L’ho già scritto ieri, nel post sul ddl editoria, discutendo con Luca Spinelli. Forse, alcune mie riflessioni meritano un post a parte.
Luca, che è sempre molto attento nelle sue ricerche, trae conseguenze decisamente più preoccupate rispetto a me che mi sono genericamente limitato a dire che non c’è una gran chiarezza.
Vedo due punti rilevanti.
Cominciamo col primo. Il ddl dice che se i soggetti “operano sulla stessa [Internet] in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro” non sono tenuti all’iscrizione al ROC con tutte le conseguenze del caso (e vedremo quali, è l’oggetto del secondo punto). Ma i blog possono godere di questa “esenzione”? (eggià… perché di eccezione alla regola si tratta).
Luca dice che, in realtà, si deve guardare al caso concreto (ed è il giusto approccio) sostenendo, ad esempio, che il blog di Grillo non sarebbe esentato e così anche tutti i blog che presentano pubblicità retribuita (es.: i comunissimi ads di Google). Ciò perché, secondo l’Agenzia delle Entrate, chi lucra, più o meno, da banner e simili sarebbe imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. Sempre Luca, segnala questa pagina, ma, personalmente, io non ci leggo banner=impresa. Piuttosto, vedo delle considerazioni fiscali su un sito di un’impresa che, questa, si fa pubblicità, pagandola, su altri siti. Che mi sembra cosa ben distinta.
E’ vero che l’articolo fa riferimento anche alla figura dell'”intermediario”, ma penso che tale non sia l’eventuale blogger quanto, piuttosto, chi mette in piedi il programma di advertising con una certa organizzazione imprenditoriale (es.: Google).
Mi viene da fare un esempio: è imprenditore il proprietario di un edificio che concede, pur a pagamento, una facciata per apporvi un cartellone realizzato dall’agenzia Alfa per pubblicizzare il prodotto della società Beta? No, secondo me. Pagherà le imposte del caso su quegli introiti, ma non per questo diventerà imprenditore. A meno che non organizzi edifici (o altri supporti) per l’esposizione di cartelloni.
Alla fine, torniamo alla definizione di imprenditore ex art. 2082 c.c.
“È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“.
Dottrina e giurisprudenza sul punto sono realmente sterminate, ma, per i profili che ci interessano, tutte pongono l’accento sull'”organizzazione al fine de”. E non penso che detta organizzazione si possa scorgere nell’attività di un blogger “ordinario”.
Per dirla tutta, volendo un po’ pignoleggiare, non a caso il nuovo ddl fa riferimento al forme o prodotti che sono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. Dunque, è l’ipotetico blog, coi suoi contenuti informativi, a dover essere il frutto di detta organizzazione (non a caso parliamo di editoria). E mi viene da pensare a strutture complesse con redazioni o simili. Cosa che riguarda ben pochi blog che, addirittura, per i puristi blog non sono.
Seconda questione. Non condivido gli allarmismi dei più. Certo, il ddl parla di una figura simile a quella del direttore responsabile (“colui che ha il compito di autorizzare la pubblicazione delle informazioni“) che risponderebbe anche dei contributi altrui (i commenti?) e di applicabilità delle “norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa“.
Ma, attenzione: da un lato se io inserisco un contributo di un terzo, ne sono già responsabile in concorso; dall’altro, il reato di diffamazione, giusto per fare l’esempio più ricorrente, è già pacificamente adattabile ai blog e, in generale, alle pubblicazioni telematiche.
Uniche controndicazioni realistiche (se il ddl fosse per ipotesi applicabile a certi blog, cosa che non penso): burocrazia, spese e “controllo” (sempre che sia possibile controllare un blog soltanto a seguito dell’iscrizione al ROC).
