(da Punto Informatico del 22 novembre 2006)
Molti si sono stupiti per la denuncia piovuta sui minori che con i propri telefonini si filmavano in scene erotiche, passandoseli poi l’un l’altro. Ma la legge è chiara e per loro non c’è una via d’uscita indolore
Roma – I fatti
Livorno. Il Corriere (e non solo) ci narra che otto ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, approfittando dell’assenza dei genitori dalle rispettive abitazioni, avrebbero pensato bene di videoriprendersi in atti di contenuto sessuale e, poi, montare i vari filmati. Consensualmente, come fanno tanti adulti che realizzano filmini amatoriali, e per una fruizione limitata al gruppo. Oggi, la tecnologia lo rende assai più facile. Non occorre andare, ad esempio, dal fotografo per farsi sviluppare la pellicola. Basta avere un banalissimo camera-phone e un computer.
I genitori di una ragazza (attrice, produttrice o entrambe le cose, non si sa) notano qualcosa di strano e, preoccupati per le risposte evasive della figlia, decidono di andare dalla Polizia. Vengono fuori i filmini. Risultato: tre minori indagati per produzione e detenzione di materiale pedopornografico.
La stampa, anche televisiva, associa la notizia a quelle, dei giorni precedenti, di pubblicazioni di clip su GoogleVideo, di fatti di violenza sessuale commessi da minori e di episodi di cd. “bullismo”. Non c’è molta pertinenza, per la verità, ma l’accostamento è, a modo suo, uno scoop in sé.
I fatti di Livorno sono ben diversi, per molti privi di gravità sostanziale (atteso che non c’è stata alcuna violenza o vizio del consenso) e, però, paradossalmente sanzionati in modo pesante. C’è perplessità, più che indignazione e condanna.
Cosa dice la legge
La produzione e la detenzione di materiali prodotti mediante l’utilizzo di minori è reato. Non c’è dubbio. Ed è pure un reato di una certa gravità, con certe conseguenze di tipo “sociale” (in parte, una “condanna a morte civile”). Lo prevedono gli artt. 600-ter e 600-quater c.p. così come riformati dalla legge 38/2006. Le ulteriori conseguenze sono state introdotte dalla medesima legge.
Contrariamente a quanto dice la stampa – e a parte gli eventuali sconti per i minorenni – la pena detentiva prevista per la produzione di materiale va dai sei ai dodici anni (art. 600-ter, comma 1, c.p.); quella per la semplice detenzione è sino a tre anni. Quindi, si tratta di pene che, al di là dei profili etici ed educativi della vicenda, sono – come si potrebbe dire, “da adulti”.
Pochi, forse, ricordano il disegno di legge C4955. Ne ho parlato, l’anno scorso, in due distinti contributi per Punto Informatico (qui e qui). Tra le altre cose, con quel disegno di legge si voleva introdurre un’ipotesi di non punibilità (peraltro suggerita a livello comunitario) nel caso di produttori e detentori minorenni.
Nulla di strano. Nel nostro Paese, di regola, l’età del consenso sessuale si raggiunge a quattordici anni. Da ciò consegue (dovrebbe conseguire) la non punibilità di tutto quanto il minore faccia, di carattere sessuale, sulla scorta di tale capacità..
Dopo qualche perfezionamento, però, la norma è sparita e il disegno di legge è diventato la legge 38/2006. Quella, in buona sostanza, che ha inasprito parecchio il trattamento penale in tema di pedofilia e pedopornografia ed ha introdotto la punibilità per la pedopornografia “virtuale”.
Qualche mia breve riflessione
Fare il giudice non è un mestiere facile. Uno dei motivi, a parte i miei limiti, per cui ho deciso di non provarci.
Se i fatti si sono svolti come ci riferisce la cronaca, dubito che i ragazzi indagati possano essere, un domani, assolti pienamente. La legge non lo consente. Certo, il rito penale dei minori prevede vie d’uscita abbastanza indolori (ad esempio, irrilevanza del fatto e messa alla prova), ma non è mai una passeggiata.
La perdurante punibilità di certi fatti discende, probabilmente, dalla considerazione che, comunque, il materiale pedopornografico alimenta un mercato e scatena pulsioni criminali. Lo dimostra la previsione di una sanzione per la pedopornografia virtuale.
Il fatto è che se i materiali rimangono nella disponibilità del minore, questo pericolo non sussiste, è evidente.
Al di là di quello che possiamo pensare della vicenda, di quale possa essere l’età minima “giusta” per il sesso, mi sembra che il nostro ordinamento manifesti l’ennesima contraddizione, l’ennesimo tabù a proposito di un argomento del quale, al di là delle sanzioni, non si vuole parlare veramente, anche quando riguarda la sessualità propria degli adolescenti.
Avv. Daniele Minotti
www.studiominotti.it
www.minotti.net
Non credo si tratti diuna contraddizione o di un “tabù”.
Credo che il problema sia la mancanza di ponderazione dei diversi interessi in gioco. Purtroppo, le leggi più che attenti bilanciamenti di interessi sono proclami di attenzione ad un problema con totale oscuramento di tutto quello che sta intorno al bene che si vuole tutelare ovvero alla compresenza di beni altrettanto meritori di tutela ma confliggenti.,
Salve, sono una studentessa di giurisprudenza in Urbino. Queste sue considerazioni (ma anche quelle pubblicate su punto informatico) le condivido. Vorrei sapere se posso citarle e citarla nella mia tesi sulla pornografia minorile virtuale.
Grazie comunque e mi scuso per il disturbo.