La sentenza che ha condannato Carlo Ruta per stampa clandestina fa discutere.
Si propongono molte opinioni. Tra le tante che parlano di stato fascista, che è colpa di Berlusconi e che siamo peggio della Cina (comprensibili sfoghi, ma che, anche se a sparare sui politici di ogni parte non si sbaglia mai, non colgono il segno), personalmente ho la mia opinione. Di minoranza.
Inizio col dire che mi riprometto un più approfondito studio del provvedimento. Dietro la vicenda (segnalo questi ulteriori materiali che potranno una visione più ampia della cosa) c’è un intreccio complessissimo di norme, giurisprudenza e opinioni dottrinali. Insomma, il nodo non si può sciogliere con un argomento secco.
Già nei commenti al post precedente sono emersi dei buchi, ma mi permetto di ribadire:
– che chi si aspettava una sentenza motivata un po’ “alla buona” come quella di Aosta (ed io ero tra questi) si è sbagliato di grosso;
– che la legge, come detto da alcuni (es. Guido Scorza) è ambigua (e mi permetto di ricordare che è una cosa che dico anch’io, da tempo).
Malgrado ciò, a differenza di altri, non mi sento di dire che siamo tutti blogger clandestini, eventualmente fiero di appartenere a detta categoria. Uno dei passaggi, in fatto, fondamentali è la negazione della natura di blog. Il giudice disserta diversamente, ma la prova sta nella visione del sito. Dove? Ma su Webarchive, ovviamente. Pure io ci sono cascato titolando per Penale.it (ho corretto).
Fatto sta, però, che la cosa, pur significativa dal punto di vista sociale, non rimescola le questioni giuridiche sul tappeto. Dunque, lasciamo da parte il blog-lamento. Rischia di sviarci. La sentenza, pur articolata, appare debole (i commentatori, come detto, hanno già evidenziato alcuni punti molto deboli), ma, appunto, la blogosfera non c’entra. Passiamo oltre, al diritto.
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Secondo me sentenze come quella del trib. di Modica dovrebbero far riflettere il legislatore circa l’opportunità di modificare alcune aporie legislative (sul tipo di quelle che si trovano nella legge sull’editoria), e tracciare dei confini certi tra cosa è A e cosa è B. Noi blogger – sotto quest’aspetto – siamo bistrattati, in quanto vaghiamo nella nebulosa prassi giurisprudenziale (come Modica testimonia), e questo francamente è inaccettabile. Tanto più quando vengono in considerazione norme penali che, come c’insegnano, devono garantire il compimento di scelte consapevoli. E’ ora che un pò di chiarezza sia fatta.
A proposito…il titolo del post che ieri ho fatto sul mio blog in merito al caso Ruta era una chiara provocazione… non siamo tutti dei criminali… almeno spero…
Massi’, dai… La provocazione ci sta sempre, tranquillo.
Scusate, ma il tizio in questione non aveva chiamato il blog giornale. Quindi, la sentenza non mi sembra sbagliatissima: i giornali vanno registrati in tribunale anche se vanno su internet, no?
Taking the oevrivew, this post hits the spot
Vero, Francesco. Pero’ io posso chiamarmi pirata (TPB) o giornale. Si crea un *pregiudizio* (argomento servito su piatto d’argento), ma la legge, per me, bada alla sostanza, non al nome che anche io mi do.
Come se chiamassi questo blog *spaccio di droga*, non per questo sono uno spacciatore.
Pingback: L’irrilevanza del Blog - Vittorio Pasteris
Una curiosità. Le statistiche Shiny lo vedono come Safari.
Provare per credere…
@daniele chi Carlo Ruta o il Tribunale di Modica? 😉
In effetti mi sembra che si stia spostando il problema su una questione tecnica e si scordi la sostanza: Ruta è stato condannato per aver trascritto una dichiarazione, e sfruttando l’ambiguità e il numero spropositato delle leggi italiane, che sono a conti fatti a solo uso e consumo di chi è “nel campo”, oggi si pone la questione del blog. Il caso specifico, si chiama blog o giornale il sito chiuso, mi sembra molto poco attinente con la sostanza dei fatti: non si può esprimere la propria opinione, in barba alla costituzione nella mia visione di cittadino qualunque
La Costituzione e’ rispettata. La diffamazione e’ punita (e Ruta era stato querelato, anche se non so che fine abbia fatto la cosa).
Diversa e’ questa cosa della stampa clandestina. Che suona un po’ stonata (come anche la nostra legislazione sulla stampa) e, peraltro, nasce in modo un po’ strano (dallo stesso magistrato querelante per la diffamazione che ha voluto rimarcare anche questi aspetti).
Mi rendo conto che qui si parla di diritto con molta congiziona di causa, mentre io sono più propenso a dare giudizi di “costume e società” ignorando la materia tecnica del diritto… Ma fra i politici locali bloccare i giornali “scomodi” (solo per una questione d’immagine, per farsi vedere “forti”,dato che i siti-giornali in questione hanno poche centinaia di lettori) con la scusa della stampa clandestina (legge sulla stampa del 48?) va pareccho di moda in Sicilia. Caso simile è successo a un settimanale catanese, ma su carta “Catania Possibile”, stampato in “numero 0 in attesa di registrazione”.
Ne parla il direttore responsaile Benanti in un comunicato di qualche tempo fa, ricopiato qui http://095.bloglist.it/2008/08/30/un-giornale-denunciato-per-stampa-clandestina-nel-2008-a-catania-possibile/
Il 18 settembre udienza al tribunale del riesame, penso che si risolva tutto e il giornale (ora registrato) conitnuerà a essere pubblicato. Ma 2 mesi di stop forzato per una legge autoritaria del dopoguerra mi sembrano decisamente troppi, e francamente sarò tardo (o ignorante) io, ma la legge sulla stampa clandestina come si concilia con la costuituzione?
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