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brevemente. chiedendo all’agenzia delle entrate mi è stato ribadito come la continuatività implichi impresa. così come la pubblicazione di contenuti, news, e così via corredati con banner implica un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. stessa ragione per cui gli introiti via banner prevedono emissione di fattura (P.IVA) e non ricevuta (rit. d’acconto). ergo: il sito web (blog o meno che sia), quando genera introiti, è frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro.
ovviamente un parere formale si può avere solo tramite interpello o in un eventuale procedimento (e mi auguro e sono abbastanza speranzoso sarebbe più ragionevole di quello che faccio io qui criticamente – fatto sta che ora non c’è).
in linea generale, comunque, ciò che temo di più non è tanto l’eventuale procedimento legale (è abbastanza iperbolico che ci si arrivi), quanto il potere di intimidazione che questa legge darebbe. così come molte altre in Italia (mi viene in mente il comma 1 bis). in sostanza: invece che chiarire e ripulire uno dei corpus normativi più grandi e impenetrabili al mondo, si propongono altre leggi dubbie che prestano il fianco a pruriti censori.
ecco, questo mi preoccupa. LS
Per carita’, Luca, so che fai sempre lavori approfonditi. Se, allora, all’Agenzia delle Entrate dicono cosi’, non sono d’accordo con loro ad esempio anche sulla necessita’ di fattura (ne avevo accennato sul Minottino, anche se non e’ molto mia materia).
Sul resto, siamo gia’ d’accordo.
Ho pubblicato una petizione
http://firmiamo.it/noallaleggeantiblog
Grazie per le preziose informazioni
Secondo alcune vecchie circolari dell’AdE in tema di crediti d’imposta per incrementi occupazionali, si definiva il contratto di apprendistato come contratto a tempo determinato. Roba da far venire le coliche ad ogni giuslavorista.
Insomma, l’AdE non è certo la Suprema Regolatrice, né, tantomeno, la depositaria della verità assoluta.
Il problema di tutta questa storia secondo me è il direttore responsabile. Io non avrei problemi ad iscrivermi al ROC, ma ho un problema grosso a dover pagare un direttore. Non ce la farei…
Probabilmente dovrei ragionarci meglio e non a quest’ora, ma mi sembra che un direttore responsabile non sia necessario.
Politicamente è necessario, altrimenti come controllano chi deve essere oggetto di accertamenti e chi no?
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In difesa dell’ AE devo dire che gli articoli di fisco oggi che è a tutti gli effetti una testata telematica come tutte le altre non hanno per i contribuenti il valore di una risoluzione o di una circolare e dalle ricerche da me effettuate al fine di valutare anche la tassazione in caso di adsense ecc. non ci sono orientamenti ufficiali dell’ AE in merito né sentenze di Commissioni Tributarie. Secondo il mio modestissimo parere è corretto trattare i casi caso per caso sulla base di ciò che è previsto dal TUIR. (Io sommessamente non considero del tutto errata l’interpretazione data nell’approfondimento di fisco oggi ma parimenti valida potrebbe essere per la maggior parte dei blog che includono la pubblicità considerarli come redditi diversi. Spero che AE, dottrina e giurisprudenza approfondiscano questi temi e ringrazio l’avv. Minotti per averli evidenziati
In caso di approvazione, prevedo un rapido migrare di attività editoriali via Internet in lingua italiana e che implichino un’organizzazione imprenditoriale del lavoro, verso una sede legale appena oltre confine e/o in capo al mondo.
Il che credo metta al riparo anche dalle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa (diffamazione).
O no?
Probabilmente c’è chi ne farà anche un occasione di business (domiciliazione legale+hosting server).
Nota tecnica OT: il timestamp di pubblicazione dei commenti (e presumo dei post) è avanti di un’ora. 😉
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Ai fini fiscali, il reddito di un amministratore di società è della medesima tipologia del compenso di un co.co.pro. ed entrambi sono “redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente” (art. 50 TUIR).
Da qui ad affermare che l’amministratore unico di una società è un co.co.pro. e/o che lo stesso è quasi un lavoratore dipendente, tanto da poter essere assimilato ad esso, ce ne passa.
Francamente mi sfugge il motivo per cui l’ambito applicativo del disegno di legge in argomento debba essere definito da norme e provvedimenti amministrativi che, in tutta franchezza, regolano tutto un altro mondo.
A parte la fesseria dell’iniziativa (ci sono centinaia di blog che non hanno banner) credo che sia un modo per censurare le idee del “popolo”.
Si fa presto a dire: basta migrare su un dominio straniero.
Sappiamo benissimo cosa succede ai domini non .it che sono ritenuti scomodi dai “potenti”.
Personalmente, ma non sono laureato in legge, non credo che il semplice fatto di generare entrate possa evidenziare attività imprenditoriale. Sarebbero da considerare imprenditori, anche gli artigiani con un sito internet, o gli artisti? Gli ultimi tra l’altro non sono soggetti a iva se vendono le proprie opere, a quanto mi risulta.
