E, intanto, forse abbiamo infranto un tabù oppure, quanto meno, si è fatto un primo passo importante in tal senso: che andrebbe comunque bene.
Mi riferisco alla validità della PEC per notificazioni da avvocato ad avvocato, in penale dichiarata valida da una recente sentenza di Cassazione (II sezione penale, n. 6320/2017).
Mentre nel civile il processo telematico è oramai la regola (ma patisce ancora delle eccezioni non da poco), nel penale la telematica fatica ancora parecchio ad imporsi, almeno a favore della difesa (in generale, delle parti private).
Sì, perché per i magistrati vigono norme molto permissive come quella secondo cui le notificazioni agli avvocati possono essere fatte anche con non meglio identificati “mezzi idonei”. E tali sono anche gli SMS, giusto per fare un esempio un po’ imbarazzante (vi è giurisprudenza sul punto).
La sentenza citata costituisce, dunque, un primo passo piccolo contro l’assurda (e di dubbia costituzionalità) “asimmetria” tra le parti (così la chiama Giuseppe Campanelli) nel processo penale.
Va detto, incidentalmente, che molti di noi avvocati già da tempo “proviamo” a fare questo genere di notifiche. Ho capito di non essere il solo. Sinora, è andato tutto bene, ma la sentenza testimonia che non sempre può filare tutto liscio; specie quando entra in gioco la nostra amata e odiata telematica ostacolata anche da falsi formalismi.
La pronuncia, comunque, ci rende ottimisti, ma moderatamente: i revirement sono sempre in agguato e, comunque, una notificazione telematica non è soltanto inviare una PEC (occorrono relate e quant’altro).
Sebbene l’uso delle PEC a fini di notificazioni non sia necessariamente il nucleo più importante e tipico del processo telematico, un intervento legislativo sul tema a mio modo di vedere è irrinunciabile (oltre che urgente).
D’altro canto, basterebbe ben poco: basterebbe un richiamo alle norme valide per il civile.