi, ma, francamente, non so quante volte ciò si possa riscontrare.
Quindi, attenzione, molta attenzione, specie per chi tratta dati sensibili.

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Mo’ te spiego

Dopo gli oscuri quanto esilaranti avvisi di tempo addietro, Google decide di spiegare le modifiche alle condizioni di AdSense. O, almeno, decide di spiegare quali siano.

Gentile publisher,
Le scriviamo per informarla che i Termini e condizioni di AdSense, validi per il suo account, saranno modificati a breve. I Termini aggiornati saranno validi a partire da domani, 22 marzo 2011; potrà consultarli all’indirizzo http://www.google.com/intl/it/adsense/terms/terms_and_conditions_20110218.html. I Termini aggiornati sostituiranno quelli che si trovano al seguente indirizzo: https://www.google.com/adsense/localized-terms
Queste modifiche sono state effettuate in seguito alla decisione di Google del maggio 2010 di rendere pubblica la quota di compartecipazione alle entrate dei prodotti AdSense per i contenuti e AdSense per la ricerca (al seguente indirizzo: http://it-adsense.blogspot.com/2010/05/quota-di-compartecipazione-alle-entrate.html). Per chiarezza, abbiamo evidenziato le modifiche di seguito.
L’articolo 12.1(d) è stato modificato nella forma seguente:
(d) altri eventi verificatisi in connessione con la visualizzazione degli Annunci sulla/e Sua/e Proprietà. La quota di ricavi che Lei riceverà sarà determinata da Google a sua discrezione. I pagamenti saranno calcolati esclusivamente sulla base dei registri tenuti da Google. Per qualsiasi domanda relativa al prodotto, saremo lieti di risponderle sul nostro Forum: http://www.google.com/support/forum/p/adsense?hl=it
Cordiali saluti,
Il team di Google AdSense
© 2011 Google Ireland Ltd, Gordon House, Barrow Street, Dublino 4, Irlanda. Le abbiamo inviato questa email di servizio obbligatoria per informarla di un importante cambiamento che interessa il prodotto o l’account AdSense da lei utilizzato.

Ma, come si legge, va anche in profondo, nel senso che (citando il messaggio di cui sopra)

queste modifiche sono state effettuate in seguito alla decisione di Google del maggio 2010 di rendere pubblica la quota di compartecipazione alle entrate dei prodotti AdSense per i contenuti e AdSense per la ricerca

Il passaggio trova specchio in un atto ufficiale AGCM nell’ambito di una procedura avviata nanti la stessa Authority, dove si capisce che queste decisioni è stata indotta dall’indagine.
Sicché la trasparenza di Google non sembra essere super-spontanea…

Qualche commentatore magari un po’ meno allineato?

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Don’t be idiot

In questi istanti, Google sta mandando una circolare ai publisher (cioè coloro che pubblicano avvisi pubblicitari).

Gentile publisher,
Le scriviamo per informarla che i Termini e condizioni di AdSense, validi per il suo account, sono stati modificati. I Termini aggiornati saranno validi a partire dal 22 marzo 2011 e sono consultabili all’indirizzo http://www.google.com/intl/it/adsense/terms/terms_and_conditions_20110218.html .
Purtroppo non siamo in grado di interpretare per i nostri publisher il significato delle modifiche apportate ai documenti legali.
Per eventuali domande o una consulenza legale per l’interpretazione dei nuovi Termini e condizioni, consulti un avvocato.

Cordiali saluti,
Il team di Google AdSense

Scommetto che quando c’è da andare a giudizio, i loro avvocati sono prontissimi a dare l’interpretazione del caso, no?

P.S.: In vent’anni di professione, una stupidaggine del genere non l’ho mai letta…

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Nonsoloquerele

Nel post immediatamente precedente mi interrogavo circa la possibilità di contestare, nel caso dei dati captati dalle Google Car, il reato di Interferenze illecite nella vita privata ex art. 615-bis c.p. (*).
Leggendo un commento sempre al post precedente, ho capito che occorreva dare maggiore evidenza a quanto scritto dal Garante nel provvedimento di blocco che avevo già linkato.
E, infatti, il documento fa riferimento agli artt. 617-quater e 617-quinques c.p. (applicabilie per  apparecchiature e intercetazioni informatiche e telematiche), tacendo sul 615-bis c.p., ipotesi, peraltro, che mi sembra applicabile soltanto alle foto (mediaten strumenti di ripresa visiva) e non ai dati veicolati mediante wi-fi.
Ieri, Fulvio Sarzana di S. Ippolito avevo anticipato qualcosa.

Per comodità del lettore non giurista, ecco i due primi commi:
Chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo
“.

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E la querela?

Dopo le auto targate Google (magari, linkiamo il provvedimento del Garante, male non fa), pare che per Big G arrivino nuove grane.
Proprio su segnalazione del Garante, a seguito degli accertamenti sull’accidentale acquisizione di dati veicolati via wi-fi durante le riprese per Street View, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo.
Ora, siccome i media ci parlano di un’ipotesi di Interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.) e che si procede d’ufficio soltanto “se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato” (mi pare non ricorra nessuno dei casi) che senso ha tutto ciò?
Poi, può sempre essere che mi sfugga qualcosa, ovvio.

P.S.: Mi convince poco anche la contestazione di quel reato, ma vedremo…

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