Mi sembra interessante segnalare la Risoluzione Ministeriale 18 novembre 2003 n. 209/E che si occupa di procacciatori d’affari che in quanto titolari di un’attività commerciale svolta in maniera occasionale, senza vincolo di subordinazione e senza organizzazione di mezzi, sono ricompresi dal legislatore nella categoria dei redditi diversi. Cito testualmente ” Nessun vincolo è previsto in merito alle modalità attraverso i quali i soggetti interessati possono venire in contatto per la conclusione dell’affare; resta quindi possibile procacciare affari fornendo nel proprio sito informatico un link per accedere al sito del cliente”.
Ora posto che secondo me nel caso dei blog tutto ruota attorno alla questione di attività abituale o occasionale per me la soluzione redditi diversi non è campata in aria.
Mi sbaglierò, ma per come è formulato l’articolo 6 (Esercizio dell’attività editoriale) sembrerebbero ammessi due soli possibili casi:
a) esercizio in forma imprenditoriale (implicito: per finalità lucrative, essendo imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica);
b) esercizio in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative (esplicitato nel testo).
Sembrerebbero quindi escluse altre possibilità di esercizio, che sarebbe poi come dire: se vi è una qualche forma di lucro, quale che sia, si ricade comunque nel caso a).
Altrimenti perchè specificare esplicitamente nel secondo caso “per finalità non lucrative”?
L’esercizio in forma NON imprenditoriale ma CON finalità lucrative, ancorchè ridotte e/o limitate alla concessione di spazi a terzi (AdSense) non mi pare sia tra i casi contemplati di “esercizio dell’attività editoriale”.
O no?
Poi bello perchè si vuole sancire l’equiparazione dei doveri tra editoria elettronica e cartacea, ma non quello dei diritti, visto che il meccanismo di concessione dei contributi diretti è comunque ancora correlato a diffusione e tiratura per l’editoria su carta.
E si continua pure a privilegiare la tiratura sulla diffusione ai fini del calcolo dei contributi, con il risultato di assistere alle distorsioni ormai note; tanto è sufficiente una
diffusione pari ad almeno il 30 per cento della tiratura complessiva se testata a diffusione nazionale e ad almeno il 60 per cento se testata a diffusione locale.
No dico, 400.000 euro per ogni scaglione di 10.000 copie di tiratura netta media compresa tra le 50.001 e le 150.000 copie. In pratica 40 euro per ogni copia stampata, ancorchè invenduta, e sino a 150.000.
E però ora non ti coprono più del 50% dei costi se editi un quotidiano e non ti danno più di 320.000 euro se editi un periodico tirando sotto le 10.000 copie o 500.000 euro se tiri più di 10.000 .
Per tutti gli altri (editoria elettronica compresa quindi) non ti coprono comunque più del 40% dei costi (con massimale a 2,2 milioni per impresa).
E meno male che si vuole “assicurare parità di trattamento tra le diverse tipologie di soggetti beneficiari”.
R-I-D-I-C-O-L-I !!
Ooooops… come non detto !!
Se capisco bene, niente contributi all’editoria elettronica (ci vuole la tiratura secondo l’art. 19) a meno che i relativi siti… “siano riconosciuti come propria espressione limitatamente ad una sola testata e per esplicita menzione riportata nella testata stessa, da forze politiche che, nell’anno di riferimento dei contributi, hanno costruito il proprio gruppo parlamentare in una delle Camere o hanno almeno due membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia eletti nelle proprie liste.”
Inoltre per i giornali cartacei di cui al medesimo comma art. 18 comma 1 b) (cioè per gli organi politici) non si applica la clausola sulla tiratura al fine del diritto alla ricezione dei contributi.
Sempre più R-I-D-I-C-O-L-I !!
Ecco… mi sa che i veri scopi del ddl vengono fuori mentre la questione dei blog appare sempre di piu’ un incidente di percorso.
Bah…
http://www.facebook.com/group.php?gid=34139609023
concordo appieno con la tua analisi, corroborata peraltro dall’esperienza familiare di avere affittato uno spazio ad una agenzia pubblicitaria perchè vi installasse cartelloni pubblicitari: questo non fa di noi dei pubblicitari, ma abbiamo semplicemente fittato uno spazio e paghiamo le tasse sul contratto di fitto.
