Punto Informattico mi ha fatto la gentilezza di pubblicare un mio commento sulla sentenza di Cassazione riguardante la responsabilità dei direttori di testate telematiche.
Lo riporto anche qui.
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Io, forse con un po’ di presunzione, ripartirei da una sintetica massima che ho scritto l’altro giorno: “Il direttore di una testata online, attesa la particolarità del mezzo, non risponde necessariamente per omesso controllo ex art. 57 c.p.”.
L’ho scritta per un articolo pubblicato da Manlio Cammarata a commento (seppure in una prospettiva particolare) dell’ormai celeberrima sentenza sulle responsabilità del direttore di una testata online.
Ho letto un po’ di cose in giro (Marco Scialdone, Guido Scorza e Fulvio Sarzana di S. Ippolito – mi scusino eventuali altri che non ho reperito) eppure non cambierei una parola per avallare una sentenza non sempre linearissima – è vero – ma senza dubbio condivisibile nei princìpi più essenziali. Mi spiego meglio.
Premessa
Le sentenza di legittimità (tali sono quelle emesse dalla Cassazione) si occupano, di regola, di diritto, non del fatto.
Per tale motivo, non dovremmo mai aspettarci una puntuale (ri-)ricostruzioni dei fatti sottostanti la pronuncia. Ragionare diversamente non è soltanto inutile, ma appare davvero giuridicamente insostenibile. Il corollario è che ha anche poco senso insistere eccessivamente sul caso concreto laddove la Cassazione indica, notoriamente, princìpi.
Soltanto per completezza, la testata oggetto della sentenza è registrata (se n’è accorto un semplice lettore), mentre poco si sa circa la pubblicazione, nel 2001, della lettera incriminata. Quest’ultima circostanza insieme a quelle riguardanti la prova della pubblicazione (la Cassazione neppure le ha prese in considerazione in quanto subordinate), rimangono, però profili di fatto, del caso concreto, su cui si può ampiamente sorvolare – a meno che non ci vogliamo sostituire ai giudici del merito. L’importante è capire che la Cassazione è partita da una base fattuale consolidata (e che non poteva più rimettere in discussione) e che, come anticipato, si occupa di diritto, non del fatto.
Il Web non è stampa
Marco Scialdone ha giustamente ricordato che il padre del principio fissato nel titolo di questo paragrafetto è Vincenzo Zeno-Zencovich, precisamente in uno scritto che risale ad oltre dieci anni fa (e che la diabolica WayBackMachine ha memorizzato nella versione online pubblicata dalla mitica rivista Beta.it). Fulvio Sarzana di S. Ippolito, pur ricordando chi è il prof. Zeno Zencovich, lo ridimensiona un po’ dicendo che è un civilista e che, comunque, la sua tesi è di dodici anni fa. Non mi sembrano argomenti molto sostenibili.
Malgrado abbia letto di “tesi non convincenti”, la verità è che, attualmente, non esiste alcun serio argomento per smentire quanto sostenuto da Zeno-Zencovich; neppure la l. 62/2001 che, come sappiamo, è stata ben ridimensionata dal d.lgs. 70/2003. E la Cassazione lo sa: “né con lo legge 7 marzo 2001 n. 62, né con il già menzionato D.Lsvo del 2003, è stata effettuata la estensione della operatività dell’art. 57 cp dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria (come ha chiarito il successivo D. Lsvo)”.
Le contestazioni al direttore responsabile
Due mi sembrano i punti fermi nella vicenda: il documento ritenuto lesivo non era un articolo scritto dai redattori, ma uno scritto proveniente da un terzo estraneo (un lettore); il direttore non era chiamato a rispondere a titolo di concorso (di persone), ma ex art. 57 c.p. (Reati commessi col mezzo della stampa periodica), vale a dire per omesso controllo. Che è tutta un’altra cosa. Recita la norma che ci interessa: “Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”.
Ciò significa che il direttore risponde penalmente se per negligenza, imperizia o imprudenza (aspetti della colpa) non si avvede di un contenuto penalmente illecito. Perché – lo si desume implicitamente dalla norma – il direttore ha proprio questo ruolo giuridico di impedire la commissione di reati per il tramite della sua testata.