La pericolosità della proposta di legge è nella fumosità delle formulazioni che la rendono adattabile ed interpretabile in maniera restrittiva a qualunque sito in rete. Basterebbe un semplice emendamento, un comma aggiuntivo, come ho segnalato con una formulazione semplicistica sul mio blog, a rendere chiara la cosa… ma non c’è sul sito della camera una mail dove contattare levi così gli spieghiamo la nostra visione della questione, così nepotremmo valutare anche il feedback.
pensavo però ai social network ed ai siti tipo oknotizie, che fanno da cassa di risonanza delle informazioni. questi sarebbero investiti dalla norma? in tal caso diventerebbero responsabili per avere consentito la pubblicazione di contenuti da parte dei loro utenti? in tal caso potrebbero avere delle conseguenze legali ed economiche per qualcosa che non hanno scritto, ma amplificato? come potrebbero difendersi?
Pingback: blogs.it: l’oscena proposta di legge… per i portali di partito « The Million Portal bay
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Mi sto convincendo del fatto che l’interpretazione del secondo capoverso di cui all’ art. 6, ovvero:
“L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative. “
possa essere poi interpretato come
“L’esercizio dell’attività editoriale può essere svolto anche in forma non imprenditoriale (cioè in forma NON professionale, secondo il dettato del 2082 c.c.), MA A PATTO CHE non vi siano finalità lucrative”.
Con questa interpretazione diciamo un po’ “estesa” del testo, si andrebbe di fatto vietando la presenza di pubblicità a tutti i siti e blog non gestiti in “forma imprenditoriale”.
Imponendo quindi come unica possibile alternativa l’iscrizione al ROC anche laddove l’esercizio dell’attività editoriale fosse compiuto in modalità NON professionale stretta, ma con un fine di lucro (ancorchè marginale).
Il comma 3 dell’art. 8, così come formulato, non escluderebbe peraltro dall’obbligo di iscrizione al ROC le eventuali imprese senza scopo di lucro.
Leggo infatti che secondo certa dottrina giuridica non è affatto richiesta la presenza del requisito di lucro soggettivo od oggettivo per qualificare una determinata organizzazione come impresa.
Col risultato che il lavoro compiuto da queste particolari “imprese” avrebbe comunque una “forma impenditoriale”.
http://it.wikipedia.org/wiki/Scopo_sociale
Il che è in parte coerente anche con quanto previsto all’art. 19 punto 1 a)
Confermi i miei dubbi?
Caso tipico, le imprese sociali.
http://it.wikipedia.org/wiki/Impresa_sociale
Pingback: » Play it again, Levi - UPDATED » :.:.: (il blog di) Daniele Minotti
Ciao! il tuo post e lo scambio con LS saranno letti durante gli SBULLONATI, programma radio sui blog, in onda lun h 20 su b-radio.it !! ciao e grazie
Pingback: Sbullo07 - L’AMMAZZABLOGGER « GLI SBULLONATI
Bellissimo il termine *sbullonato*. Lo uso da un po’ di anni, acquisito da un amico. Pensavo fosse un nostro termine particolare, non cosi’ diffuso.
Grazie del suo/tuo parere autorevole Daniele, sono pienamente d’accordo sulla questione “imprenditore”. E’ da tempo che provo a farlo capire in giro, ma non sempre ci sono riuscito.
E sull’Agenzia delle entrate, precisiamo che a volte non sanno bene di cosa parlano (es. Google Adsense) e quindi meglio stare sulle “proprie” interpretazioni, tant’è che parlando verbalmente con l’Agenzia stessa mi diedero ragione quando spiegai il concetto di imprenditoria a confronto con l’utilizzo degli Adsense; inoltre a volte si fa confusione con l’IVA, la quale ha altri presupposti rispetto a quelli generati dal mero utilizzo del banner pubblicitario sul proprio sito per ottenere guadagni.
Quindi grazie di questo post. Sono d’accordo con Lei/Te.
Luca
Pingback: DDL anti blog « Ilcomizietto
Pingback: No alla legge anti blog! at LibriSenzaCarta
gli Sbullonati erano la versione italiana dei CRASH TEST DUMMIES. Pupazzetti bellissimi da far schiantare ad alta velocità. Ecco, diciamo che noi simao più o meno così… ahahah
Perfettamente d’accordo con la tua analisi!
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