Oggi la Cassazione dice (finalmente) una cosa molto importante che io credo debba essere condivisa; e l’hanno sempre condivisa anche coloro che, come Guido Scorza, oggi criticano – peraltro un po’ sopra le righe – le argomentazioni della Suprema Corte.
E’ riportata nella primissima parte delle motivazioni (ma dopo il sunto dei motivi di ricorso della difesa). Provo a sintetizzarla: l’art. 57 c.p. non può essere applicato a realtà diverse dalla carta stampata in quanto concepito prima dell’avvento di esse e, comunque, per il generale divieto di applicazione analogica (in malam partem) delle norme penali.
Pur in un contesto non chiarissimo – va riconosciuto – si tratta di un’osservazione non soltanto giuridicamente corretta, ma sintomo anche di una grande comprensione delle tecnologie. Non sono forse anni che continuiamo a dire che un conto è il controllo che può fare un direttore in una redazione (con gli scritti dei propri redattori relativamente ai quali, a mio avviso, vi è, normalmente, più un’ipotesi concorsuale), un altro è quello che si può fare su post e commenti? E ora che lo sostiene anche la Cassazione perché non ci va più bene?
Di certo, la Corte non distingue espressamente tra articoli della redazione (che, secondo me, devono comunque essere controllati e concordati) e altri contenuti autonomamente inseriti da terzi, mentre una legge ambigua si presta ad interpretazioni contraddittorie e pericolose. Non per questo possiamo cassare la Cassazione.
Sulla sequestrabilità delle testate registrate
Fulvio Sarzana di S. Ippolito va oltre, parlando degli effetti che la sentenza in commento potrebbe causare in una prospettiva logico-giuridica.
Se un sito Internet (financo testata registrata) non è stampa (v. sopra) allora non gode della copertura costituzionale secondo cui (art. 21, art. 3) “Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.
Io non sono d’accordo e lui lo sa. Ne abbiamo parlato, ci siamo confrontati, cocciutamente sono rimasto della mia idea e, qui, ripropongo i passaggi di essa.
Premesso che, se diamo per buone le premesse di cui sopra, qui ci troviamo di fronte ad un caso di analogia in bonan partem (applicazione di norme favorevoli, per dirla semplice) dunque lecita, non dobbiamo mai dimenticare che, indipendentemente dai fatti realmente accaduti (la verità giudiziaria si è, inevitabilmente, cristallizzata) la sentenza si è occupata di un contenuto di terzi, quella non meglio precisata lettera di un lettore.
Invero, non tanto tempo fa la Cassazione si era già trovata a decidere su un caso analogo, vale a dire sulla sequestrabilità di scritti postati in un forum facente parte di una testata registrata. La Suprema Corte ha, così, fatto un netto distinguo tra articoli veri e propri e tutto il resto concludendo per il divieto di sequestro soltanto per i primi. I motivi? Eccoli: “i messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest’ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale”.
A maggior ragione, l’anno prima gli ermellini avevano ritenuto sequestrabili degli annunci pubblicitari pubblicati su pagine Web, ritenuti collegati ad uno sfruttamento della prostituzione, in quanto non rientranti nel diritto cosiddetto alla “libertà di stampa”.
In buona sostanza, dunque, c’è da gettare acqua sul fuoco perché a parte qualche isolata stecca dei giudici di merito, la Cassazione ha ben distinto tra libertà di stampa e altro che non ha nulla a che vedere, con le conseguenze del caso in ordine ai sequestri.
Purtroppo, si parla ancora di libertà di stampa e non, più ampiamente, di libertà di espressione del pensiero. Ne consegue che, allo stato, i blog, giusto per fare l’esempio più attuale, sono sequestrabili senza conflitto con l’art, 21 Cost. Ma questo, pur importante, è un altro discorso e non riguarda il tema toccato dalla più recente sentenza di legittimità che, lo dobbiamo ricordare, esime blogger e gestori di forum da doveri di controllo su contenuti altrui.
Eh sì, ho sentito la notizia della sentenza, e condivido il suo sospirato “finalmente” sulla pronuncia, che oltre a specificare l’esclusione del web da determinate regole del settore editoriale, aggiunge la riflessione – molto sensata – sulle origini dell’art. 57 c.p.
Un caro saluto,
Luca
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